Quattro chiacchiere con il Quartetto Henao

Intervista imperdibile 

Autore: Matteo Macinanti

4 Febbraio 2020

Abbiamo assistito alle prove del Quartetto Henao, una delle formazioni quartettistiche più importanti ed emergenti del momento che pochi mesi fa si è aggiudicata anche il riconoscimento di “Quartetto dell’anno 2019” . William Chiquito, Soyeong Kim, Stefano Trevisan e Giacomo Menna si esibiranno il prossimo 7 febbraio nella stagione della Filarmonica Toscanini di Parma e il 13 febbraio con l’Orchestra Nazionale della Rai di Torino. In programma: Absolute Jest di John Adams.


Da poco avete festeggiato i 5 anni di attività e ora entrate nel sesto. Siete quindi un quartetto giovane anche per età anagrafica. Alle spalle avete però una lunga tradizione di quartetti illustri che hanno fatto la storia e a cui voi siete legati tramite la figura di Günter Pichler, primo violino del Quartetto Alban Berg. Qual è il vostro rapporto con la tradizione? Cosa può raccontare in più, rispetto ad uno del passato, un quartetto “millennial”?

William: Il M° Pichler è stato il nostro mentore e anche le registrazioni del Quartetto Alban Berg sono per noi un punto di riferimento.
Per me un quartetto è un po’ come un bambino… 5 anni sono pochi e dobbiamo ancora crescere. Studiamo tanto per migliorare e ora siamo rivolti al futuro. Piano piano ci stiamo anche distaccando dal nostro insegnante, anche per motivi familiari visto che – ora che Soyeon è incinta –siamo in cinque nel Quartetto! Questo ci obbliga a crescere, a diventare più indipendenti, a velocizzare lo studio e a renderlo più efficace.
Un altro nostro punto di riferimento è il maestro Pappano perché quasi regolarmente ci facciamo sentire anche da lui e la sua impronta lirica per noi è molto importante.
È anche per questo che ci consideriamo e ci considerano un quartetto italiano.

In più avete la possibilità di dirigere l’attenzione verso gli anfratti della letteratura quartettistica. Penso al vostro interesse per la letteratura dei quartetti italiani del ‘900… Qual è il repertorio da cui il Quartetto Henao si sente più attratto?

Giacomo: Chiaramente abbiamo iniziato con i classici – Haydn, Mozart, Beethoven – perché è anche la base per affrontare la musica contemporanea. Lo studio dei classici poi ti dà la possibilità di parlare di intonazione, vibrato, articolazione, espressività, ecc. Dopo risulta tutto più semplice.

William: Sì, dopo aver studiato i classici, suonare Shostakovich è più semplice, proprio perché molte cose sono riconducibili a quello studio di base.

Stefano: Anche il repertorio del ‘900 italiano ci interessa tanto ed è un obiettivo che abbiamo. Ci affascina esplorare questo repertorio anche per incidere e magari proporre un giorno qualcosa di inedito in questo ambito.

Però avete anche interesse per il repertorio più contemporaneo

William: Poco fa abbiamo eseguito musiche di Dall’Ongaro alla Filarmonica Romana, un quartetto e l’oratorio “Gilda mia Gilda”. È stata un’esperienza da cui abbiamo imparato tanto. Prossimamente invece abbiamo in programma di suonare un quartetto di Wolfgang Rihm qui a Roma.

Soyeon: La musica contemporanea poi rinfresca anche la mente, perché studiare Mozart e Beethoven è una guerra… non esci dalla stanza finché non è tutto in ordine. Ogni tanto invece avere musiche che puntano sui ritmi e sugli effetti sonori è più rilassante per la mente.

Quartetto Henao

Venite da scuole e continenti diversi. Come avete fatto a trovare quella comunione di intenti, quel linguaggio comune che è necessario per un ambiente ristretto come è il quartetto? Come si esprime la multiculturalità nel vostro modo di fare musica?

