I Lieder di Mahler: la sublimazione di un genere

Gustav Mahler è conosciuto, giustamente, come autore di maestose sinfonie: la maggior parte della sua produzione musicale si concentra infatti su questo genere, con nove sinfonie, una decima incompiuta, e due imponenti lavori orchestrali e vocali come il giovanile Das Klagende Lied (“canto del lamento e dell’accusa”) e il tardo Das Lied von der Erde (“Il canto della terra”).

Autore: Gianluca Cremona

13 Febbraio 2018
Nello stesso tempo, però, non bisogna dimenticare il secondo importante filone che egli ha perseguito per tutta la sua attività, quello liederistico, ovvero della musica vocale da camera.

 

Prima di parlare dei Lieder di Mahler, bisogna chiedersi in generale in cosa consista questa forma musicale, andando ad analizzare come si sia sviluppata lungo il suo percorso storico fino ad arrivare al compositore austriaco. Il Lied (“canto”), nasce fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento in territorio tedesco come genere musicale per amatori: si tratta di una forma piuttosto semplice, spesso basata sul classico schema “A – B – A” dell’aria; viene affiancata una melodia non troppo complessa, né come estensione, né come intervalli, ad un accompagnamento per tastiera – più tardi pianistico – di non difficile esecuzione, scritto in funzione del canto. Fra i primi autori di Lieder dobbiamo senza dubbio annoverare Haydn: oggi studiati spesso dai cantanti per fini squisitamente didattici, i Lieder di questo musicista sono scritti all’insegna della purezza e della semplicità. La linea del canto si muove nel lasso di un intervallo relativamente ristretto, e la scrittura pianistica è scarna, composta di un basso e pochi accordi completi.  Con Beethoven, l’idea di duo acquista invece maggiore peso, con la parte pianistica scritta per esteso, alla quale viene però relegato un ruolo, per quanto raffinato, di accompagnamento. E’ il caso del Lied “Ich liebe dich” WoO 123, nel quale il pianoforte adatta un unico schema metrico alle diverse situazioni armoniche e melodiche suscitate dalla voce. Nei lieder dalla raccolta An die ferne Geliebte op. 98 notiamo invece come l’accompagnamento raddoppi spesso la linea del canto, arricchendola, armonicamente e ritmicamente, e cambiando spesso, alla ripetizione delle strofe, la configurazione metrica. Beethoven, con questi elementi, si avvicina sempre di più al lied come lo conosciamo oggi. La parte strumentale ha acquisito quindi una propria densità, ma non ha ancora raggiunto quell’indipendenza dalla parte vocale che ci permette di parlare di “musica da camera”, nella quale ogni componente deve avere di per sé una propria realizzazione: la completezza verrà data dalla fusione necessaria di questi elementi più o meno contrastanti fra loro.

 

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L’affermazione del lied, come genere musicale maturo e di alto spessore artistico, l’abbiamo con Schubert, non solo per quantità di lieder scritti, ma anche per la profondità che egli vi attribuisce. Nasce l’idea di una “poesia in musica”, ovvero una sorta di interpretazione musicale e sonora di brani poetici di autori più o meno importanti, compresi e assimilati dal compositore. In seguito all’esperienza schubertiana individuiamo un punto di svolta che porta ad una differenziazione netta – anche se non sempre contrassegnata da cambiamenti strutturali – tra l’aria d’opera e il Lied: quest’ultimo, soprattutto ai tempi di Schubert, è connotato molto dalla grande attenzione alla declamazione della parola, alla sottolineatura di ogni sfumatura psicologica o emozionale che essa può evocare. Anche nell’aria d’opera, senza dubbio, vi è la descrizione dello stato d’animo, ma esso è colto nella contingenza dell’azione drammatica, e in funzione di essa. Nel lied vi è invece la delineazione delle emozioni e dei sentimenti come assoluti, astratti da una specifica realtà concreta. Ed è così che i lieder passano dall’essere composizioni didattiche o comunque di svago al diventare un genere “di nicchia”, con una propria prassi e una propria dignità, un percorso non troppo diverso da quello del quartetto d’archi e, perchè no, della sinfonia. Per quanto riguarda queste due forme appena citate, possiamo affermare che, dopo Beethoven, per ogni compositore è diventata una vera e propria sfida cimentarsi con un quartetto o con una sinfonia, considerando il peso che a questi generi è stato conferito dal musicista di Bonn. Allo stesso modo, dopo Schubert non è più stato facile per nessuno scrivere Lieder che avessero lo stesso peso emotivo e la stessa importanza musicale di quelli di colui che aveva reso grande questo genere.

