La Fair Lady del Massimo napoletano

Il Teatro San Carlo di Napoli apre le porte al musical, abbracciando la pièce teatrale del “Pigmalione” di George Bernard Shaw nella sua forma più compiuta, il film-musical “My Fair Lady” del 1964, diretto da George Cukor.

Autore: Virginia Cirillo

19 Febbraio 2018
Le contaminazioni con la commedia musicale non sono una novità assoluta nel cartellone sancarliano, considerati i trascorsi con Candide e West Side Story, opere-musical firmate da Leonard Bernstein, ma è probabilmente la prima volta che si occupa di produrre e non solo di rappresentare un musical, in collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo; collaborazione già più volte ribadita anche nei precedenti allestimenti (La Bohème).

Considerato un “classico” del teatro musicale, “My Fair Lady” è un musical che non invecchia mai, un evergreen. Commedia del cambiamento, come denunciano le origini dal “Pigmalione” di Ovidio (il quale pure una cornice musicale suggeriva), debutta il 15 marzo 1956 a New York presso il Mark Hellinger Theatre su musiche di Alan Jay Lerner, ottenendo subito un enorme successo tanto che verrà rappresentato oltre 2.700 volte. Due anni dopo, nel 1958, lo spettacolo viene messo in scena anche a Londra. Nel 1964 è al suo battesimo cinematografico con Rex Harrison nella parte del Prof. Higgins e Audrey Hepburn nei panni della giovane Eliza che tutti noi conosciamo.
Una favola senza tempo, che racconta la storia della povera fioraia, Eliza Doolittle, che, aiutata da Henry Higgins, cinico professore di fonetica, riuscirà a diventare una donna dell’alta società, colta e sofisticata, e a riscattarsi. Il professore vincerà la scommessa con se stesso e col suo amico, il colonnello Pickering, ma, allo stesso tempo, scoprirà che non può vivere senza la giovane donna.

Il tema affrontato nel musical è più che mai attuale: la “fair lady”, la Cenerentola che da sempre attraversa gli oceani del tempo in cerca di un riscatto sociale, accettando il rischio di perdere la propria identità e radici culturali. “Diventerò così, come mi vuole lui, farò la sua felicità!” recita un celebre brano di My Fair Lady, che ha debuttato martedì 6 febbraio al Teatro San Carlo.

Noi di Quinte parallele eravamo fra il pubblico e nel dietro le quinte!

Scegliendo opportunamente l’edizione originale inglese, sottotitolata, la produzione ha risparmiato a tutti quel dialetto inventato posto sulla bocca di Audrey Hepburn dal doppiaggio italiano del film. Ciò a scapito dello slang inglese, di sicuro colto da pochi spettatori.

Nancy Sullivan, l’Eliza sancarliana, ha retto il ruolo improntandolo con freschezza giovanile e notevole presenza scenica. Attempato al punto giusto, l’ Higgins di Robert Hands non manca di quel fascino tipicamente “british” che ammalia la giovane fioraia e il pubblico. Un cast questo , fra l’altro, interamente “made in London”.

“Abbiamo ricevuto circa 2400 richieste di audizioni dalle quali abbiamo poi selezionato 300 artisti per il provino.” Si lascia scappare in conferenza stampa Paul Curran, che firma la regia. “I cantanti sono anche ballerini e attori, tutti artisti straordinari che provengono prevalentemente dal Teatro Nazionale di Londra e della Royal Shakespeare Company.”

Sul podio Donato Renzetti guida sapientemente l’orchestra del Massimo napoletano nel campo minato del musical, non sconosciuto al direttore torinese.

“È un segnale importante per un palcoscenico storico così come per un direttore (non credo agli specialisti ma alla capacità di far tutto) aprire le porte anche al musical. La musica è totale. C’è musica bella, leggera, e classica brutta, o viceversa, con capolavori in ogni genere. Io stesso, in passato, ho già diretto musical come “Kiss Me, Kate” di Cole Porter e “Cats” di Andrew Lloyd Webber.”

