Guardare l’opera: Il Crepuscolo degli dèi di Richard Wagner

Il rapimento di chi vede tramontare un mondo vetusto sarà al tempo stesso consapevolezza di un nuovo mondo?

Autore: Silvia D'Anzelmo

2 Giugno 2017

Tutto quel che è, finisce! ammonisce profeticamente Erda. E noi siamo giunti ormai sull’orlo del precipizio, a una fine annunciata e attesa già da molto tempo: Götterdämmerung, principio e termine della saga nibelungica; la grandiosa vicenda si chiude con il suo nucleo generatore, quella iniziale Siegfrieds Tod dalla quale Richard Wagner è partito per costruire a ritroso l’intero Der ring des Nibelungen. L’opera, concepita nel 1848, era autonoma e in sé conchiusa, drammaturgicamente e tematicamente inserita nel filone delle opere romantiche  -come Tannhäuser e Lohengrin– ma l’urgenza artistica portò Wagner a risalire fino agli antefatti remoti del racconto per dare coerenza a questo mito moderno in cui la Götterdämmerung andava a inserirsi come apocalisse ineluttabile. Mentre il racconto venne confezionato a ritroso, la musica seguì il flusso dell’azione, per cui, l’origine della saga venne musicata per ultima, a distanza di innumerevoli anni in cui trasformazioni e ripensamenti agitarono la mente del compositore.

 

Nonostante la monumentale gestazione, Wagner tentò di mantenere una coerente continuità nel racconto, e riuscì a farlo perché:

Il mito dell’anello costituisce il fatto che tiene insieme tematicamente le singole parti della tetralogia, come incatenandole l’una all’altra con un destino cui nessuno si può sottrarre.

Nonostante questo,

I singoli intrecci collegati dal requisito allegorico -i miti del furto dell’oro del Reno, dell’edificazione del Walhalla, del “grande pensiero” di Wotan, della lotta di Siegfried contro il drago e degli intrighi di Hagen- costituiscono una successione epica piuttosto che un’unica azione drammatica. Sebbene tematicamente intrecciati, essi sono, dal punto di vista strutturale, conchiusi in se stessi.

In effetti, ogni parte del racconto si cristallizza in una forma che gli è propria, sia a livello drammaturgico che musicale: Das Rheingold ha l’impronta del mito, Die Walküre quella della tragedia mentre Siegfried è una fiaba, resta da scoprire la forma fenomenica della Götterdämmerung.
La drammaturgia dell’opera che chiude il Ring, come già accennato, è legata a un’estetica lontana dal Musikdrama di cui Wagner non ha ancora dato una definizione precisa; siamo nel 1848 e il clima estetico-filosofico cui la futura Götterdämmerung partecipa è fortemente legato alle opere che il compositore definisce “romantiche” perché basate su un soggetto leggendario, su una struttura drammatica che non si articola in numeri singoli ma si agglomera in gruppi di scene, e sulla redenzione finale dal male grazie al sacrificio d’amore.

In effetti, la versione finale dell’opera mantiene intatti questi lineamenti: quando Wagner, anni dopo, riprende il testo per musicarlo non mette mano alla struttura complessiva, tutto rimane come era stato concepito nel lontano 1848. Si crea quindi un’ambivalenza tra la struttura testuale e la realizzazione musicale del dramma che partecipa sia della forma operistica tradizionale che della “sinfonia drammatica” in cui si articola la melodia infinita; tale ambivalenza non è legata solo alla struttura ma anche alla narrazione che incastra il dramma eroico nel racconto mitico: la musica cinge il dramma della morte di Siegfried con presentimenti, richiami e ricordi dei motivi mitici.
In quest’opera, la struttura musicale è la più complessa e densa del ciclo perché non si limita più ad accompagnare o spiegare il dramma ma diviene il vero centro da cui si irradiano le motivazioni che guidano l’azione; alla struttura testuale di stampo operistico, corrisponde musicalmente una fitta trama di motivi che si mescola e complica a dismisura: oramai abbiamo fami-liarità con i motivi fondamentali, li abbiamo ascoltati molte volte e conosciamo la loro identità per cui Wagner può permettersi di risemantizzarli senza che l’ascoltatore rimanga spaesato: la corrosione cromatica degrada i temi associati a personaggi e situazioni descrivendo il progressivo scivolare verso la fine.