A tal proposito, bisogna notare l’importanza sempre maggiore e il ruolo sempre più centrale che giocano l’introspezione, la parola, la narrazione. Nascono i “cicli”, insieme di più composizioni vocali che seguono un unico filo logico discorsivo, un unico personaggio o argomento. Schubert, al termine della propria esperienza compositiva, scrive il Winterreise (“Viaggio d’inverno”), uno dei maggiori capolavori del musicista austriaco, su poesie di Wilhelm Müller. Quest’ultimo, nel proprio omonimo ciclo di poesie, narra di un uomo che, perduto l’amore della propria diletta per qualche ragione non specificata, decide di abbandonare la propria vita intraprendendo un lungo viaggio senza meta, nel gelo dell’inverno. Questa trama non è altro che un pretesto per introdurre temi quali la solitudine dell’uomo, il confronto con la morte, l’eterna condizione di infelicità del poeta in contrasto con una gioia che non può che essere illusoria, costituita solo dall’immaginazione o dal ricordo. L’inverno è la controparte del protagonista: è colui che nasconde l’erba verde, i fiori, blocca – idealmente – lo scorrere del fiume. Non si tratta più di un elemento “scenografico”, di circostanza, ma diventa metafora della solitudine dell’individuo. Il lavoro che quindi Schubert svolge nel musicare queste liriche è quello di esaltare gli elementi poetici, con una musica che nasconde un grande contrasto di emozioni che convivono fra loro, in un’unica amalgama annebbiata da una patina di distacco e di cinismo: il distacco non è dato dal disinteresse del narratore, ma dalla rassegnazione del protagonista, al quale rimangono pochi slanci emotivi prima di chiudersi completamente nella propria fredda solitudine. In questo ciclo, gli universi del cantante e del pianista si separano: al primo è assegnato il racconto, la recitazione, al secondo la creazione di un’atmosfera musicale ed emotiva, la sottolineatura delle sensazioni.

 

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Da qui in poi diversi compositori si cimentarono in questo genere: fra questi ci furono Schumann – col suo splendido ciclo Dichterliebe, “amor di poeta” – e Brahms. Per certi versi si può però affermare che nessuno dei due apportò particolari novità al genere, nonostante le connotazioni personali che ciascuno di loro seppe dare, ma che facevano già probabilmente parte di un linguaggio musicale già acquisito. Possiamo quindi riconoscere che, il primo grande rivoluzionario per questo genere è stato Gustav Mahler.

Che rapporto c’è fra quest’ultimo e Schubert? Senza dubbio si parla di due stranieri in patria austriaca: il primo boemo, il secondo tedesco. Due stranieri che però seppero, quasi come nessun altro, acquisire fortemente la tradizione viennese, sia per quanto riguarda il genere sinfonico classico, che per quanto riguarda il Landler e il Walzer, al punto da saperla riproporre in modo trasfigurato, beffardo o nostalgico come costante delle proprie composizioni. In secondo luogo, Mahler ha sempre amato il linguaggio musicale di Schubert, probabilmente apprezzandone l’affinità col proprio. In entrambi infatti, ritroviamo la desolazione dell’individuo, l’idea del Wanderer (“viandante”), lo sguardo ironico ma allo stesso tempo pavido nei confronti di una natura circostante egemone, talvolta maligna, talvolta benevola.

Per quanto riguarda i Lieder in particolare, è interessante notare – seguendo la lettura di Quirino Principe (Mahler, la musica fra eros e thanatos) – come Mahler prenda spunto, per comporre i propri, più dalle sonate per pianoforte di Schubert che dalle composizioni di genere omologo. Quello che interessa al compositore boemo non è quindi il lied in sé come concepito dal “padre” del genere, ma il linguaggio musicale di quest’ultimo nella sua integrità. È il caso di chiedersi quali siano nello specifico i punti di contatto fra il lied di Mahler e quello di Schubert, e forse, più in generale, le affinità di linguaggio fra i due compositori. In primo luogo, entrambi concepiscono la musica non in modo strutturale, ma come un’unica massa in costante evoluzione, che si intride di molteplici influenze provenienti da ciò che la circonda, muovendosi sempre liberamente. Nelle sonate e nei lieder di Schubert sentiamo più volte imitazioni, richiami di corni, suggestioni di ambienti naturali, per poi passare a momenti di intimismo introspettivo, tornando poi alla giocosità e alla mondanità delle danze viennesi. Nello stesso tempo Mahler inserisce nelle sinfonie “volgari” marce militari, una grande quantità di musica popolare, versi di uccelli, per poi passare a situazioni quasi riflessive, nostalgiche, o fortemente tragiche. Sia per Mahler che per Schubert è fondamentale la dialettica stasi – movimento, al punto da divenire alle volte il fulcro dell’idea musicale. Un esempio può essere costituito dai Kindertotenlieder (“lieder per bambini morti”), opera composta nel pieno della maturità stilistica dell’autore, su testi di Ruckert.

