Apologia della musica “leggera”

Dibattito: perché alle persone piace Rovazzi e non Stockhausen?

Autore: Maurizio Verducci

10 Febbraio 2017

Nelle scorse settimane, a seguito dell’articolo “Perché alle persone piace Rovazzi e non Stockhausen?”, si è aperto un dibattito sulla differenza tra la musica di oggi e la musica classica, sul motivo per cui il pubblico è più incline ad avvicinarsi agli artisti considerati mediocri (da un punto di vista musicale-intellettualistico) e per cui ai giorni nostri la massa non si riconosce il valore della musica d’arte.

Ho deciso di scrivere un pezzo in difesa della musica cosiddetta leggera, non tanto per fare il bastian contrario, ma perché negli articoli precedentemente pubblicati sul nostro sito si sono fatte delle affermazioni che ritengo generalizzanti e da un certo punto di vista elitistiche. In più, credo che sia importante riconoscere alcuni meriti alla musica “industrializzata”.

Non voglio citare personalità del mondo intellettuale perché non mi sembra il modo migliore per portare avanti una discussione; un dibattito si può sviluppare anche senza scomodare nessuno dagli scaffali delle biblioteche e dai piedistalli culturali. Cercherò di essere il più semplice possibile, senza grandi paroloni e senza pretese. Un modo un più fresco e “leggero”, quanto più comprensibile, di esprimere la mia opinione senza equivoci.

Partiamo dal principio. Affermare che la musica di oggi si ascolti in maniera leggera o sovrappensiero perché esprime sentimenti e aspirazioni comuni è una generalizzazione che non rispetta in alcun modo la qualità degli artisti della nostra era. Sottolineare poi che solo la musica classica è espressione di concetti insoliti rispetto alla norma rappresenta un punto di vista molto pretenzioso e arrogante di chi non considera il panorama musicale di oggi nella sua totalità.

La musica che oggi viene scritta, eseguita e anche prodotta non è un semplice ammasso di note ordinate secondo il gusto del pubblico per poter vendere di più. È vero che l’industria musicale mercifica la musica, ma non tutto quello che esce dalle case discografiche è da buttare o da considerare come un mero prodotto di consumo e non arte. Per non parlare poi del fatto che ci sono grandi e piccoli produttori, artisti che sono più o meno esposti alle pressioni del mercato. Riconosco che tra le centinaia di migliaia di musicisti contemporanei (non nel senso musicale del termine), può darsi che solo una piccola percentuale abbia effettivamente qualcosa di particolare da dire e da rappresentare. È proprio per questo motivo che parlare della musica di oggi come veicolo di emozioni considerate semplici come “sono triste” oppure “la mia relazione sentimentale sta andando a rotoli” o anche “dai! Facciamo festa!” non mi sembra onesto nei confronti di chi oggigiorno vuole esprimersi attraverso la musica, a modo suo.

Come è stato già detto, l’arte nasce dall’esigenza di esprimere qualcosa che il discorso verbale non riesce a cogliere. La musica di oggi non è solo la canzonetta che si ascolta in radio, in mezzo al traffico, mentre si cerca di arrivare in tempo a lavoro. Ci sono tantissimi pezzi strumentali oggi, di qualsiasi genere, che cercano nel loro linguaggio di esprimere qualcosa. Perché, allora, dire che solo la musica classica è musica d’arte perché esprime, secondo alcuni, sentimenti complicati? Che male c’è a rappresentare emozioni più semplici, più comuni, in cui più persone si possono ritrovare e comunicare e incontrarsi? Da quando la semplicità è sinonimo di mediocrità?

Il prossimo punto che tengo a trattare è il discorso sull’easy listening. Voler ascoltare un sottofondo musicale mentre si cucina o si studia, volersi mettere le cuffiette per potersi isolare dal mondo, voler riempire il silenzio: credo che tutto questo, invece di danneggiare la musica, la rafforzi e l’arricchisca di significato. La musica non può essere solo considerata come arte quando è un esercizio intellettuale o attività culturale o solo quando ci si concentra per capirla. Perché anche quando la si ascolta a cuor leggero, in un modo o nell’altro, la musica comunica con noi; non è il momento o il fine con cui prestiamo l’orecchio alla musica che la rende prodotto o arte.

Considerare poi la musica leggera di oggi come veicolo di contenuti o di comportamenti, ossia come mezzo di propaganda che crea modelli, o considerare la musica come schiava dell’industria mi pare un’affermazione troppo fatalista, complottista e anche un po’ antiquata. Come lo è anche millantare il mito della musica classica come baluardo della libertà contro l’industria culturale. La musica, tutta, è soggetta più o meno alle spinte del mercato ed è pressoché inutile continuare a opporre arte musicale a industria musicale perché genera solo un distacco nel pubblico, con conseguenti generalizzazioni.

A mio avviso, quando la musica classica guarda alla musica di oggi come semplice prodotto e non come arte commette uno dei crimini per cui il pubblico la sente distante o inavvicinabile. In questo caso non è più musica d’arte, come si suppone, ma musica accademica, cioè apprezzabile solo per chi ha studiato e per questo reclusa al mondo degli intellettuali che guardano dall’altro la massa come un gregge ignorante che non sa apprezzare la vera musica. Questo è l’atteggiamento più sbagliato che la musica classica (il suo mondo, i suoi musicisti, i suoi ambienti) possa assumere perché accentua ancor di più il divario che si crea con il pubblico meno abituato ad ascoltarla. Qualcuno dice che la musica classica allora sta morendo. Se è vero, è per la maggior parte colpa di chi guarda alla scena musicale di oggi senza speranza.

La sottile arroganza e pretensione con cui si cerca di screditare la musica di oggi e di considerare di qualità solo determinati tipi di musica – di nuovo, sempre sotto il punto di vista accademico e quindi come opera intrinseca e difficile da comprendere a causa del suo linguaggio astruso – è il motivo per cui ho deciso di difendere la musica di oggi: più vicina al pubblico, più accessibile, più democratica, più parte della vita di tutti i giorni. La musica che si crea oggi, che è sul mercato, è il riflesso della nostra società ed è ridicolo metterla costantemente a confronto con la musica classica in termini artistici o filosofici costantemente. La musica è musica. Ognuno le dà valori diversi, ognuno ha una diversa sensibilità – chi preferisce la musica commerciale, chi il rock, chi la techno, chi il pop, e così via – e non esiste che si affermi che una sensibilità sia più piena di significato che un’altra. Forse, in definitiva, sarebbe meglio non creare criteri secondo cui classificare un prodotto artistico.

Maurizio Verducci

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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