La Götterdämmerung è dunque un’opera a numeri, un’opera tradizionale di quelle che Wagner stesso, nei suoi scritti teorici, aveva vituperato; ma il Wagner compositore è ben più flessibile e abile del Wagner teorico e usa tutto ciò che può essergli utile per veicolare il suo messaggio. La morte di Siegfried è il racconto della caduta dell’eroe ingenuo spaesato dall’ambigua falsità del consorzio umano: il povero Siegfried esce dalla foresta e si perde per sempre perché vuole opporre la sua impavida forza a loschi intrighi di cui nulla conosce. Il compositore deve quindi rappresentare un mondo falso che non è mai quel che sembra ma è sempre il suo doppio: cosa c’è di meglio della maschera seducente dell’opera tradizionale?

Per Wagner, l’opera è pura apparenza, la sua perfezione estetica deve mascherare un vuoto di contenuti che rispecchia il vuoto della società borghese. Un esempio di tale falsità cristallizzata nella forma è l’accordo siglato, alla fine del II atto, tra Hagen e Brünnhilde: strutturalmente non ha la forma consona del dialogo ma è un vero e proprio duetto, anzi un terzetto data la presenza di Gunther! Di fatti, la Götterdämmerung è piena di falsi giuramenti –quello d’amore tra Siegfried e Brünnhilde, quello d’amicizia tra Siegfried e Gunther, quello di vendetta tra Brünnhilde e Hagen- di filtri magici che ingarbugliano la trama tanto da renderla piena di quell’ironia tragica cara all’opera antica.
A ben vedere -seguendo le argomentazioni di Carl Dahlhaus– gli stessi personaggi hanno una psicologia di stampo antico che rimanda al dramma degli affetti più che dei caratteri: il comportamento di Brünnhilde e Siegfried è tutt’altro che coerente, il loro atteggiamento segue le passioni che si condensano nella medesima persona creando cambiamenti repentini. Brünnhilde è capace di passare dall’amore sconsiderato per Siegfried all’odio più feroce senza nessuna mediazione; lo stesso Siegfried cambia repentinamente il suo atteggiamento dopo aver bevuto il filtro che funge da semplice mezzo scenico attraverso la quale rendere visibile la mutazione dell’eroe. Il loro comportamento è basato sul pathos, sull’azione istintuale a cui si oppone l’ethos di Wotan, incarnazione della concezione drammatico musicale del Ring: egli è la riflessione che si esprime nella corrente di motivi musicali che sonorizza le motivazioni.

La posizione di Wagner è paradossale: egli restaurava la tradizione operistica proprio laddove riteneva di contraddirla nel modo più radicale: il tentativo di ristabilire nel dramma musicale il “puramente umano” liberando il sentimen-to naturale dalle incrostazioni che lo ricoprivano, ricondusse Wagner all’antico concetto di affetto.

Nel finale del Siegfried sembrava che un nuovo mondo dovesse sorgere alimentato dall’amore della coppia fatale ma il Prologo della Götterdämmerung narra una storia ben diversa: il filo del racconto si avviluppa, si annoda fino a spezzarsi. Nessuna storia è più possibile, il mondo è ormai agli sgoccioli. Il fulmineo Preludio al Prologo è metafora di questa impossibilità narrativa: i due accordi iniziali richiamano il motivo del risveglio di Brünnhilde subi-to incastonato nel tema del Reno, poi Wagner ribadisce il concetto marcandone l’aspetto cupo e sinistro aggrovigliando quei due accordi con il tema del fato e della filatura delle Norne.


Il Preludio si inserisce, senza soluzione di continuità, nell’inizio del racconto fatto dalle Norne mentre tessono il filo del destino: la prima narra eventi lontanissimi e ricorda Wotan che “d’uno dei suoi occhi pagò in eterno tributo” per recidere un ramo dal frassino cosmico e costruire la sua lancia; la seconda ricorda, invece, il giorno in cui quella lancia venne spezzata -“Ardito un eroe/spezzò in tenzone la lancia:/balzò in frantumi/la sacra guarentigia dei patti”- e Wotan ordinò agli eroi del Walhalla di abbattere e accatastare il frassino cosmico; la terza vede le fiamme invadere l’intera sala degli eroi: “Brucia la legna/in sacro incendio chiara,/la vampa arde/e consuma la splendente sala:/degli eterni dei la fine/ecco spunta, crepuscolo eterno”. Quando arrivano a nominare l’anello del Nibelungo, il filo che passano tra loro si spezza: “finito l’eterno sapere! / Al mondo annunziano / le sagge più nulla”.

