5 Ascolti per incontrare Respighi

Ottorino Respighi era eclettico e tradizionalista, un valorizzatore della tradizione italiana e un grande conoscitore di tradizioni estere, violinista, direttore d’orchestra, musicologo e capace di comporre musica che sospinge delle balene a librarsi nel cielo.

Autore: Lorenzo Pompeo

7 Marzo 2017
Se a musicisti che non siano anche cinefili disneyani si può scusare la non conoscenza del lungometraggio Fantasia 2000, in cui delle megattere volano dal mare verso la luce del sole oltre nuvole e temporali accompagnate dai “Pini di Roma” di Respighi, non è altrettanto perdonabile l’oblio in cui troppo spesso, tra programmi didattici e concertistici, finisce tra l’opera di uno dei più grandi interpreti dell’Ottocento italiano. Parliamo di un compositore che è stato allievo di Martucci, Bruch, Rismkij-Korsakov e dal catalogo oltremodo ricco e variegato, che, oltre ai celebri poemi sinfonici per cui principalmente viene ricordato, comprende opere, balletti, musica da camera, composizioni pianistiche, concerti, musica vocale e tante trascrizioni. L’incontro che qui vi proponiamo mira a toccare diverse sfere dell’universo respighiano, ma ciascuna opera meriterebbe un incontro a sé; speriamo, quindi, di spingervi a spulciare tra registrazioni e spartiti di un compositore cui spetta davvero uno spazio importante nella vita musicale italiana (e non solo).

Concerto Gregoriano per violino e orchestra

 

Respighi nutriva una profonda ammirazione per l’antica tradizione musicale italiana e vi si dedicò sia con trascrizioni e orchestrazioni di brani che vanno dal medioevo al XVII secolo, sia con suggestioni arcaizzanti di cui sono intrise molte sue composizioni, come il “Concerto Gregoriano per violino e orchestra”, composto nel 1921. Il discorso musicale del concerto è tutto fondato sulla libera parafrasi dell’elemento melodico d’ispirazione gregoriana nei tre movimenti del concerto ed è soprattutto il secondo, l’Andante espressivo e sostenuto, a fornire ottimi argomenti a chi vorrebbe maggiormente presente nei repertori di concerti per violino questo concerto respighiano, per la penetrante espressività timbrica richiesta all’interprete nell’esecuzione della melodia ma anche per passaggi tecnici molto articolati. La parafrasi gregoriana nasce nell’Andante tranquillo, in cui si alternano un elemento più pacato e uno più ritmico e pastorale, poi si dispiega nel Secondo movimento dalla sequenza Victimae Paschali Laudes e nel maestoso Finale, Allegro energico, si concentra tutta sull’Alleluja.

L’uso delle melodie medievali non è solo un atteggiamento di gusto da parte Respighi, magari legato all’attrazione romantica per il Medioevo o a qualcosa di simile all’idea dell’object trouvé; dopo lo sperimentalismo cromatico tipicamente postromantico degli anni precedenti, il loro utilizzo segna il recupero della diatonicità, nella ricerca di una musica più limpida, armoniosa ed euritmica.

 

Antiche arie e danze per liuto, terza suite

 

Dal Medioevo passiamo al Rinascimento grazie alle tre suites di “Antiche arie e danze per liuto”, liberamente trascritte da Respighi da brani di musica popolare per liuto di autori vari dei secoli XVI e XVII e raccolte, nel 1937, dalla moglie Elsa. La terza suite è strutturata in quattro movimenti e destinata solo a strumenti ad arco, contrariamente alle prime due che vengono composte per un organico orchestrale: il primo e il terzo, rispettivamente Italiana e Siciliana, sono composizioni di autori anonimi, il secondo movimento, invece, sono Arie di corte di Jean-Baptiste Besard, liutista francese, mentre italiano è Lodovico Roncalli, l’autore della Passacaglia, quarto e ultimo movimento. L’ Italiana è composta unicamente da un Andantino dominato da un calmo  incedere, diversamente dall’ Arie di corte che, all’Adagio cantabile posto all’inizio del brano e ripreso alla fine di esso, alterna sezioni dal carattere diverso: un Allegretto, un Vivace, un Lento con grande espressione, un Allegro vivace e un Vivacissimo. La Siciliana è un’ispirata e dolce melodia dall’andamento pastorale che è stata resa celebre dalla presenza nella colonna sonora di Tree of life, film a regia di Terrence Malick con Brad Pitt e Sean Penn; la Passacaglia chiude la Suite con un carattere maestoso, animato da diverse variazioni che vanno a concludersi in un Largo.

