Musiche dimenticate

i concerti Biedermeier

Autore: Redazione

11 Febbraio 2019
Nella prima metà del XIX secolo i pianisti concertisti erano quasi tutti anche compositori: non era concepibile che un esecutore intraprendesse un tour internazionale senza possedere un repertorio di opere proprie. L’artista mostrava così di avere quelle doti virtuosistiche superiori e quelle attitudini inventive, sempre molto apprezzate nell’ambiente concertistico.  Questi pianisti compositori contribuirono alla diffusione di generi musicali come il concerto per pianoforte ed orchestra, contribuendo a modificare l’uso dello strumento e a trasformare radicalmente la letteratura pianistica, rinnovandone i significati del genere.
Decine di questi concerti composti fra il 1810 e il 1840 non fanno parte oggi dei programmi di sala contemporanei, sebbene possano suscitare ancora nel pubblico odierno interesse artistico e piacere. Essi sembrano caduti nell’oblio, esattamente come i nomi dei loro compositori. Ladislav Dussek (1780-1812), Johann Nepomuk Hummel (1778-1837), John Field (1782-1837), Ignaz Moscheles (1798-1870); Johann Batist Cramer (1771-1858), Ferdinand Ries (1784-1838); Frederic Kalkbrenner (1785-1849) e Sigismond Thalberg (1812-1871) sono nomi che non richiamano alla nostra memoria nessuna composizione particolare oppure, nei migliori dei casi, li ricordiamo più che altro per l’influenza che ebbero sulla didattica pianistica.
Tuttavia, non sembra corretto liquidare tale vuoto, sia nei repertori contemporanei che nella nostra memoria, come diretta conseguenza di una loro mancata genialità capace di sfidare il tempo: gli artisti in questione seppero ottenere per molti anni larga popolarità ed essi rappresentano una fase insostituibile della storia del concerto per pianoforte ed orchestra, senza la quale sarebbero incomprensibili le trasformazioni del genere successive.
D’altra parte sarebbe imprudente accostare questi compositori ai loro contemporanei romantici (Schubert, Weber, Schumann e Mendelssohn per esempio) solo perché ne condividono il periodo storico. Per questo motivo sono chiamati da Walter Niemann “para-romantici”, per significare che, in realtà, sono di secondo ordine. Tuttavia nel concetto di Romanticismo si congiunge all’idea estetica anche un’idea storica: la prima rappresenta la convinzione che in essa vi sia “la vera natura dell’arte”, mentre la seconda attribuisce ad esso il ruolo di “vero stile di un’epoca”.
Non è dunque possibile affermare che i cosiddetti “para-romantici”, indipendentemente dal loro livello, possiedono invece uno stile diverso da quello dei romantici (e non lo stesso stile a livello inferiore)?
Questi compositori potrebbero, quindi, essere racchiusi in una categoria a parte, che rappresenta uno dei tanti fenomeni della storia della musica. Questa categoria è il Biedermeier.

 L’epoca Biedermeier

L’epoca della Restaurazione (cioè il periodo dopo il Congresso di Vienna del 1814) viene definita nella storia della cultura come l’età del Biedermeier.
Questo termine deriva da un personaggio di fantasia – appunto il signor Biedermeier, protagonista di una raccolta di liriche pubblicate sul giornale umoristico “Fliegende Blatter” di Monaco – che personificava i valori proprio della Restaurazione: la parsimonia e la dedizione al lavoro quotidiano; virtù e limiti prettamente borghesi in contrapposizione alle eroiche ambizioni romantiche. L’uso del termine Biedermeier nella storia della musica pertanto è mutuato dalla storia della letteratura e dell’architettura e sottolinea il legame profondo che esso aveva con la cultura borghese, che per il discorso che stiamo affrontando appare di straordinaria rilevanza.
In quegli anni, fu principalmente l’associazionismo borghese a reggere la cultura, specialmente in area germanica: l’organizzazione della musica strumentale era sotto il controllo delle società di concerti locali.  A dare l’esempio in Germania fu Lipsia, con l’istituzione del Gewandhaus nel 1781 (il nome significa “magazzino di vestiti” e sottolinea ancora una volta il ruolo basilare che la borghesia aveva acquistato). Seguirono Francoforte, Monaco, Berlino e  la nuova tendenza si diffuse in Inghilterra e Austria. Tali istituzioni vengono definite da Dahlhaus come “una via di mezzo tra cultura aristocratica e l’odierna cultura di massa”. Esse nascevano dalla fusione della funzione culturale e dal bisogno di svago. La ricerca di varietà ed effetto indicava quell’esigenza di socialità che durò fino alla metà del XIX secolo.
La musica dell’Ottocento si trovò allora di fronte ad un bivio: se da una parte vi era il movimento romantico, contrassegnato dalla spaccatura fra compositore e grande pubblico, dall’altra vi era la categoria, che classifichiamo come Biedermeier, che si manifestò come un’unica e irripetibile mediazione fra composizione e istituzioni. La borghesia, per la prima volta nella storia, si trovava nelle condizioni di pagare per potere ascoltare la musica che più gradiva: questa musica era quella composta ed eseguita dai compositori di cui oggi si è persa memoria.