Nello specifico, parlando del del quarto – toccante – lied, possiamo notare come il flusso di note oscilli fra l’idea di “camminata” e quella di “stasi”, intesa come momento di riflessione o di speranza: il lo schema metrico dell’accompagnamento segue il canto in modo omogeneo finchè non giunge a momenti di staticità quasi totale, nella quale il ritmo armonico si stabilizza su pochi accordi, che preparano ad una nuova partenza del modello precedentemente sentito. Allo stesso tempo, un altro è il particolare che ci richiama alla mente Schubert: il modo maggiore. Leggendo il testo, viene da chiedersi come una vicenda brutalmente tragica come questa possa essere descritta con una musica e una melodia tanto semplici, per certi versi, scorrevoli, e, ad un primo ascolto non troppo attento, tanto serene. Il modo maggiore, in questo caso, assume su di sé la funzione di felicità illusoria, sogno di felicità. Come in Fruhlingstraum, nel Winterreise, Schubert descrive un uomo che nel gelo del suo viaggio solitario d’inverno ha l’illusione di vedere intorno a sé una nuova primavera, allo stesso modo Mahler, con questa musica tragicamente ingenua e spensierata, riproduce la falsa speranza di una madre che spera nel ritorno a casa dei figli ormai defunti. Da qui, deriva un cinismo proprio del linguaggio dei due musicisti: il cinismo di un cantastorie che si fa portatore di narrazioni di un mondo al quale egli non appartiene. E da questo punto di vista Mahler si distingue, per certi versi, da Schubert: mentre quest’ultimo tende ad immedesimarsi, col passare degli anni sempre di più, coi personaggi narrati nelle poesie, il primo ambienta gran parte dei suoi lieder all’interno di una realtà lontana, alle volte idillica, alle volte leggendaria.

 

4.
Oft denk’ ich, sie sind nur ausgegangen!
Bald werden sie wieder nach Hause gelangen!
Der Tag ist schön! 0 sei nicht bang!
Sie machen nur einen weiten Gang.Ja wohl, sie sind nur ausgegangen
Und werden jetzt nach Hause gelangen.
0 sei nicht bang, der Tag ist schön!
Sie machen nur den Gang zu jenen Höhn!Sie sind uns nur vorausgegangen
Und werden nicht wieder nach Haus gelangen!
Wir holen sie ein auf jenen Höhn
Im Sonnenschein! Der Tag ist schön
Auf jenen Höhn.
4.
Io penso spesso: sono solo usciti,
presto saranno di ritorno a casa!
Il giorno è bello. No, non angosciarti,
fanno solo una lunga passeggiata.Ma sì: semplicemente sono usciti,
ora, vedrai, ritorneranno a casa.
Non angosciarti, la giornata è bella!
Fanno due passi, là, su quelle alture!Sì, sono usciti un po’ prima di noi,
e non faranno più ritorno a casa!
Su quelle alture li raggiungeremo,
in pieno sole! La giornata è bella
su quelle alture.

