Gli ‘amori’ eccentrici

di Federico Maria Sardelli

Autore: Silvia D'Anzelmo

19 Febbraio 2019
Lei è una figura estremamente eclettica (scrittore, pittore, musicista) ma ora vorrei concentrarmi sulla sua carriera musicale e, in particolare, di direttore. Mi racconti il suo percorso e le musiche che più le stanno a cuore.

Nel mio percorso musicale sono partito in modo cronologico: quando ho formato il mio primo gruppo musicale alle superiori facevo musica medievale con strumenti antichi, cercando di capire e interpretare i manoscritti dell’epoca. Poi, pian piano, sono arrivato fino ai giorni nostri ma, dato che non si può essere così eclettici, mi sono focalizzato su alcuni periodi, come il tardo barocco. Mi sono dedicato soprattutto ad Antonio Vivaldi ma non solo, amo moltissimo Georg Friedrich Händel e Gian Battista Lulli che credo incredibilmente negletto, soprattutto in Italia. Il settecento è il secolo che conosco meglio, che ho studiato in maniera più approfondita e credo che ci siano molti autori che vadano ancora messi in luce.

Come direttore, tendo sempre a evitare di eseguire le cose più conosciute, come Le Stagioni di Vivaldi perché sono oramai usurate dalle esecuzioni, viziate fino a essere irriconoscibili a sé stesse. Tutte le opere più famose subiscono questo trattamento e alla fine non riescono a dirci più nulla, sono inascoltabili ed è per questo che credo vadano lasciate sedimentare per molti anni prima di essere affrontate di nuovo. Io preferisco offrire agli ascoltatori, sia in programmi di concerto che discografici, qualcosa di nuovo, non per fare l’eccentrico ma perché spesso si tralasciano musiche molto importanti per continuare a eseguire sempre le stesse. Per esempio, quando il Maggio Fiorentino mi invita a dirigere alcuni dei concerti del ciclo Mozart in cui vengono eseguite una o due delle sue sinfonie, io cerco di affiancare sempre le musiche di Henri-Joseph Rigel o di Carl Philipp Emanuel Bach per far vedere qual era il contesto in cui Mozart si muoveva. Inoltre, succede spesso che si rimane meravigliati dalla bellezza di musica magari mai ascoltata perché pochissimo eseguita. Quello che voglio è proprio dedicarmi a questo tipo di opere poco conosciute, metterle in luce e creare un percorso musicale che non sia quello oramai standardizzato del repertorio.

L’affare Vivaldi è il titolo del suo romanzo storico (edito da Sellerio nel 2015) che racconta la riscoperta dei manoscritti vivaldiani. Come mai per lei è così importante affrontare questo enigma culturale e, particolarmente, in questa forma?

La storia della riscoperta dei manoscritti di Vivaldi è estremamente affascinante, ha del rocambolesco e la stessa concatenazione degli eventi sembra di per sé un romanzo: un compositore che scompare per quasi 280 anni, manoscritti ritrovati per merito di un bambino ebreo. Tutto questo sembra il frutto della fantasia di uno scrittore più che del caso! Inoltre, molti musicisti, musicologi e colleghi non ne conoscevano i dettagli e suonavano Vivaldi o lo studiavano senza sapere cosa ci fosse dietro. Allora ho deciso di raccontare questa storia e non ho scelto la forma del saggio scientifico (che pure ho praticato molte volte come nel caso del Catalogo delle concordanze musicali vivaldiane) bensì quella narrativa del romanzo storico perché più aderente alla materia trattata. Ovviamente il mio racconto è basato su fonti che ho consultato e citato continuamente per cui di mia fantasia ne rimane ben poca. La mia curiosità verso Vivaldi e la sua musica è dovuta al fatto che non possiamo conoscere nient’altro di questo uomo se non partendo dai suoi manoscritti. Di sicuro c’è l’aneddotica, la biografia e le fonti secondarie ma il nucleo fondamentale per capire e conoscere a fondo questo compositore sono le sue carte perché rivelatrici non soltanto del testo musicale ma di molte altre informazioni. Il suo usus scribendi, le raschiature sulla carta, o le cancellature di note che a noi sembrano bellissime (e corrette) permettono di comprendere quali erano i suoi gusti e la sua estetica. Per questo la perdita di quei manoscritti ha significato per molto tempo la perdita di Vivaldi stesso, della sua persona, del suo DNA.

Federico Maria Sardelli

Federico Maria Sardelli

Il suo interesse è soprattutto per il primo Vivaldi. Cosa lo ha affascinato di questa musica giovanile?

Ricostruire i lati oscuri della vicenda Vivaldi. Abbiamo delle lacune biografiche pazzesche che non troviamo in altri compositori del passato come Georg Friedrich Händel o Wolfgang Amadeus Mozart. Molti sono i documenti mancanti per completare questo mosaico di cui la maggior parte delle tessere disperse sono relative alla sua vita giovanile. Non sappiamo, per esempio, di chi sia stato allievo. Supponiamo di suo padre Gian Battista ma sono diverse le ipotesi. Sono stati fatti tanti altri nomi ma invano perché non abbiamo i documenti per dimostrare con certezza le nostre supposizioni. Tramite lo studio delle opere giovanili di Vivaldi e la scoperta di nuovi manoscritti come quella che ho fatto qualche anno fa della Sonata in sol maggiore per violino, violoncello e basso continuo RV 820 è stato notato un legame, finora inedito, con Giuseppe Torelli. Questa sonata, infatti, appartiene a un gruppo di composizioni di Torelli e dei suoi allievi, ne condivide la filigrana e il tipo di carta. Il manoscritto, che ora si trova a Dresda, proviene dall’archivio della cappella di Ansbach dove Torelli è stato Konzertmeister tra la fine del seicento e gli inizi del settecento. Torelli portava con sé la sua musica e quella dei suoi allievi, tra questi c’era anche un giovanissimo Antonio Vivaldi, forse non ancora consacrato sacerdote.

Andare alla ricerca della musica giovanile di Vivaldi ci aiuta a capire molte cose su di lui. Ma ci sono altri capitoli oscuri che andrebbero indagati. Per esempio, quello della fine: cosa ha composto nei suoi ultimi anni di vita a Vienna? Con chi ha avuto rapporti? Anche in questo caso è venuto fuori, circa due anni fa, una lettera autografa di Vivaldi datata tre mesi prima della morte. Nella lettera il Prete Rosso si rivolge a un nobiluomo tedesco, dilettante di flauto, per avvisarlo che ha composto per lui sei concerti dedicati alle nazioni e che gli invia il primo, dedicato alla Francia. Ecco, forse questi sei concerti sono l’ultima cosa che Vivaldi ha scritto ma non ne sappiamo nulla perché non possediamo i manoscritti. Quindi c’è una valanga di cose ancora da scoprire e da sapere su di lui e sulla sua musica. Ogni anno viene fuori un pezzettino di questo mosaico sbriciolato.

Attraverso lo studio di questi “capitoli oscuri” vorrei dimostrare come Antonio Vivaldi non sia stato sempre quel Vivaldi che tutti conosciamo. Vorrei imparare a ri-conoscerlo anche quando non sembra lui. Questa è la sfida: non lasciare che i nostri codici stilistici ed estetici si cristallizzino tanto da non permettere di apprezzare la diversità nella scrittura di un autore che ha iniziato la sua carriera artistica con un linguaggio tardo seicentesco per arrivare all’ultima moda galante napoletana. È un Vivaldi che non rispetta la forma in cui lo abbiamo costretto.

Silvia D’Anzelmo

 

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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