Schubert, la Morte e la Fanciulla

«In fatto di Lieder non ho scritto gran che di nuovo, ma in compenso mi sono esercitato in numerosi lavori strumentali: ho scritto due quartetti […] e un ottetto, e ho in mente di scrivere un altro quartetto».

Autore: Michela Marchiana

18 Novembre 2016

Con queste parole, inviate il 31 marzo del 1824 a Leopold Kupelwieser, Franz Schubert faceva sapere all’amico che aveva iniziato e aveva in mente di concludere un ciclo quartettistico; i tre quartetti citati, in la minore D. 804, in re minore D. 810, in sol maggiore D. 887, sarebbero stati gli ultimi scritti dal compositore. Il Quartetto in re minore, noto come “La Morte e la Fanciulla”, fu pubblicato postumo nel 1831 ed è forse , pure in una dura lotta con il Quartetto in la minore “Rosamunde”, il più famoso quartetto del compositore, nonché considerato suo personale testamento.
Dedicato ad una “comune amica” dell’uomo, ossia la Morte, Schubert scrisse il quartetto nello stesso 1824, dopo essere stato molto male e aver capito che era più vicino alla morte di quanto non volesse credere. Questa consapevolezza, aggiunta allo stato di povertà in cui il compositore viveva, gli comportò uno stato di depressione non indifferente; infatti nella sopracitata lettera del 31 Marzo a Kupelwieser scrisse:

“Pensa a un uomo la cui salute non potrà più ripristinarsi, e che per pura disperazione rende le cose peggiori invece che migliori. Pensa, intendo, a un uomo le cui più luminose speranze sono diventate nulla, per cui amore e amicizia sono diventate una tortura, e di cui l’entusiasmo per la bellezza sta velocemente sparendo; e chiediti se un uomo così non è davvero infelice.”

Nel 1817, in linea con le nuove “romantiche” idee, Schubert compone il Lied “Der Tod und Das Mädchen” (“La Morte e la Fanciulla”) utilizzando versi del poeta Matthias Claudius. Testo e musica accompagnano l’ascoltatore oltre un’idea razionale, verso l’irrazionale, l’ignoto e il trascendente. Nel Lied il frenetico terrore della Fanciulla è contrastato da un’implacabile compostezza della Morte che le si rivolge attraverso un tranquillo e solenne ritmo dattilico. Quanto la Morte domina ed è perfettamente padrona della situazione lo si nota da come il Lied si apre e si chiude, cioè con lo stesso tranquillo ritmo dattilico.

Das Mädchen:

Vorüber! Ach, vorüber!

Geh, wilder Knochenmann!

Ich bin noch jung! Geh, lieber,

Und rühre mich nicht an.

Und rühre mich nicht an.

Der Tod:

Gib deine Hand, du schön und zart Gebild!

Bin Freund, und komme nicht, zu strafen.

Sei gutes Muts! ich bin nicht wild,

Sollst sanft in meinen Armen schlafen!

(La Fanciulla:

Via, ah, sparisci! / Vattene, barbaro scheletro! / Io sono ancora giovane; va’, caro!  / E non mi toccare.

La morte:

Dammi la tua mano, / bella creatura delicata! / Sono un’amica, / non vengo per punirti. / Su, coraggio! / Non sono cattiva. / Dolcemente dormirai fra le mie braccia!)

A questo Lied il compositore si è ispirato per scrivere l’omonimo quartetto, riutilizzando, come base per il secondo movimento, la sua melodia dattilica. E considerate le parole scritte all’amico il 31 Marzo è impossibile ascoltare questo quartetto senza immaginare un’ombra nera e incappucciata accanto al compositore, mentre faceva nascere questo capolavoro.

In un nuovo senso di individualismo, tipico del Romanticismo, contrapposto alla necessità di analisi oggettiva che era stata una peculiarità dell’Illuminismo, l’uomo, che sia pittore, poeta o compositore, si ritrova a confrontarsi con i propri interiori sentimenti e con i  propri turbamenti. L’idea della Morte incuriosisce l’uomo ma al tempo stesso e forse in misura maggiore lo terrorizza. L’idea di abbandonare il mondo reale, l’idea di non esistere più, è una paura costante. Ancora di più c’è la paura che la Natura, così affascinante, si ribelli contro l’uomo, e spenga la vita nel più roseo del suo fiorire. Questo è raccontato splendidamente nella celeberrima poesia leopardiana “A Silvia”, in cui la morte prematura della giovane rappresenta la morte delle speranze dell’uomo, la cruda convinzione che non serve vivere di illusioni e di speranze

” […] Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi; […]”

Ed è allo stesso modo che Schubert affronta l’idea della Morte, terrorizzato certamente, ma infine rassegnato ad una forza impossibile all’uomo da contrastare.

