Luigi Nono: un ritratto

Luigi Nono scomparve l’8 maggio di trenta anni fa. Con questa data si chiude simbolicamente uno dei più importanti capitoli della stagione delle cosiddette Neoavanguardie, che stavano lentamente scivolando dal luogo della realtà, al luogo dei documenti da storicizzare e problematizzare. Importante, in questo senso, il lavoro incessante di Nuria Schönberg Nono presso l’Archivio della Giudecca (che proprio oggi, 8 maggio, renderà disponibile sul proprio sito internet un prezioso documentario realizzato dalla figlia Serena).

Negli anni Settanta furono molti quelli che, seguendo il suo esempio, si dedicarono alla scrittura di musica d’avanguardia nell’accezione più intimamente politica (si pensi a Luca Lombardi e Giacomo Manzoni), con differenti esiti e premesse. Nono, prendendo costantemente partito contro l’oppressione degli esseri umani, ha sempre mantenuto uno sguardo consapevole sulle contraddizioni della società, senza rimanere mai uguale a se stesso nelle soluzioni stilistiche e nelle prese di coscienza politiche. È innegabile come l’esempio di Nono, pur fortemente ancorato a dei fenomeni politici e storici circoscritti, possa fornire, nel presente, nuova materia d’ispirazione per quei compositori che vogliono tornare a dotare l’arte della possibilità di intervenire sul reale e che desiderano ardentemente la «coesistenza delle differenze» (citando Philippe Albèra)

«Quella debole, messianica forza».
Walter Benjamin attraverso Prometeo

L’incontro con Bruno Maderna: la Resistenza e Ockeghem

La personalità di Luigi Nono si plasmò in un alveo culturale e sociale estremamente dinamico e fuori dal comune. La famiglia, benestante e antifascista, gli permise difatti di maturare una pulsione esplorativa estremamente vivace, in un contesto politico-culturale in netta opposizione con il regime fascista. L’infanzia e l’adolescenza di Nono furono infatti costellate di relazioni importantissime.
Incontro chiave per la costituzione di una propria identità artistica e politica, fu quello con Bruno Maderna. Entrambi i compositori erano cresciuti negli anni della dittatura fascista ed entrambi avevano sostenuto la Resistenza, anche se Nono, contrariamente a quanto ritengono certe testimonianze, non vi prese parte attivamente. Maderna aveva ventitré anni quando fu arruolato nel 1942, ma per sua fortuna il colonnello a capo della brigata gli permise delle ferie occasionali per studiare musica.
Dopo l’8 settembre 1943, Maderna decide di unirsi al Fronte di liberazione antifascista di Verona. Sfuggito all’arresto delle SS nel febbraio 1945, si unì successivamente ai partigiani in Veneto.

La sorte fu invece totalmente favorevole a Nono, che mai venne chiamato alle armi. Il radiologo socialista Vespignani (i cui figli frequentarono il Liceo Marco Polo con Nono) lo aiutò registrando una condizione medica non ideale per l’arruolamento. Piegatosi ai desideri del padre, Nono così iniziò a studiare legge all’Università di Padova nel 1942, pur continuando gli studi musicali con Gian Francesco Malipiero e Raffaele Cumar al Conservatorio di Venezia. Durante gli anni del conflitto Nono, poté frequentare circoli antifascisti; a casa di Vespignani ebbe modo di incontrare il critico Massimo Bontempelli, che aveva in quel periodo abiurato dal fascismo, e lo scultore Arturo Martini, che collaborava direttamente con la Resistenza. Incontro altrettanto fondamentale fu quello col pittore Emilio Vedova, poi compagno di un’intera vita. Fu però l’influenza di Malipiero ad attirare definitivamente l’eclettica mente del giovanissimo Nono. Grazie al maestro, entrò in contatto con la musica delle avanguardie storiche e di Luigi Dallapiccola.