(traduzione di Quirino Principe)

 

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Al lettore più attento non sarà sfuggito un dettaglio, dopo l’ascolto del lied di Mahler sopra citato: l’accompagnamento non è dato dal pianoforte, ma da un’orchestra sinfonica. A questo proposito possiamo sottolineare una delle grandi rivoluzioni apportate dal musicista boemo al genere liederistico, ovvero il passaggio dall’essere musica concepita per ambienti ristretti, salotti, piccole sale da concerto, al divenire un genere maestoso fino a trovare il proprio posto all’interno dell’ambiente sinfonico. Il primo ciclo di lieder accompagnato da orchestra della storia è rappresentato dai Lieder eines fahrenden Gesellen (“Canti di un viandante”, 1807): composti nel periodo della prima sinfonia, su testi di Mahler, essi riprendono la tematica schubertiana del wanderer. In questo caso, al contrario del Winterreise, il viaggio avviene in primavera. Parlare di questo ciclo, per certi versi abbastanza vicino a quelli di Schubert, ci consente di sottolineare poi un’ulteriore differenza fra i due compositori, in questo caso nella struttura e nella natura melodica di questi lieder: per quanto riguarda il primo dei due aspetti, anche negli ultimi cicli, Schubert non abbandona la forma strofica, mentre Mahler si avvia sempre di più verso una maggiore libertà strutturale. I lieder di quest’ultimo, in secondo luogo – volendo fare una considerazione di carattere generale, non solo riferita al ciclo in questione – non abbandonano mai l’idea di un canto “puro”, essenziale: la linea vocale si dischiude in modo imprevedibile, senza essere soggiogata ad un apparente principio logico. La melodia è distesa, eterea; segue misteriosi percorsi, e su di essa si modella il resto. Da questo punto di vista Mahler risente della grande lezione della Undeliche Melodie (“melodia infinita”) di Richard Wagner.

 

È quindi il caso di sottolineare le tre “funzioni” – termine che non coglie appieno le prerogative del prodotto artistico – che assume il Lied per Gustav Mahler. In primo luogo, il compositore li utilizza come sperimentazione di più stili e ambientazioni. È il caso dei lieder che egli ha scritto in gioventù, i Lieder aus der Jugendzeit (“Canti dei tempi della giovinezza), con accompagnamento pianistico: per quanto molti di essi possano essere considerati piccoli capolavori, possono figurare come tentativi i approcciarsi a diversi linguaggi e percorsi musicali. In alcuni di essi, come Hans und Grete, sono già presenti i ritmi baldanzosi e ripetitivi di una danza popolare, con particolare riferimento al landler. In altri, come Um schlimme Kinder artig zu machen, ritroviamo il fragilissimo equilibrio fra un limpido neoclassicismo e un linguaggio aspramente dissonante e grottesco, dialettica che ritroveremo, in particolare, nella quarta sinfonia, nella quale, dopo un’onirica introduzione con campanelli, ha inizio un primo tema di carattere mozartiano. Nel terreno della sperimentazione non va dimenticato il ciclo Des Knaben Wunderhorn, prima per voce e pianoforte ed in seguito orchestrato. Si tratta di un’opera concepita come unitaria, ma in essa il compositore scopre molte della ambientazioni allo stesso tempo riflessive ed inquietanti che faranno parte del suo linguaggio in fase di maturità.

 

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Questo ciclo ci permette di citare la seconda funzione del lied per Mahler: il suo utilizzo come “banco di prova” per la stesura di sinfonie. Gran parte del materiale musicale del Wunderhorn è stato infatti riutilizzato per la stesura di tre grandi sinfonie, la seconda la terza e la quarta. Il lied Urlicht (“luce primordiale”) lo ritroviamo praticamente invariato, e orchestrato, all’interno della sinfonia Resurrezione, utilizzato quasi come “aria” di un contralto/mezzo-soprano all’interno di una composizione di più vaste proporzioni. Lo stesso discorso è applicabile anche per quanto riguarda la prima sinfonia, che contiene gran parte delle melodie del ciclo Canti di un viandante precedentemente citato. Ciò non sottolinea certo una scarsa inventiva musicale da parte di Mahler, costretto a riciclare musica precedentemente scritta, situazione decisamente poco credibile. Al contrario, il riutilizzo di materiale liederistico in ambito sinfonico è la dimostrazione di come Mahler elevi il lied a germoglio e fulcro dell’invenzione musicale, non separando più l’ambiente orchestrale da quello cameristico.

