La musica è davvero “inutile” ora?

Cosa possono dire le note in un momento come questo?

Autore: Filippo Simonelli

15 Aprile 2020

In questi giorni la discussione relativa alla cosiddetta fase due sta entrando, forse tardivamente, nel vivo e le attività produttive spingono per trovare soluzioni al problema della riapertura. Il settore dello spettacolo dal vivo e chiaramente quello della musica stanno ricoprendo in questo dibattito una posizione marginale: un po’ per le difficoltà oggettive che comporta l’applicazione del “distanziamento sociale”, con cui dovremo abituarci a convivere, con tutto ciò che ruota attorno e dentro la sala da concerto, un po’ perché ritenuta diffusamente un’attività superflua, se non addirittura inutile per molti versi.

Durante le prime fasi dell’epidemia, comprensibilmente, ci siamo sentiti tutti più o meno inutili; nonostante la retorica dello “stare a casa” e quella gemella dell’”andrà tutto bene”, guardare le scene degli ospedali vessati dal proprio salotto di casa è stata oggettivamente un’esperienza straniante.

Nei primi giorni della quarantena il mondo musicale ha mostrato due tendenze decisamente antitetiche e centrifughe rispetto al problema: da un lato molti che, mossi da motivazioni variegate, si sono messi in gioco con concerti ed esibizioni “virtuali” nell’ambito di varie iniziative di intrattenimento, beneficenza o anche semplicemente per ritagliarsi un proprio spazio nel tumulto dell’agorà virtuale che si è andata sempre più riempendo man mano che le restrizioni aumentavano.

Anche tra quelli che hanno optato per il silenzio ci sono state numerose posizioni e motivazioni di fondo, comprensibili anche se non necessariamente più condivisibili. Probabilmente le due voci più illustri che si sono levate contro l’esibizione virtuale dei musicisti sono state quella di Ennio Morricone, che ha dichiarato all’Huffington Post che “la musica […] in questo momento non ha nessun valore”, e quella del virtuoso del violino Ilya Gringolts che non l’ha proprio mandata a dire, esortando i colleghi musicisti al silenzio in maniera anche simpaticamente colorita.

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Ma è possibile ritenere che “ora la musica non abbia alcun valore”? La considerazione di Morricone va naturalmente tarata e inserita in un contesto più ampio dell’intervista in cui è compresa, ma al tempo stesso può dare origine a riflessioni inevitabili in un periodo di crisi generalizzata in cui ciò che viene percepito come superfluo rischia di essere marginalizzato. Ci sono due ordini di risposte a questa affermazione. Il primo è di carattere eminentemente pratico, il secondo riguarda aspetti simbolici ma non per questo meno importanti.

In primo luogo, la musica è un lavoro: lavora chi fa il musicista/performer, studia ogni santo giorno il suo strumento o si esibisce su un palcoscenico; lavora chi insegna la musica in tutte le sue forme e nelle istituzioni più variegate. E lavora anche tutto quel complesso di lavoratori che ruotano attorno all’esperienza musicale: da chi è impiegato nelle istituzioni musicali, a tutti i livelli della gerarchia, agli altri che curano tutta l’esperienza che avvolge la musica dal vivo. Suona forse strano da dire, ma la musica è una vera e propria industria e in quanto tale è dotata di un indotto che dà letteralmente da mangiare ad un numero considerevole di persone (anche se difficile da stimare con precisione). Una scarsa consapevolezza di questi dati di fatto, o forse la scelta deliberata di ignorarli è causa poi di episodi gravi come quelli che si sono svolti al Festival di Sanremo poco più che due mesi fa, o anche del progressivo disinteresse che lungi dall’essere un benevolo laissez-faire si è concretizzato solo nell’andamento declinante dei finanziamenti pubblici allo spettacolo, cosa che sicuramente non contribuisce al benessere del settore.

La musica poi ha sempre avuto un importante significato simbolico: dall’ambito sacro a quello politico, approdando poi fino ai lidi della musica “assoluta”, la storia del simbolo in musica è sterminata. In questi giorni la risposta e la capacità di tutti, grandi musicisti e dilettanti, di riunirsi ad esempio per cantare qualcosa in un rito catartico collettivo come gli ormai celebri “balconi” delle sei del pomeriggio ha un valore che in questa situazione non si può ignorare, nonostante il risultato di queste iniziative spontanee rasenti spesso la cacofonia. Persino il famigerato concerto di Bocelli al Duomo di Milano, per quanto discutibile dal punto di vista musicale, è – anche – a questo scopo. Ogni giorno si sono succedute le esibizioni dei musicisti su internet, i cori e gli ensemble che si sono riuniti da dietro uno schermo per cercare, faticosamente di andare a tempo insieme, e così via. Da qui sono nati poi anche i primi tentativi di restituire un pizzico di normalità musicale con delle stagioni musicali, non ultima la nostra, che per quanto virtuali potessero ricreare quel rito che è il concerto per tutti noi. Le ore, o anche solo i minuti di libertà e svago offerti da questo intrattenimento online per molti sono state tra le poche occasioni di evasione da una realtà sempre più asfissiante. Alcune realtà virtuose sono riuscite ad andare anche oltre, visto il prolungarsi della clausura e l’offuscarsi dello scenario, retribuendo i musicisti che si sono esibiti sul palco virtuale. Tra aspetti simbolici e risultati pratici, è difficile rinvenire una qualsiasi inutilità.

Tutte queste considerazioni non possono naturalmente non tenere conto delle difficoltà intrinseche del momento, oltre al fatto che la musica trasmessa tramite i canali virtuali sia priva di quella componente sociale e di esperienza collettiva che costituisce una parte integrante di tutto il “sentire” musica. Al tempo stesso, l’esperienza da concerto social offre un altro tipo di possibilità di interazione, anche con il musicista, che complice la disintermediazione causata dal medium di internet permette un contatto diretto con gli interpreti che altrimenti sarebbe difficile immaginare. Inoltre c’è anche il fatto non secondario che il pubblico dei concerti virtuali è spesso molto maggiore di quello della sala da concerto standard: ovviamente bisognerebbe essere in grado di capire quanti effettivamente si soffermano a guardare tutta la durata dell’evento e quanti invece lasciano magari un like di sfuggita; è un dato da prendere con le dovute precauzioni, ma che non si può comunque trascurare.

La pausa forzata è ben lungi dal terminare, e sicuramente, oltre a una gran dose di pazienza, ai musicisti occorrerà anche una capacità adattiva incredibile per affrontare le sfide, note e meno, note che il futuro prossimo presenterà da qui in avanti. Ma non si può fare nulla di simile senza la consapevolezza imprescindibile del fatto che nulla di ciò che facciamo sia inutile. Né ora né mai.

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Filippo Simonelli

Fondatore di Quinte Parallele, Alumnus LUISS Guido Carli, Università Cattolica del Sacro Cuore e Conservatorio di Santa Cecilia

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