Le strade di Maderna e Nono si incrociarono nel 1946. Fu proprio Malipiero a indicare all’allievo di rivolgersi a quel “giovane musicista” che era stato appena eseguito alla Fenice (il programma del concerto in questione vedeva oltre alla Serenata per undici strumenti di Maderna, il Piccolo concerto di Malipiero e le Variazioni per pianoforte e orchestra di Camillo Togni). Nono ha sempre riconosciuto il sodalizio con Maderna come uno dei più formativi per la sua educazione musicale, segnando indelebilmente la propria maturazione musicale (e umana). Durante le giornate di studio trascorse alla Biblioteca Marciana in compagnia di Maderna, Nono ebbe quindi l’occasione di approfondire lo studio della musica del XV e del XVI secolo, dei fiamminghi e della polifonia rinascimentale italiana, gettando così importanti basi teoriche per le elaborazioni e le sperimentazioni future: compositori come Giovanni Gabrieli, Josquin Desprez, Adrian Willaert e Johannes Ockeghem, furono infatti per Nono un punto di riferimento costante. La frequentazione di Maderna permise a Nono di concepire inoltre un’idea di «impegno totale, sia ideologico sia tecnico». Idea che Nono portò con sé in una fase estremamente importante della sua vita di compositore: i corsi estivi di Darmstadt.

Nuria Schoenberg, Luigi Nono, Bruno Maderna

Nono, la moglie Nuria Schoenberg e Bruno Maderna

Il 1950 segna il vero momento di svolta nella vita creativa del giovane Nono. In questo periodo, il compositore acquisì la forte consapevolezza che la comprensione di determinate tecniche e linguaggi musicali andava necessariamente investita nella possibilità di un impiego politico, concezione questa senz’altro determinata dalle condizioni storiche contingenti. Il linguaggio artistico, secondo Nono, non era il mero riflesso speculare (e passivo) dei cambiamenti sociali, ma lo si doveva necessariamente intendere come un mezzo di trasformazione della società. Tale convinzione non lo abbandonò più. Perfino durante il cosiddetto “periodo di riflusso”, caratterizzato dal crollo delle esperienze socialiste in Europa, il compositore manterrà sempre uno sguardo fortemente critico, sia per quanto concerne l’ascolto e gli spazi di fruizione musicale, sia verso le problematiche sociali e politiche.

Con il bagaglio di queste riflessioni, Nono approdò proprio nel 1950 agli Internationale Ferienkursen für Neue Musik di Darmstadt, grazie a Hermann Scherchen, conosciuto anch’egli a Venezia (con Maderna) nel 1948. Meriterebbe soffermarsi brevemente sulla figura di questo compositore, la cui importanza nel panorama di quegli anni non è mai sottolineata a sufficienza. Dopo la guerra, nel momento della Stunden Uhr, l’ora zero, da cui ripartire per la ricostruzione dell’Europa, Scherchen fu uno dei primi a far eseguire compositori come Hans Werner Henze, Rolf Liebermann e Karl Amadeus Hartmann. Nel 1949 aveva diretto la prima de Il prigioniero di Dallapiccola e, insieme a René Leibowitz, fu tra i primi promotori di A Survivor from Warsaw (1947) di Schönberg.

Scherchen, scolpito dalle idee politiche socialiste e rivoluzionarie, nonché grande conoscitore della cultura politica della Repubblica di Weimar e dell’Unione Sovietica, trasmise a Nono le basi per una più compiuta formazione politico-ideologica. Per questi motivi Scherchen non poté che suscitare un forte sentimento di attrazione nel giovane Nono, al punto che divenne per lui una sorta di padre adottivo.  