Il musical è una forma di spettacolo che deriva direttamente dall’Opera, qui adattata al gusto e al costume statunitense. Si tratta per lo più di commedie brillanti nelle quali sono presenti brani che appartengono alla musica leggera, al jazz, o si ispirano all’Opera lirica stessa e al Balletto. Un mix di linguaggi uniti tra loro da un’orchestrazione elegante e perfetta. Nella commedia musicale ogni particolare risulta indispensabile per la riuscita dello spettacolo, dai costumi alla scenografia, includendo regia, coreografie e luci senza dimenticare gli attori, i Performers, che devono essere in grado di comunicare emozioni ricorrendo, spesso contemporaneamente, a discipline come la recitazione, la danza e il canto.

Il Teatro San Carlo supera brillantemente la prova di adattarsi ad un genere completo, totale. Scene e costumi immergono il pubblico nella tipica atmosfera londinese di inizio novecento, tra tazze da tè minuziosamente dipinte e calici di Porto, in una Londra bene che vede consumare le proprie giornate alle corse dei cavalli e ai ricevimenti reali; capitale non priva del disincanto di cui era vittima il proletariato dell’epoca.

A completare la cornice, il Coro, disinvolto e naturale nel districarsi nella fitta rete di coreografie a cura di Kyle Lang.

“Il musical è l’opera lirica modernizzata e snellita dai cliché del melodramma; un approccio melodico più semplice, più orecchiabile e ancor più accattivante dell’Operetta.” Queste le parole degli Artisti del Coro del Teatro, chiamati a dare il loro punto di vista su questa apertura nei confronti del musical. “Le contaminazioni più contemporanee non snaturano un Tempio dell’Arte come il  San Carlo, semmai lo rinnovano dandogli nuova linfa… Come fare un lifting ad un’anziana Signora […] D’altro canto, anche negli allestimenti più tradizionali talvolta ci viene richiesto un approccio più cinematografico, con l’aggiunta del ballo e di qualche elemento (o non elemento) scenico avanguardistico, tenendo però sempre alta la precisione vocale.”

Gli interventi corali sono infatti vigorosi e perfettamente a tempo con l’incalzare della musica, nonostante gli artisti siano impegnati in passi di danza e ad una resa scenica che strizza l’occhio al cinema più che al teatro. Anche il Corpo di Ballo della Fondazione si è distinto per il suo trasformismo e per la capacità di cooperare e coesistere in scena insieme a Coro, Figuranti ed Interpreti danzanti.

Straordinario è anche l’impiego della macchina scenografica del Teatro, che vede cambi veloci a scena aperta a favore di una fluidità maggiore nella rappresentazione.Sebbene dunque Opera e Musical siano già cuciti insieme da un sottile filo cronologico, gli adattamenti registici più recenti dei melodrammi classici hanno trovato una commistione fra questi due generi, rafforzandone il legame temporale e quasi fondendoli in un unico genere; picco massimo, questo, della libertà espressiva conquistata dalla regia contemporanea.

In un periodo in cui è facile ormai spacciare un qualsivoglia timbro vocale per puro belcanto, il Massimo napoletano si fa promotore di un’apertura che guarda con lungimiranza ad una pluralità di generi, a favore di una stagione teatrale completa, che accontenta tutti i gusti e che mette alla prova gli Artisti, parte integrante di questi spettacoli, in una scommessa, in questo caso più che mai vinta, fra chi storce il naso davanti a queste contaminazioni moderne e chi si fa promotore di una cultura musicale e teatrale a tutto tondo.

Gli spettatori, un po’ provati dalla lunghezza dell’allestimento e dai dialoghi in lingua originale, complice anche l’unico intervallo che ha sì favorito un maggiore fruire della storia ma forse a scapito dell’attenzione dei loggionisti più affezionati abituati alle tradizionali pause fra un atto e l’altro, alla fine applaudono convinti, sentendosi probabilmente più cinefili che melomani per una sera. O forse no?

“Essere spettatrice stasera mi ha fatto tornare bambina. La musica di My fair Lady è qui libera dalla gabbia della pellicola cinematografica, troppo stretta per le grandi composizioni. E’ certamente il Teatro il luogo deputato per questo musical e il San Carlo non è rimasto indifferente al suo potenziale” 

 Virginia Cirillo

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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