Chiuso l’episodio mitico delle Norne, Wagner sposta l’attenzione sui due amanti che si concedano: Siegfried parte alla ventura nel mondo degli uomini ma, prima di andare, dona come pegno d’amore alla sua sposa l’anello sottratto al drago Fafner, mentre Brünnhilde contraccambia con il suo destriero Grane. Il suono schietto del corno accompagna la cavalcata di Siegfried sul Reno e il passaggio dallo stato di natura, in cui ha vissuto finora, alla società umana: chiuso il Prologo, il mondo mitico e fiabesco comincia ad annebbiarsi fino a scomparire dall’azione prendendo un peso sempre maggiore nei riferimenti musicali che si incupiscono man mano che il racconto si appresta alla sua capitolazione.
Foreste, rupi infuocate, antri e dimore divine lasciano il posto alle costruzioni dell’uomo in questo mondo che comincia già a perdere l’incanto del mito e della fiaba: ad accoglierci in apertura d’atto è la reggia dei Ghibicunghi abitata dai gemelli Gunther e Gutrune e dal loro fratellastro Hagen figlio del nibelungo Alberich. Hagen suggerisce ai due fratelli l’importanza di unirsi in nozze per perpetuare la loro stirpe: Gunther potrebbe avere Brünnhilde, vergine fanciulla addormentata su una rocca circondata dal fuoco, mentre Gutrune il valoroso Siegfried. Proprio in quel momento l’eroe giunge alle soglie della reggia e, immediatamente, viene irretito da Hagen: l’innocente che nulla sa della malvagità umana cade non appena entra in contatto con gli uomini. Su suggerimento di Hagen, Gutrune accoglie l’eroe con una bevanda che, in realtà, è un filtro magico: istantaneamente Siegfried dimentica il suo amore per la valchiria e cade innamorato della giovane ghibicunga – “Ah, donna bellissima!/Chiudi il tuo sguardo;/il cuore nel petto/il suo raggio mi brucia:/in correnti di fuoco io già lo sento,/che il mio sangue esso incendia e lo consuma!”; per averla, promette di conquistare a Gunther proprio quella che in realtà è la sua sposa.
La narrazione si sposta ancora sulla rupe delle valchirie dove Waltraute in grande affanno raggiunge la sorella per narrarle ciò che accade presso il Walhalla: il mondo sta per finire, la maledizione sta per compiersi, solo Brünnhilde può arrestare il processo restituendo l’anello alle figlie del Reno –“ Alla tua mano, l’anello –/è quello; – ascolta il mio consiglio:/per Wotan, gèttalo da te!” Brünnhilde, oramai non più partecipe della natura onnisciente di valchiria, interpreta il suo nuovo ruolo di donna innamorata che non vuole per nulla al mondo separarsi dal pegno d’amore donatole dal suo sposo. Desolata, Waltraute scompare annunciando terribili sventure che non si fanno attende-re: il destino della valchiria bussa pesantemente alle sue porte. Brünnhilde ode il corno di Siegrfied ed esulta credendolo di ritorno: in effetti il giovane è tornato ma totalmente dimentico dell’amore che le aveva giurato, con l’elmo magico in testa, la rapisce in nome di Gunther e le strappa via l’anello.


