Stravinsky e Picasso: fra tradizione e innovazione

Il Novecento, a livello artistico e culturale, a differenza di altri secoli, è stato caratterizzato da una quantità mai vista di correnti di pensiero contrastanti. Mentre l’Ottocento, da una parte, è trascorso sotto il dominio assoluto del romanticismo, certamente in tutte le proprie svariate sfumature, il XX secolo ha assistito allo scontro di innumerevoli fazioni artistiche – culturali. Uno dei temi maggiormente discussi è stato rappresentato dalla storica diatriba tradizione – innovazione, che in questo secolo ha raggiunto l’apice della propria tensione. Due artisti, su tutti, si sono sobbarcati il peso di questo scontro: Stravinsky e Picasso. La fama di questi due maestri, nei rispettivi campi, è andata oltre l’ambiente accademico, sino a raggiungere la sfera della cultura popolare, tant’è che potrebbero essere tranquillamente definiti come i due artisti più influenti del Novecento.


Stravinsky e Picasso nascono rispettivamente nel 1882 e 1881. Entrambi ricevono una formazione prettamente accademica ma, mentre il compositore aspetta molti anni prima di sperimentare uno stile proprio, rimanendo quasi chiuso all’interno dell’ambiente scolastico, Picasso si mette subito in gioco azzardando tentativi di creare un genere pittorico originale ed innovativo, guardando volentieri alle correnti avanguardiste di fine Ottocento che lo circondano. Il musicista russo invece mostra i primi segni di una timida intraprendenza artistica solo con i
Fuochi d’artificio op. 4 del 1908, opera che segue di pochi anni una Sinfonia in mi bemolle di matrice accademica – poco si discosta infatti dalle prime sinfonie di Scriabin o da quelle di Rachmaninov – e una sonata per pianoforte in Fa diesis di carattere brahmsiano. Questa prima composizione, per così dire, “indipendente”, nonostante la chiara influenza di brani come l’Apprendista stregone di Dukas e di un certo genere di musica francese di fine Ottocento, costituisce il germoglio dal quale nascerà quello che i critici definiscono comunemente come “periodo russo”. A questo punto possiamo sottolineare due analogie che si sono venute a creare fra Picasso e Stravinsky: come prima cosa, il fatto che entrambi abbiano visto nelle correnti artistiche francesi come una “via d’uscita” dall’accademismo dilagante che li circondava. In secondo luogo, questi due maestri, nel costante tentativo di rinnovarsi, hanno alternato costantemente periodi stilistici apparentemente anche opposti tra loro, influenzando, nello stesso tempo, il clima culturale che avevano intorno. La differenza tra i due probabilmente risiede nelle tempistiche di questi cambiamenti: mentre Picasso ha quasi sempre prediletto il passaggio graduale tra un periodo stilistico e quello successivo, lavorando molto spesso su più fronti, Stravinsky si è reso protagonista di cambiamenti folgoranti e repentini, segnati da date precise e composizioni che egli stesso aveva stabilito che avrebbero sovvertito i propri canoni artistici.

Le moulin de la gallette

Ciò non toglie che, anche nel percorso artistico di Picasso, ci sia una vera e propria svolta rivoluzionaria, che ha inizio nel 1907 con Les demoiselles d’Avignon (in copertina a questo articolo): è l’inizio del periodo cubista. Questa fase è probabilmente segnata dall’interesse da parte dei fauves per l’arte africana, nella quale l’artista spagnolo riconosce una spontaneità innata, un istinto travolgente, il tutto, come scrive Alfonso Panzetta, passando per il “superamento delle leggi prospettiche tradizionali”. Questo momento artistico va quindi dal 1907 al 1913, e corrisponde, cronologicamente, al precedentemente citato periodo russo (o periodo fauve) di Stravinsky, che invece ricopre un lasso di tempo fra il 1909 e il 1919. Mai, come ora, i due artisti saranno così vicini all’interno del proprio percorso stilistico: si tratta in un momento in cui esplorano la primitività repressa che si nasconde all’interno dell’uomo moderno, utilizzando un’arte che non ha bisogno di essere contestualizzata o razionalizzata, ma che giunge al pubblico in modo spontaneo e travolgente al tempo stesso. Non è un caso che i capolavori di questi artisti nello stesso periodo, ovvero Les demoiselles d’Avignon per Picasso e il balletto Sacre du printemps (1913), siano stati accolti in un generale fragore e sconcerto, tanto da generare un vero e proprio scandalo: gli amici del pittore, fra i quali anche l’importante mecenate Gertrude Stein, rifiutarono questo dipinto, interpretandolo quasi come un atto provocatorio e caricaturale dell’arte a loro contemporanea; niente in confronto alla clamorosa rivolta del pubblico alla prima esecuzione della Sagra della primavera il 29 maggio del 1913 al Théâtre des Champs Élysées.

