Il Reate Festival

incontra l’organo

Autore: Redazione

17 Ottobre 2019
Dopo la trionfale apertura che abbiamo raccontato e recensito, il Reate Festival prosegue con la sua ricca e variegata programmazione che, tra le altre cose, prevede anche un triplo incontro con l’organo dell’Auditorium San Giorgio di Rieti, da poco riaperto e reso nuovamente accessibile.
In questi tre appuntamenti che hanno come protagonista il “principe degli strumenti”, si compie un viaggio musicale tra Cinquecento e Seicento, secoli in cui lo sviluppo dello strumento raggiunge il suo culmine, e parte del Settecento.
È questo il periodo in cui, grazie alla nascita di scuole organistiche nazionali, si assiste alla diffusione di tecniche musicali e compositive diverse in alcuni casi, simili in altri. Nel XVI secolo nasce una rilevante letteratura spagnola, con Antonio de Cabezón, il “Bach spagnolo”, dedita tra le altre cose alla parafrasi polifonica di melodie tradizionali, cioè adattamenti per tastiera di opere polifoniche di altri compositori: ricca è l’inventiva degli organisti nella manipolazione di canti dati, nuovi motivi e strategie compositive. Lo stesso Cabezón adottò lo stile imitativo della polifonia fiamminga. In Francia, musicisti compositori come Louis-Nicolas Clérambault, Marin Marais portano avanti lo sviluppo della scuola francese in cui, dopo aver coltivato uno stile dal contrappunto severo, prevale il gusto per effetti timbrici e ornamentali. Essi si ispirano allo stile monodico e concertante, sfruttando appieno le risorse timbriche dell’organo francese, ricco di sgargianti sonorità. Interessante è il caso di Jan Pieterszoon Sweelinck, olandese di nascita ma che ha unito in sé lo stile italiano e inglese. Importantissimo innovatore della musica per tastiera a cavallo fra Cinquecento e Seicento, Sweelinck va ricordato per l’elaborazione del corale popolare tedesco, dando origine ad una nuova composizione fortemente emotiva, che sarà alla base dello stile di J. S. Bach. Suo degno successore fu Matthias Weckmann, il quale rappresenta una sintesi tra caratteri inglesi e tedeschi.
Ma è in Germania che si trova il centro principale della letteratura organistica seicentesca. Qui gli stili si moltiplicano e differenziano dando vita a due diverse correnti: la scuola settentrionale, dedita alla variazione contrappuntistica, che aveva fra le sue fila compositori del calibro di Dietrich Buxtehude le cui composizioni sono considerate il vertice della scuola organistica del XVI secolo e lo collocano come massimo compositore prima di J. S. Bach. La scuola meridionale, dall’altra parte continuò la tradizione italiana; qui George Muffat, educato sia in ambiente francese che italiano, raggiunse la sintesi di stili caratteristica del barocco tedesco. Fu inoltre il primo ad introdurre nei paesi di lingua tedesca il concerto grosso italiano e la suite in stile francese. La sua produzione ebbe molta influenza su contemporanei e successori.
È con Johann Sebastian Bach, però, che si raggiunge il culmine e la sintesi delle tradizioni tedesche ed europee, con la sua grandiosa opera organistica. Erede di diversi stili, tradizioni, culture, egli racchiude e porta al massimo lo sviluppo musicale dell’organo sia con musica originale per lo strumento, sia con trascrizioni di concerti di autori perlopiù italiani: non semplici esercizi di studio sulla forma del concerto grosso all’italiana ma puro interesse della corte di Weimar per la musica italiana e per i suoi compositori.
Il protagonismo dell’organo non si concluse ma anzi conobbe nuovi palcoscenici: i concerti per organo e orchestra, scritti inizialmente da Georg Friedrich Händel come composizioni da eseguirsi negli intervalli degli oratori. Pur essendo opere minori, tuttavia in essi si notano caratteri musicali derivanti dall’incontro di stili differenti, quali quello tedesco e italiano. Lo stesso Händel introdusse per la prima volta l’organo in alcune sue opere: il Giulio Cesare, è un esempio di come gli strumenti vengono utilizzati per sottolineare emozioni e situazioni.
C’è da dire che nella seconda metà del Settecento la fortuna dell’organo fu relativamente scarsa anche se abbiamo l’esempio di Padre Davide da Bergamo, francescano, il quale compone sullo stile operistico brani definiti non opportuni per la liturgia. Fu certamente la figura più nota di quel particolare periodo della musica sacra e organistica italiana, tra la prima e la seconda metà del XIX secolo influenzata dal gusto operistico-orchestrale.

È all’interno della cornice del Reate Festival che questo viaggio nel mondo dell’organo prenderà vita con i tre concerti qui indicati:

  • Domenica 20 ottobre, l’organista Angelo Trancone eseguirà un programma tedesco con musiche di D. Buxtehude (Magnificat primi toni Bux203Toccata in Fa Bux156), M. Weckmann (Fantasia in re) e J. S. Bach (Schmücke dich, o liebe Seele BWV 654Allein Gott in der Höh sei Ehr BWV 663, Dies sind die heilgen zehn Gebot BWV 678 Preludio e Fuga in Sol BWV 541)
  • Domenica 27 ottobre sarà la volta di Gabriele Levi all’organo e di Mauro Occhionero alle percussioni antiche. In programma musiche di L.N. Clérambault, J.P. Sweelinck,  G. Muffat,  J. S. Bach, Padre Davide Da Bergamo, F. Caroso, M. Marais, A. De Cabezòn e A. Vivaldi.
  • Domenica 3 novembre, infine, l’organista Alessandro Alonzi interpreterà alcune musiche organistiche di autori diversi come D. Buxtehude, B. Pasquini, J.P. Sweelinck, J. Pachelbel, J. S. Bach e W.A. Mozart.

 

Alessandro Lemmo

Foto prese dal sito del Reate Festival (reate festival.it) e dalla pagina Facebook (Reate Festival)

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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