Nono, dunque, si presentò a Darmstadt con il suo primo lavoro per orchestra, le Variazioni canoniche sulla serie dell’op.41 di Arnold Schönberg (ovvero l’Ode to Napoleon Buonaparte, un pezzo intonato sull’invettiva di Byron contro la tirannide e caratterizzato da un’evidente impronta antifascista), rivelando come le sue radici culturali e musicali fossero saldamente aggrappate ad una forte coscienza politica e storica. Cruciale, in questo senso, la scelta di rivolgersi direttamente alla musica di Schönberg, in un periodo storico e in un contesto nei quali sarebbe stato dichiarato “morto” di lì a poco. Gli anni Cinquanta furono anni floridi e movimentati per Nono, il quale con opere come l’Epitaffio per Federico García Lorca, i Cori di Didone (da Ungaretti), la “messa della libertà” Il canto sospeso, e la Composizione per orchestra n.2: Diario Polacco ’58, poté affermarsi come uno dei principali protagonisti nell’evoluzione del linguaggio seriale europeo. Nel 1952, inoltre, in pieno periodo della repressione scelbiana del fronte antifascista e della riscoperta degli scritti di Antonio Gramsci, sia Nono che Maderna si iscrissero al PCI, pur non condividendo le linee del cosiddetto canone realista (che comunque non saranno mai restringenti, come in terra sovietica). Il contesto di Darmstadt gli parve subito un luogo pieno di potenzialità, dove molti dei musicisti e compositori erano riuniti nella consapevolezza di una missione: la tabula rasa definitiva del passato, nel nome della costruzione di un nuovo mito della modernità. Dal 1959, tuttavia, iniziò un progressivo allontanamento da quell’ambiente, stimolato da aperte polemiche. Nono inseguiva un’idea suggestiva, elegiaca, potente, non estranea persino a passi tonali e non negava nel modo più assoluto le possibilità espressive della “linea melodica”. Per questi motivi le incomprensioni estetiche, soprattutto con Stockhausen, erano frequenti.


Nono con la moglie Nuria Schoenberg, Karlheinz Stockhausen e Bruno Maderna in un momento conviviale



Con l’arrivo di John Cage a Darmstadt negli anni Sessanta, le differenze divennero insanabili. Se prima a Nono risultava indigesto l’anti storicismo di Stockhausen e Boulez, i quali «si illudevano di creare ex abrupto una nuova era, in cui tutto debba esser programmaticamente nuovo» (senza considerare i fenomeni artistici nel loro contesto storico), nell’arrivo a Darmstadt di Cage Nono vide la messa in discussione della determinazione stessa dell’opera d’arte. La tendenza a un “neoclassicismo” di marca cageana fu vista da Nono, quindi, come un duplice rischio: deresponsabilizzazione dell’autore e fuga dalla storia.

Conflitto-silenzio-inudibile

I temi della conflittualità sociale e della militanza politica, come è noto, divennero strutturali negli anni Sessanta e Settanta. In questa fase Nono non intraprese tanto una svolta, quanto piuttosto approfondì determinati aspetti del suo lavoro di compositore, dominato da una pulsione politica sempre più vicina al valore di «imperativo morale» di Jean Paul Sartre. Si fa riferimento alla innegabile componente lirica della sua musica, riconoscibile fin dal Canto sospeso. In termini di concezione teatrale, Nono volle però mantenere la linea di connessione con Schönberg e, componendo Intolleranza 1960, elesse Die glückliche Hand e A survivor from Warsaw come modelli cardinali (gli scritti del tempo, come Appunti per un teatro musicale attuale e Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale lo testimoniano esplicitamente). Coniugando il sartriano ‘teatro di situazioni’, al teatro epico di Brecht e Piscator, affrontò in un’opera di teatro musicale (che chiamò specificatamente ‘azione scenica’) importanti temi di conflittualità e denuncia sociale. Nono stesso elaborò il libretto, includendo poesie di Ripellino, Éluard, Majakovskij e Brecht e perfino slogan di vari movimenti di liberazione.