 

Interessante è notare come Picasso e Stravinsky siano riusciti a perseguire il medesimo fine partendo da basi che in un certo senso si trovano agli antipodi. Mentre infatti il pittore riscopre l’animo selvaggio dell’essere umano attraverso il confronto reale con un’arte primitiva e il conseguente studio di essa, sorprendentemente il compositore non utilizza particolari termini di paragone per scoprire quel fuoco primordiale che anima gli uomini: piuttosto ritrova nel profondo del proprio subconscio il carattere primario e selvaggio di un mondo che non è realmente esistito, ma che sarebbe potuto essere e che è l’incarnazione dell’indole istintiva umana. Mentre Picasso, per dipingere le prostitute di una “casa di piacere”, si rifà alle figure statiche ma flessuose delle statue di arte “negra”, Stravinsky compie il percorso inverso: prendendo atto del fatto che vi è un’anima oscura sconosciuta agli uomini razionali e scientifici della propria epoca, che schematizzano i sentimenti e le emozioni sul base di un forzato meccanismo che si è venuto a creare col tempo, ripropone questi elementi di rottura inconsapevoli e, per un certo verso, spaventosi in un mondo primordiale fittizio e da lui appositamente creato per generare un’idea virtuale di primitività. L’immagine che darà origine al Sacre, ovvero quella di una giovane donna costretta a danzare fino alla morte al cospetto di una schiera di vecchioni, il tutto seguendo un immaginario rito propiziatorio della Russia pagana allo scopo di ottenere una primavera rigogliosa, non è nient’altro che un sogno dal quale il compositore si sveglia, folgorato da un nuovo spirito creativo. Stravinsky e Picasso vogliono tracciare una linea rossa che ha inesorabilmente accompagnato gli uomini durante la loro storia: quella degli istinti naturali, dei quali difficilmente gli umani riescono a liberarsi, nonostante l’elevato grado di progresso. È facile per questo notare un’analogia fra le forme bizzarre e asettiche del Picasso cubista e la musica istintiva, priva di schemi reali, grottesca, ripetitiva e a tratti brutale del compositore. Stravinsky ambienta le proprie composizioni di questo periodo all’interno di uno scenario costituito da quelle che potrebbero essere definite come “antichità russe”, come avviene anche in opere come Renard, Les Noces o lo stesso Sacre, e da qui proviene la definizione di “periodo russo”.   Superata questa fase, che per ambedue gli artisti è stata sicuramente la più ispirata e innovativa, entrambi hanno sentito il bisogno di trovare un modo per “riordinare” tutto quel sistema di convenzioni che essi avevano contribuito a sconvolgere. È così che approdano, all’incirca negli stessi anni, al cosiddetto periodo “neoclassico”: è qui che Picasso riscopre la monumentale volumetricità quasi michelangiolesca delle forme, ispirata senz’altro da un viaggio a Roma nel 1917 che gli ha permesso di ammirare dal vivo i capolavori di artisti rinascimentali italiani, e Stravinsky dall’altro lato cerca di recuperare le forme e gli stilemi classici per sperimentarle e riadattarle secondo i traguardi armonici e ritmici raggiunti con l’avvento del Novecento, e un primo esempio di questo stile lo abbiamo col balletto neo-baroccco Pulcinella (1919). Le opere di questo periodo, per entrambi gli artisti, danno l’impressione di una staticità calcolata e quasi manieristica, e il furor creativo, che per entrambi ha costituito il periodo fauve, lascia il posto ad un attento calcolo e studio delle misure e delle proporzioni. Le emozioni e i sentimenti, intesi in senso romantico, non vengono esplicitati nelle opere di questo periodo, ma, una volta preso atto di essi, vengono osservati con distacco e, nel caso specifico di Stravinsky, con ironia: si pensi alle melodie cantabili del Concerto per violino (1931), trattate però in modo armonicamente non convenzionale e musicalmente contro intuitivo, o alle situazioni drammatiche delle opere Oedipus Rex (1927) e La carriera del libertino (1947 – 1951), che il compositore affronta quasi schematicamente e con uno sguardo cinico, quasi compiaciuto. Nel flauto di Pan (1923) di Picasso, il lavoro più importante di questo periodo per l’artista, vediamo allo stesso tempo il ritorno ad una statuarietà quasi plastica delle forme, mentre la prospettiva appare in qualche modo falsata: quello dei due maestri è una ripresa dell’accademismo per niente scontato, e che, in un certo senso, sconvolge ancor di più i canoni classici, rimettendoli in gioco in una veste assolutamente nuova.

Il Flauto di Pan

È a questo punto che si separano i percorsi dei due artisti: mentre Picasso vede il neoclassicismo come una fase di passaggio, e da questo momento in poi continua a sperimentare nuovi stili, che come sempre rappresentano la summa e l’acquisizione di quelli precedenti, Stravinsky ne fa la propria bandiera, arrivando ad influenzare la musica ed esso contemporanea – si pensi alle composizioni di Poulenc, Hindemith, Britten e tanti altri – fino al  1951, anno nel quale si assiste alla prima esecuzione dell’ultimo capolavoro neoclassico, La carriera del libertino. Il musicista russo, da questo momento fino alla morte, si dedica alla rivisitazione della propria opera nella sua totalità, e all’assunzione – e presa di coscienza – di una musica nuova, quella seriale e atonale della seconda scuola di Vienna. Anche Picasso volge lo sguardo indietro, ma lo fa prendendo in considerazione l’intera cultura pittorica sua connazionale, e un esempio lampante lo abbiamo col Ritratto di pittore da El Greco del 1950.

Ritratto di un pittore, da El Greco

Stravinsky e Picasso hanno quindi segnato il percorso artistico del proprio secolo, percorrendo strade analoghe nei rispettivi campi: partendo dalla formazione accademica, hanno rivoluzionato la cultura del proprio tempo con capolavori folgoranti e contrastanti; una volta riconosciuti, hanno avviato un progetto di riforma artistica inserendo all’interno della propria opera una saggia e ricercata razionalità; infine, dopo che sono stati riconosciuti come fenomeno storico – culturale, hanno preso atto del fatto di essere icone del proprio tempo e hanno vissuto abbastanza a lungo da poter godere del risultato del proprio percorso.

Ritratto di Stravinsky, Picasso

 

Gianluca Cremona

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