 

I concerti “virtuosistici” per pianoforte e orchestra Biedermeier: apice e declino

Il concerto virtuosistico rappresentò una delle forme più importanti della cultura borghese post rivoluzionaria. D’altro canto era il genere preferito dai pianisti-compositori per il fatto che esso permetteva l’esibizione spettacolare delle tecniche strumentali acquisite dal solista. Inoltre aveva il pregio di potere essere eseguito sia negli ampi spazi delle grandi sale offerte dalle associazioni borghesi, sia nei salotti alto borghesi che promuovevano cultura e serate di piacevole intrattenimento.
Si può facilmente comprendere come questo genere e le strutture istituzionali fossero legate a filo doppio tra loro: il carattere del concerto si doveva uniformare al gusto e in esso la borghesia si doveva identificare. Il concerto virtuosistico divenne prigioniero delle stile salottiero nell’espressione e della costruzione meccanica e stereotipata. La funzione pubblica a cui il concerto doveva rispondere era riconosciuto anche da Schumann come uno dei fattori costitutivi più importanti: “un concerto deve rallegrare o addirittura incantare una folla di centinaia di teste, che a sua volta deve incantare il virtuoso con i suoi applausi”.
Quello dei compositori virtuosi, era uno stile sofisticato che ben si sposava con gli ideali del Biedermeier e delle sue manifestazioni sociali. Da una parte i compositori tentavano di rendere “cantabile” la partitura del piano, dando sfogo a quell’ideale borghese di dignità, onestà, senso della famiglia e degli amici, dall’altra si sforzavano di divertire e stupire il loro pubblico (pagante) con quella “brillantezza” e quell’effetto scenico tipico del virtuosismo.
I compositori virtuosi mostrarono tecniche pianistiche nuove, leggiadre che si basavano sull’utilizzo di accordi aumentati o diminuiti, su passaggi rapidi basati anche sulla forza dei glissando e dei tempi. A venire incontro alle nuove richieste estetiche furono i costruttori di pianoforte dell’epoca – Broadwood, Stein, Clementi, Pleyel –  i cui miglioramenti apportati ai loro strumenti favorirono un nuovo impiego di mezzi espressivi. L’opportunità di valorizzare il tono e le potenzialità espressive del nuovo pianoforte si trasformò in un momento insostituibile del concerto. Non si possono capire le pagine di questi concerti – così cariche di effetti virtuosistici, come passi di terze, seste e ottave, oppure trilli semplici e doppi, o così affollate di note ornamentali – senza pensare alla chiarezza del pianoforte viennese.
Tuttavia, ciò che la critica ha sempre rimproverato a questi concerti sono alcune evidenti sproporzioni al loro interno: la pretesa di acquistare valore estetico, grazie alle convezioni compositive e formali, si scontra con la natura stessa di queste composizioni, dove il predominio assoluto del solista relega l’orchestra ad una parte di semplice contorno. Con l’appellativo “virtuosistici”, si vuole proprio sottolineare la differenza con quello “romantico”, che invece mostra una struttura formale nella quale la parte del Solo e quella del Tutti si mostrano sinergiche in un dialogo drammatico.
Anche sul piano formale, il concerto Biedermeier differisce da quello romantico di stampo beethoveniano. Se da una parte il concerto rimase per lungo tempo tripartito (movimento veloce – lento –veloce), la forma sonata venne ridotta ad una semplice cornice, dentro cui lo spazio sonoro veniva articolato ed esplorato dagli interventi solistici. Inoltre all’interno della nuova gerarchia dettata dal virtuoso, la cadenza (generalmente improvvisata a termine del movimento dal pianista), diventava del tutto superflua: visto l’enorme spazio già lasciato al pianoforte e data la natura d’effetto dei passaggi di “bravura” la cadenza venne abolita.
La conseguenza naturale di un consolidamento formale ed estetico di tale forma vedrà il sorgere di una nuova forma – il Concert-stück (pezzo da concerto) – costituito da più parti collegate fra loro, segnando l’inizio della crisi del genere.
Il concerto virtuosistico entrò in crisi verso il 1830: Chopin, Thalberg e Liszt abbandonarono tutte e tre la forma del concerto. Anche Schumann tentò invano, per ben tre volte, di scrivere concerti. Il concerto sembrava aver segnato la sua sorte nel momento in cui aveva man mano ridotto l’orchestra a semplice caudataria.
Il genere del concerto per pianoforte e orchestra virtuosistico venne lentamente abbandonato dai compositori che si dedicarono maggiormente alle forme sinfoniche o ai pezzi solistici. Quando Clara Wieck Schumann affermò che “non è facile scrivere un concerto, ci vogliono ardire poetico e genialità ed energia creativa, se la composizione vuole conservare un interesse duraturo” seppe scorgere dove i concerti virtuosistici dell’Ottocento furono deboli.
Riscoprire però oggi questi concerti e comprendere la loro parabola significa conoscere anche una pagina di storia della musica non soltanto importante, ma insostituibile del processo musicale: l’esperienza di questi compositori lanciò un ponte fra Beethoven e Brahms. L’enorme produzione di concerti esaurì nel giro di un trentennio le nuove possibilità dello strumento solistico e spinse ad un rinnovamento del genere. Il carattere brillante si fuse con l’eleganza nelle composizioni successive che riuscirono ad innalzare il mero elemento tecnico a espressione, il virtuosismo scenico in contenuto.

 

Alice Fumero

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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