La sensibilità musicale di Respighi, in questi brani, non è animata da un intento filologico verso composizioni dal gusto neoclassico, si tratta piuttosto di una ricerca di colori e timbri che, tramite una raffinata orchestrazione di queste composizioni rinascimentali, trovino nuova linfa vitale in una poetica estetizzante e decadente.

La Fiamma

 

Il gusto arcaizzante di Respighi non si trova solo nella musica strumentale, ma anche nelle opere come, ad esempio, La Fiamma, dove acquisisce un carattere bizantino e le parti corali sembrano ricordare quelle delle tragedie greche. La Fiamma incarna la volontà di difendere l’opera dalla crisi procurata dallo sperimentalismo novecentesco mettendo in piedi un melodramma che rispondeva alle volontà espresse dal “Manifesto dei tradizionalisti” del 1932 che divise la cosiddetta “Generazione dell’Ottanta” cui apparteneva Respighi. Il soggetto traspone nella Ravenna bizantina la storia di Anne Pedersdotter, norvegese condannata al rogo nel 1590 con l’accusa di stregoneria, e il nome della protagonista diventa Silvana che, sospettata di stregoneria e costretta a sposare l’esarca bizantino Basilio nonostante l’odio della madre Eudossia, si innamora del figlio del marito, Donello, e questo causa una furiosa lite in cui Basilio perde la vita. Viene istituito un processo in cui Silvana viene accusata di omicidio e stregoneria e a nulla vale la difesa (non proprio strenua, a dire il vero) da parte di Donello di fronte alla forza accusatoria di Eudossia che convince gli astanti, Donello incluso, che la processata sia una strega; la fiamma si rivela essere, dopo quella passionale per l’amante, l’immagine del rogo che attende la condannata. Da un punto di vista strettamente musicale la tradizione si rivela  nella sincretica pluralità dei modelli cui fa riferimento, specialmente Verdi e Wagner, ma soprattutto nella preponderanza della voce rispetto a quello strumentale, in una elaborata ripresa anche della struttura classica delle parti vocali.

La Boutique fantasque

 

La dialettica tra antico e moderno si ripresenta nel balletto “La Boutique fantasque” del 1918, frutto di una collaborazione tra Respighi, maestro nel rovistare nel passato per trovarvi la contemporaneità, e Diaghilev, orientato ad un Neoclassicismo in chiave antiromantica, due intenti che trovano perfetta coesione nella musica: un’orchestrazione tratta dai Pechés de vieillesse per pianoforte di Rossini, rappresentazioni irriverenti di una serie di mostri sacri dell’Ottocento come Chopin e Liszt. Il soggetto è la storia fiabesca di un negozio di giocattoli dove la notte le bambole prendono vita e danzano con gioia fino a quando il proprietario stabilisce la vendita di una coppia di bambole innamorate che verranno salvate dalla rivolta delle altre. Le danze si susseguono dopo l’Ouverture,  cominciando da un gruppo di chiara estrazione popolare come Tarantella, Mazurka e Danse cosaque, poi segue un Can-can la cui sezione di Andantino conduce a due sezioni più crepuscolari come la Valse lente e specialmente il Notturno, dove melodie terrene di archi cantano assieme a fiati ed arpe che risuonano da lontano prima che, improvviso, giunga il brillante e forsennato Galop finale.

I Pini di Roma

 

Non possiamo concludere questa breve rassegna se non con uno dei poemi sinfonici della trilogia romana, probabilmente il più celebre, ossia “I Pini di Roma” del 1924, apoteosi ed esplosione di colori di un’ orchestra poderosa (comprendente anche un fonografo). Il poema è una costellazione di immagini che vengono colte da Respighi per riempire la sua tela di colori intensi e vivi, una sorta di impressionismo sonoro in quattro movimenti, quattro diversi quadri che assieme ai pini parlano di Roma, della vita e della morte che vi scorrono. La vita dei bambini dei Pini di Villa Borghese che giocano e urlano, la morte dei Pini presso una catacomba” suggerita dai pesanti timbri del pedale ad organo e dei tromboni; gli occhi recuperano la vita grazie al canto dell’usignolo al plenilunio, eseguito dal fonografo, e la sentono vibrare assieme alla potenza della legione romana che marcia tra i “Pini della via Appia”, condensata in una vertiginosa e grandiosa tensione in crescendo ritmico e sonoro.

 

Lorenzo Pompeo


 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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