Nono nel suo studio… con Che Guevara


Da questo momento in poi sia avvia per lui il definitivo allontanamento dagli ambienti elitari della Neoavanguardia per cercare risposte presso nuovi spazi di fruizione musicale, dialogando perfino con la classe operaia in una composizione come la Fabbrica illuminata (1964). In questa fase divenne sostanziale l’esplorazione di nuovi formati elettronici, utilizzando la musica non più come commemorazione e memoria, ma come “arma rivoluzionaria”. Con la registrazione dell’ambiente sonoro industriale (comprese le voci degli operai), Nono piegò le nuove acquisizioni tecniche degli studi fonologici ad un uso conflittuale. Trarre i suoni dalla realtà e dotarli di una carica politica: con questa nuova prospettiva il compositore cercò di allontanarsi dalla forma del concerto borghese, sperimentando direttamente sul suono. Nacquero quindi altre opere, caratterizzate da una ricerca continua di nuove possibilità di emissione sonora, come Contrappunto dialettico alla mente (1967-68), con registrazioni prese dalle proteste di strada e Non consumiamo Marx (1969): «io la penso come Antonio Gramsci. Bisogna utilizzare, come compositori, i mezzi tecnici attuali; non per considerazioni puramente estetiche, né al servizio di un’evoluzione tecnologica astratta, non passivamente, ma attivamente: per la diffusione delle idee che sono importanti per la lotta di classe».

A metà degli anni Settanta, profonde crisi attraversarono la vita di Nono causate sia dalla perdita di entrambi i genitori a pochi mesi di distanza, sia, probabilmente, dalle inquietudini politiche e sociali del periodo. La sua musica divenne progressivamente più intimista, se non addirittura tendente al silenzio. I cambiamenti repentini che hanno attraversato la sua produzione da …sofferte onde serene… (1976) per pianoforte e nastro magnetico dedicato all’amico Maurizio Pollini, al quartetto d’archi Fragmente-Stille, an Diotima (1980), ne sono testimonianza. Sbaglia grossolanamente, tuttavia, chi vede una discontinuità in questo cambio di rotta. In quest’ultima composizione, in particolare, secondo le stesse dichiarazioni di Nono, l’interesse del compositore si rivolgeva verso il ricreare una sospensione sonora, in cui il silenzio e l’impronunciabile (rappresentato dai frammenti dei testi di Hölderlin, destinati alle orecchie interne degli ascoltatori) acquisivano valore strutturale.

 

Prometeo: «il mare sul quale si va scoprendo la rotta»

Con queste premesse si aprì la stagione degli anni Ottanta – che qualcuno ancora oggi vede erroneamente come una ritirata dal politico all’esistenziale – un passo obbligatamente coerente con la consapevolezza della scomparsa di una prospettiva rivoluzionaria, provocata dall’affievolirsi dei movimenti comunisti. In questa fase, complice una stretta collaborazione con gli esecutori e gli Studi di Friburgo, Nono radicalizza le sue sperimentazioni sulla spazializzazione del suono. Con Prometeo giunse, attraverso un lungo e travagliato percorso, a un compendio di tutte le esperienze precedenti, sia musicali che umane, forte anche di un’elaborazione intellettuale portata avanti con il filosofo Massimo Cacciari. La tragedia dell’ascolto: il dramma che, spogliato di ogni tensione narrativa, accade interamente all’interno dei suoni stessi. La scelta del soggetto mitologico non è sintomo, tuttavia, di un’improvvisa depoliticizzazione o di un annichilimento totale della prospettiva rivoluzionaria. Con il Prometeo eschileo Nono sceglie infatti il simbolo del conflitto tra l’uomo e la legge oppressiva: «I nostri punti di riferimento erano Nietzsche e Benjamin, per cui trovavamo un Prometeo-Wanderer continuamente proteso nella ricerca di nuove “leggi” con cui buttare all’aria quelle precedenti, in una parola la continuità prometeica senza fine». Ovvero: una nuova fisionomia politico-mitologica concepita sotto il segno di una ricerca inarrestabile. Una visione, questa, certamente utopistica, priva di quella programmatica conflittualità tipica degli anni Sessanta e Settanta, ma che si incentra su una dimensione politica progressista, basata sulla consapevolezza che la ricerca non è mai affermare qualcosa di definitivo: è un cammino continuo verso il possibile.

 

Valerio Sebastiani

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