Una cupa notte di veglia apre il secondo atto: Hagen attende il ritorno di Siegfried ma, accanto a lui, appare Alberich che ricorda al figlio il furto dell’anello compiuto da Wotan e la necessità di vendicarsi assassinando Siegfried e strappandogli l’anello che gli permetterà di essere i padroni del mondo. All’alba giunge Siegfried seguito da Gunther e dalla restia Brünnhilde che presto si accorge che il suo anello è al dito di Siegfried, capisce di essere stata ingannata e conquistata per la seconda volta dallo stesso eroe; furiosa, accusa Siegfried di furto con tanta disperazione che Gunther e la sua corte si sentono traditi. La situazione sembra placata, si procede alle doppie nozze ma in realtà nulla è sopito: istigati da Hagen, Gunther e Brünnhilde decidono di vendicarsi uccidendo Siegfried colpendolo alla schiena, l’unico posto in cui l’eroe è rimasto vulnerabile perché non coperto dalla protezione della valchiria.
I cavalli sono lanciati in corsa per la caccia in una valle selvaggia prossima alle rive del Reno: le tre figlie del fiume giocano tra le onde e attendono l’arrivo dell’eroe che deve restituirgli l’anello. Siegfried, allontanatosi dal gruppo, giunge fino a loro ma non cede alle invocazioni delle ondine che lo compiangono annunciandogli la morte fissata per quello stesso giorno. Gli altri cacciatori raggiungono Siegfried e lo spronano a raccontare delle sue avventure: Siegfried narra le sue gesta ma viene fatalmente distratto dal volo dei corvi di Wotan; il giovane volta le spalle ad Hagen per seguire con lo sguardo i corvi e viene colpito a morte dal figlio del nibelungo: poco prima di esalare l’ultimo respiro Siegfried riacquista la sua lucidità, ricorda di Brünnhilde, della conquista, del loro amore e invoca la valchiria per l’ultima volta.

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Siamo giunti ormai al terzo atto, la fine del racconto è vicina: Hagen, trionfante per l’uccisione di Siegfried, giunge alla reggia dei Ghibicunghi e annuncia a tutta la corte la fine dell’eroe mentre Gutrune si dispera per il suo amato. L’euforia e la concordia durano pochi istanti, la brama di potere prende il sopravvento sull’animo umano e i due fratellastri cominciano a conten-dersi violentemente l’anello finché Hagen non uccide Gunther –l’anello ha imposto il suo potere su tutti: nani, dèi, giganti e ora l’uomo. Il figlio del nibelungo si avvicina al corpo esangue dell’eroe per strappargli l’anello ma la mano del defunto si erge minacciosa contro di lui, impedendoglielo.

Finalmente giunge Brünnhilde, oramai libera dall’odio verso il suo defunto sposo, vuole raggiungerlo e condividere con lui il sonno eterno perciò ordina che “Alta e chiara/divampi la vampa,/che il nobile corpo/consumerà del più augusto tra gli eroi.” Ripreso il “Maledetto cerchio!/Anello spaventoso!” annuncia di volerlo rendere alla natura offesa -“Il tuo oro io afferro,/ ecco, e via lo dono”- dopo averlo purificato grazie al fuoco e al suo sacrificio. Invocati dalla valchi-ria, i corvi di Wotan volano verso “Colui che colassù divampa ancora,/Loge” per avviarlo al Walhalla “Poiché della fine degli dei/spunta ormai il crepusco-lo./Ecco – l’incendio io scaglio/nella rocca splendente del Walhalla”.


Secondo Sergio Sablich “una tinta nera e fosca, un velo luttuoso e tetro avvolgono tutti i personaggi che agiscono nel Crepuscolo”, la degradazione inviluppa ineluttabilmente ognuno di loro. Gunther e Gutrune non sono altro che marionette nelle mani del fratellastro: assetati di grandezza vorrebbero unirsi e partecipare della gloria di Siegfried e Brünnhilde ma non ne hanno la forza morale per cui si affidano all’inganno e alle macchinazioni di cui sono artefici e succubi. Hagen “frutto dell’odio dell’invidia per il potere” è il motore immobile dell’azione, l’unico che tiene sotto controllo tutti gli altri personaggi e li manipola a proprio piacimento finché anch’egli verrà schiacciato dal fato.