 

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Esistono, infine, cicli di lieder concepiti come opere d’arte a sé stanti. È il caso dei Kindertotenlieder e dei Ruckert lieder, entrambi scritti su testi di Ruckert, nel lasso di tempo intercorso fra la stesura della quinta e della sesta sinfonia. I Ruckert lieder rappresentano forse il più importante punto di avvicinamento fra il musicista e il poeta – cantore. Nel lied “Ich Bin Der Welt Abhanden Gekommen (“Sono ormai perduto al mondo”) infatti vi è la rappresentazione di un uomo che ha perso totalmente la speranza nel mondo da aver trovato la serenità, in un totale disinteresse per ciò che lo circonda, all’insegna del concetto espresso negli ultimi due versi: “Vivo solo nel mio cielo / Nel mio amore, nel mio canto”. Troviamo un’atmosfera molto malinconica, statica, ma nello stesso sognante, non molto distante da quella del celebre Adagietto della quinta sinfonia. La linea del canto qui risulta morbida, sinuosa: la voce fonde il proprio suono con quello delicato dell’orchestra, in una linea melodica che sembra muoversi liberamente. Per quanto riguarda i Kindertotenlieder, cinque canti dal contenuto testuale altamente tragico, possiamo affermare che, per la loro struttura prevalentemente strofica, per la costante idea di “ritorno”, in senso musicale, e per un quieto intimismo, rappresentano il ciclo di Mahler più schubertiano che egli abbia mai scritto. Come elemento aggiunto, vi è un’orchestra che arricchisce le situazioni emotive con una grande quantità di timbri, suoni “onomatopeici”, richiami e descrizioni di particolari ambientazioni.

 

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Della stessa categoria di Lieder fanno parte i sei contenuti in una delle opere più imponenti del compositore austriaco: Das Lied von der Erde (“Il canto della terra”). Si tratta di una sorta di sinfonia per contralto e tenore solisti, e incarna senza dubbio la piena fusione fra il genere sinfonico e quello liederistico. Si tratta di un ciclo di sei lieder su liriche cinesi, tradotte ovviamente in lingua tedesca. Se Il canto della terra fosse stato composto solo dai primi cinque, non si differenzierebbe troppo, se non stilisticamente – si tratta infatti del tardo Mahler, fra l’ottava e la nona sinfonia – dai due cicli precedentemente citati. Se non fosse che l’ultimo lied, L’addio, ha la durata di ben 30 minuti: una composizione per voce solista che ricoprisse un arco di tempo così vasto era assai inusuale al tempo, e persino ad oggi è difficile enumerarne di simili. È qui che l’autore ci sorprende ancora una volta: in un tripudio di innovativi timbri orchestrali, stilemi musicali orientali, e un’originale, raffinata e splendida orchestrazione, egli estende i limiti del lied oltre l’immaginabile, elaborando una struttura ancor più libera di quelle sentite fino a questo momento. Il canto si divide tra recitativi, momenti ariosi e altri di grande trasporto, assecondato da un tessuto orchestrale che modella la propria densità, il proprio moto, la propria timbrica sulla base delle sfumature vocali: la voce qui non richiama il cantante lirico, quanto piuttosto l’assolo di uno strumento dell’ensemble. Le parti vocali sono talvolta divise da imponenti intermezzi orchestrali, che richiamano ciò che è già avvenuto o preparano a ciò che sta per accadere. Accompagnato da un’orchestrazione basata su pizzicato degli archi e dei mandolini, con un richiamo armonico alla musica cinese, sentiamo l’anticipazione di un tema che ascolteremo nuovamente nelle due oasi liriche che si trovano una a metà, l’altra verso la parte conclusiva del brano. Nel finale, sulle parole “ewig, ewig” (“eternamente, eternamente”), la strumentazione si affievolisce insieme al suono della voce: si tratta dell’ennesima conferma della grande capacità di Mahler nel trattamento del canto, in particolare per quanto riguarda il contralto. L’orchestrazione, su queste parole ripetute, dapprima ricca, si riduce in densità, mentre, nella figurazione di mondi lontani e idilliaci, un’appoggiatura sulla fondamentale di un accordo di tonica di Do maggiore rimane irrisolta.

Da questo quadro emerge un compositore che è stato in grado di assumere i canoni musicali della sua epoca, elaborarli per poi rivoluzionarli, ripresentarli in una luce del tutto nuova. Come per la sinfonia, Mahler eleva il Lied ad un livello supremo, facendolo risorgere come un genere del tutto nuovo, mostrandone tutte le possibili potenzialità e sfaccettature. Non è un caso che le sue composizioni vocali, nello specifico Il canto della terra, affascineranno molto compositori, quali Berg, per la loro grande capacità di coniugare l’idea di tradizione a quella di grande modernità, senza però mostrare la necessità di lanciare provocazioni o fondare psichedelici movimenti d’avanguardia, ma all’insegna della pura ricerca del “bello”.

Gianluca Cremona

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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