“Una Sfinge dall’ironico sorriso”, Schumann recensisce l’op. 35 di Chopin

Nella sua attività di critico musicale, più volte Schumann ha incontrato la musica di Chopin, personaggio verso il quale nutriva una sincera ammirazione.

Autore: Gianluca Cremona

22 Febbraio 2017

Imbattendosi nella seconda sonata, egli scopre un capolavoro che lo affascina, ma che non riesce a comprendere del tutto: è forse disorientato da una musica che non appartiene alla sua epoca, ma viene dal futuro.

“Dare uno sguardo alle prime battute di questa sonata e dubitare ancora di chi sia, sarebbe poco degno dell’occhio di un buon conoscitore di Chopin. Così comincia, e così finisce: con dissonanze, attraverso dissonanze, nelle dissonanze. Eppure quanta bellezza nasconde anche questo pezzo!”. Questo è l’incipit dell’articolo col quale Schumann recensì quello che probabilmente è ritenuto, ad oggi, il capolavoro di Chopin: la seconda sonata per pianoforte op. 35 in si bemolle minore.

Per coloro che non la conoscono, l’op. 35, composta fra il 1837 e il 1839, è una sonata in quattro movimenti: il primo (Grave – doppio movimento) è un allegro agitato introdotto da un’enarmonica ed enigmatica sequenza di accordi. Vengono presentati due temi, il primo tumultuoso, il secondo malinconico, e solo quest’ultimo riapparirà nella ripresa; il secondo è un imponente scherzo intervallato da uno spensierato trio ternario (una sorta di valzer); il terzo è una marcia funebre (la celeberrima “Marcia funebre di Chopin”) con uno struggente trio in re bemolle maggiore; l’ultimo (Presto) è un brevissimo e misterioso brano quasi completamente atonale, senza una particolare struttura formale, nel quale si sussegue una sequenza di note che suona come casuale, con la dicitura dell’autore “sotto voce e legato”, che termina con un improvviso accordo in ff di si bemolle minore, che conclude la Sonata.

Schumann coglie molti degli aspetti musicali e concettuali più importanti, come ad esempio la natura “belcantistica” del secondo tema nel primo tempo, la cui influenza attribuisce a Bellini, o la sfacciataggine nella titanica conclusione dello stesso movimento. Dal punto di vista formale, invece, il compositore tedesco scrive: “Si potrebbe definire un capriccio, se non una tracotanza, averla chiamata Sonata, poichè egli ha riunito quattro delle sue creature più bizzarre per farle passare di contrabbando sotto questo nome in un luogo in cui altrimenti non sarebbero penetrate”. Cos’è che rende perplesso Schumann a tal punto da fargli affermare, parafrasando, “questa non è una sonata”?

Senza dubbio, guardando al primo movimento, la mancata ripresa del primo tema è un elemento di contrasto con la tradizione sonatistica che si era affermata fino a quel momento. Inoltre questo brano, dall’andamento quasi rapsodico, alterna in modo imprevisto situazioni emotive molto differenti tra loro, senza apparenti collegamenti o eccessive elaborazioni. Lo sviluppo è una disorientante e tumultuosa sequenza modulante costruita interamente sull’inquieto inciso ritmico del primo tema, che si dissolve da un momento all’altro, per lasciare spazio alla ripresa del secondo tema in si bemolle maggiore. Il fatto che il movimento si concluda in questa tonalità, ovvero la stessa iniziale ma invertita di modo, ci aiuta ancora di più a comprendere le ragioni dell’affermazione di Schumann  precedentemente citata.

La storia, però, darà ragione a Chopin. La sua seconda sonata diventerà, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, “la sonata”, modello universale per molti degli autori di questo periodo. Si pensi all’andamento fantastico delle sonate di Scriabin, la mancata ripresa di temi nelle sonate di Prokofiev, o, sempre in queste ultime, l’alternanza di sezioni dal carattere molto diverso fra loro; e ancora, interi movimenti di sonata costruiti su un ossessivo schema ritmico. Possiamo quindi affermare, con l’adeguato rispetto, che a Schumann è mancata la lungimiranza, e non solo per quanto riguarda la critica del primo movimento.

Parlando del quarto, infatti, scrive “Quello che appare nell’ultimo tempo sotto il nome di Finale è più un’ironia che una musica qualsiasi. Eppure, bisogna confessarlo, anche qui […] soffia uno strano orribile spirito […], così ascoltiamo come affascinati e senza protestare sino alla fine – ma anche senza lodare, poichè questa non è musica”. E’ proprio quest’ultima affermazione che stupisce: “questa non è musica”. E invece, potremmo dire, è proprio questo Finale che ha segnato la storia: una musica che non è fatta di melodia, schemi, ritmi, ma di momenti di atmosfera. Una musica che non segue una logica umana, bensì qualcosa di superiore, di effimero e ineffabile. Il presto della sonata op. 35 è la base di gran parte della musica atonale, dalle ultime sonate di Scriabin ai capolavori di Schoenberg e Berg, fino ai quartetti d’archi di Ligeti. Quello che rimane di questo ultimo movimento è l’ironica amarezza che tutto ciò che è umano è destinato a perire, portato via da un vento che solleva e spazza via le ceneri dei sentimenti e delle emozioni (“un vento fra le tombe”, come l’ha definito Anton Rubinstein): netto è il contrasto fra la forte drammaticità della Marcia Funebre e l’inquietante nonsense del presto. Definirlo quasi come un “ghiribizzo” dell’autore è riduttivo: si tratta invece di una voce che sussurra parole incomprensibili dal profondo dell’anima, un malessere irrisolvibile proprio a causa della sua insensatezza. Ed è proprio il nichilismo l’orizzonte che viene perseguito e raggiunto da molte correnti della seconda metà del ‘900.

Chopin ha quindi anticipato la storia di almeno cent’anni, e Schumann, probabilmente, non aveva né i mezzi  né la volontà di poter comprendere ciò; ma, nonostante tutto, ha avuto l’intuito di capire che la sonata in si bemolle minore è un capolavoro. E’ anche questa la capacità dei grandi maestri: riuscire a riconoscere un’opera d’arte anche quando essa non è stata assimilata pienamente. E questa enigmaticità viene riassunta nell’espressione finale che Schumann utilizza per definire l’op. 35 di Chopin: “una sfinge dall’ironico sorriso”.

Gianluca Cremona


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