Il rilievo che il personaggio di Hagen ha nel Crepuscolo non è legato soltanto alla sua insostituibile funzione drammatica. La sua caratterizzazione è un ca-polavoro di penetrazione psicologica e di scavo interiore, in questo senso anzi uno dei massimi capolavori, addirittura un esempio in sé compiuto di ciò che Wagner intendeva per dramma musicale: un dramma, cioè, in cui spetta alla musica chiarire e approfondire psicologicamente la tematica dei personaggi e dell’azione. Così il tema musicale di Hagen, che nascendo da un tritono di-scendente si abbatte dall’acuto verso il grave entro intervalli sempre più dila-tati per bloccarsi poi simmetricamente nell’ambito di un tritono ascendente, è il simbolo devastante, armonicamente in sé non definibile, di una furia di-struttrice che attira nella sua rete gli elementi estranei con cui viene in contatto, deformandoli fino ad assimilarli e annullarli.

Non si può essere più clementi con Siegfried che perde la propria identità di eroe percorrendo tutti gli stadi dell’abiezione fino alla morte: abbandonando lo spazio vitale che gli è proprio, la natura, per entrare nel mondo degli uomini egli perde le coordinate e non è più in grado di leggere la realtà che lo circonda rimanendone tragicamente impigliato.

Alienazione e inganno sono i due termini convergenti che circoscrivono nel Crepuscolo la figura di Sigfrido, sono per così dire i connotati psicologici che determinano il suo agire.

Guardando in questa prospettiva, il filtro magico diviene il simbolo della sua perdita di coscienza che lo porta a ingannare la donna amata fino a mentire spudoratamente quando Brünnhilde scorge al suo dito l’anello che le ha sottratto con la forza: l’eroe senza macchia e senza paura risulta del tutto trasfigurato nella Götterdämmerung, non è più all’altezza del suo compito o forse non lo è mai stato perché la sua ingenuità è un’arma a doppio taglio e, se nell’opera omonima gli aveva permesso grandi imprese, ora diviene il suo punto debole, la macchia che lo porta alla distruzione personale e del mondo.
Anche Brünnhilde, non più valchiria, perde la sua grandezza, diviene miope davanti alle richieste di Waltraute perché non è più capace di abbracciare con il suo sguardo le leggi che regolano il mondo: è una semplice donna che precipita, inconsapevole, nell’abisso del suo destino. Soltanto dopo la morte di Siegfried ella ritrova la sua antica grandezza nel sacrificio: “Tutto, tutto,/tutto io so, /tutto mi s’è aperto!…oramai del mio retaggio/ io m’impossesso”. Il rogo purifica il mondo dalla corruzione ma porta con sé dèi ed eroi e quindi miti, valori e ideali: quale mondo sorgerà da quelle ceneri?

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La risposta non è semplice e lo stesso Wagner tornò più volte sul messaggio da porre a sigillo del Ring; la prima stesura del finale ultimo della Götterdämmerung prevedeva l’effettiva redenzione del mondo che si liberava dai patti e dalla corruzione dovuta alla brama di potere votandosi completamente alla forza d’amore: “non più torbidi patti/ingannevole alleanza… fate che solo esista l’amore”. Dopo la lettura di Arthur Schopenhauer, la concezione generale di Wagner vira bruscamente in chiave pessimistica e le parole di Brünnhilde diventano ben altre: “del divenire eterno/ le aperte porte/ mi chiudo dietro le spalle: verso la senza brama e senza illusioni/ sacratissima terra d’elezione/ mèta del cammino del mondo”; in questa seconda versione potere e amore si trovano dalla stessa parte, sono due facce della volontà di vivere che il rogo brucia per affermare la negazione totale, l’approdo alla noluntas.

In realtà nessuna delle due versioni verrà messa in musica da Wagner che cambia ancora le carte in tavola affermando qualcosa di molto diverso: la chiusura di quel mondo diviene il punto di partenza per la creazione di qualcosa del tutto differente lasciato in eredità a uomini e donne, gli unici sopravvissuti alla catastrofe che atterriti “fan ressa verso il margine estremo del proscenio” senza commentare ciò che sta accadendo. Il rogo appiccato da Brünnhilde è la necessaria trasmutazione di valori che presiede al divenire del mondo: bruciando gli dèi termina la loro influenza sull’azione umana che diviene libera da ogni falsa morale e da valori e ideali oramai deteriorati. Il messaggio non è né positivo né negativo, è una possibilità offerta all’umanità di creare un mondo nuovo, trasmutato e libero dalle contraddizioni in cui era caduto quello precedente.

Silvia D’anzelmo

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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