Questo terrore e questa seconda rassegnazione sono palpabili nel quartetto in re minore, che si apre con un’inquietante omoritmia e attraverso vari travagli si chiude in un rassegnato “diminuendo” nella tonalità d’impianto. Il secondo movimento è un tema con variazioni basato sull’omonimo e precedente Lied, “la Morte e la Fanciulla”. Il tema principale è il tema che nel Lied rappresentava la Morte; è quindi un tema dal ritmo dattilico e austero. Lentamente, con l’inizio delle varianti, come un’apertura di sipario, si vede la scena raffigurante la Morte che viene a prendere la Fanciulla per portarla con sé. Nella prima variante persiste l’immortale tema del Lied, che potrebbe essere visto come la Morte che avanza tranquilla, senza fretta, verso la Fanciulla, che si è resa conto del suo destino ed è spaventata e attraverso i movimenti melodici ma soprattutto ritmici (gli ingressi non sono mai in tempo forte) del primo violino cerca di scappare.
Nella seconda variante il tema della Morte è più sicuro di sé ed è affidato al violoncello, mentre la Fanciulla è sempre più spaventata, tanto è vero che il primo violino prosegue totalmente frammentato, insicuro dei propri passi. Successivamente lampi di luce e fulmini illuminano a intermittenza il palcoscenico, ha inizio una tempesta, la Morte si rivolge, o cerca di farlo, alla Fanciulla, che da parte sua non vuole ascoltare il “Tristo Mietitore”, perché è ancora nel fiore dei suoi anni (dal Lied ” Io sono ancora giovane; va’, caro!”). Poi improvvisamente la tempesta si placa, rimane in scena un’atmosfera cupa ma stranamente rassicurante, sottolineata dal cambio di modo dal sol minore d’impianto a sol maggiore. Ad una qualsiasi persona attaccata alla vita, quanto l’uomo di sua natura è, verrebbe da pensare che, in una scena con protagoniste la Morte e la Fanciulla, rappresentata musicalmente, il modo maggiore debba essere associato all’eleganza e alla purezza della Fanciulla, mentre il modo minore all’inquietante Morte che irrompe sulla scena.
Tornando però al quartetto, date le varianti precedenti e l’interpretazione, se pur soggettiva, fatta, la domanda è: è davvero così? Il modo maggiore rappresenta la Fanciulla? O il significato è esattamente l’opposto? Ebbene, secondo l’interpretazione assolutamente discutibile della sottoscritta, la variante in sol maggiore rappresenta ancora una volta la pacatezza e assoluta tranquillità della Morte, che cerca con pazienza (non troppa, come vedremo nella variante successiva) di tranquillizzare la terrorizzata Fanciulla (dal Lied “Non sono cattiva.  Dolcemente dormirai fra le mie braccia!”). Conclusa la parte in maggiore la Fanciulla ancora non si è arresa e la Morte inizia ad essere impaziente perché più la giovane cercherà di ritardare il proprio destino e più la sua bellezza sfiorirà e si perderà nel corso della mortale Vita. Le parti interne (secondo violino e viola) ripropongono quindi il tema del Lied, che stavolta però è scosso, disturbato, dalle terzine del violoncello subito raggiunte dalle quartine del primo violino; il caos lentamente si impadronisce della situazione, la Morte non si voleva spazientire ma non può permettere alla Fanciulla di far sfiorire la sua bellezza: un tema molto incisivo e brusco è esposto dal violoncello accompagnato (o forse sovrastato?) dalle restanti parti che insistono sulle quartine proposte in precedenza dal primo violino. Infine il caos è padrone della scena, il violoncello continua il suo tema, ma gli altri strumenti prendono strade totalmente diverse, la viola e il secondo violino abbandonano il primo violino e le sue quartine per fare terzine l’una e ritmi sincopati l’altro.
Un terremoto smuove la scena, la fretta e la rabbia della Morte potranno essere placate solo dalla Fanciulla, che infatti, con uno straziante “solo” del primo violino, si rassegna e decide di seguire la Morte, che torna ad essere la solita tranquilla “Dama Nera”. Vista la ritrovata tranquillità la conclusione non poteva non essere in sol maggiore. Con la chiusura di sipario la Morte e la Fanciulla si allontanano a passo lento insieme. Il terzo e il quarto movimento possono essere insieme paragonati a una sorta di Danse Macabre: tutte le affascinanti ma terrificanti creature dell’al di là accolgono il nuovo e meraviglioso arrivo festeggiando, si potrebbe immaginare, come era stato splendidamente rappresentato da Walt Disney nel film d’animazione “Fantasia” per dare un’immagine alla composizione di  Modest Petrovich Mussorgsky, “Una notte sul Monte Calvo”.

Michela Marchiana


Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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