Soyeon: Innanzitutto nella musica non ci sono diverse lingue, è una lingua unica. Sì, le scuole sono diverse ma l’obiettivo è sempre lo stesso: suonare bene insieme. Nel nostro caso abbiamo delle idee chiare su come tradurre tutto questo in suoni. In fondo noi siamo classici e apparteniamo ad una scuola tradizionale, quindi ci piace cercare anche nel passato il significato della musica che suoniamo.

Che cosa significa per voi provenire anche dalla stessa orchestra e condividere quindi una stessa prospettiva d’insieme orchestrale?

Stefano: Intanto ci assicura la stessa organizzazione logistica e questo non è poco perché ci permette di avere gli stessi orari. L’orchestra poi ci insegna tanto perché abbiamo anche la possibilità di suonare con i migliori direttori e solisti ogni settimana. Avere la possibilità di bussare al camerino e chiedere consigli a direttori e solisti è sicuramente un valore aggiunto che non tutti possono avere.

Giacomo: I compositori poi sperimentavano nel quartetto quindi il quartetto è come una piccola orchestra. Sicuramente un’esperienza arricchisce l’altra.

Venite anche da storie diverse. Quanto del vostro passato e vissuto si riflette sulla vostra musica di oggi. In che modo la vostra storia si traduce in musica?

William: Per me questa cosa è molto forte. Ho dedicato tutta la mia vita allo studio del violino perché per me è stata un’opportunità per uscire dalla povertà e dai pericoli della società colombiana degli anni Novanta. Ogni volta che ho il violino fra le mani per me è un momento speciale, perché è la musica che mi ha salvato. Qualsiasi cosa faccia con la musica è influenzata da questa mia storia.

Venendo al concerto. Absolute Jest è un pezzo complicato, forse più che per le note, per la calibrazione e l’equilibrio dei suoni e dei timbri. Lo stesso Adams addirittura consiglia di controllare il suono in diretta con una mixing board. Qual è stato per voi l’aspetto più difficile del pezzo in questione?

William: Adesso stiamo al 70% del lavoro. Il resto lo faremo con l’orchestra durante le prove. Il ritmo è molto forte in questo pezzo: il compositore vede Beethoven attraverso una chiave ritmica e armonica più che lirica. Ci sono tante citazioni dello Scherzo della Nona Sinfonia. Il primo movimento del pezzo si basa praticamente solo su questa cellula ritmica.
In altri momenti ci sono invece grandi blocchi armonici in cui prevale la dimensione del quartetto. In questi casi sembra come di suonare in una cattedrale perché suoniamo sfalsati, nessuno è insieme all’altro. Ma quando lo senti non avverti il disordine; è un disordine ordinato che crea questa sensazione di eco. L’ascoltatore percepisce questi grandi blocchi di tonica e dominante e quello che ne viene fuori è un’atmosfera molto ricca.

Forse Absolute Jest è uno dei pezzi più esemplificativi di un rapporto “fluido” con la Storia. Beethoven si ritrova inaspettatamente a dialogare con Stravinsky come se il passato e il presente fossero appiattiti su una dimensione sovratemporale. Cosa vi ha colpito di più della musica di Adams?

Giacomo: Sicuramente il fatto di prendere delle cellule di quartetti di Beethoven e metterli insieme con materiale nuovo. Fin da bambino con i miei fratelli collezionavamo i cd degli ultimi quartetti di Beethoven. Quindi ritrovarli tutti insieme, mixati, è una cosa affascinante. Passi dal 135 alla Grosse Fuge, dal 131 alle Sinfonie… è veramente una bella sfida.

Vi trovate davanti un pezzo da studiare per un programma, come funziona l’approccio allo studio? In che modo il Quartetto Henao aggredisce un brano nuovo?

Soyeon: Innanzitutto litighiamo… [ride]

Stefano: A volte c’è la tentazione di iniziare a studiare solo la propria parte, mentre è fondamentale ascoltare gli altri e studiare la partitura.Una cosa che abbiamo ereditato dal nostro maestro è anche lo studio in generale dell’autore, lo studio della partitura, l’ascolto di più esecuzioni.

Soyeon: La cosa fondamentale per il quartetto d’archi è prima di tutto l’intonazione. All’inizio lavoriamo moltissimo e puntiamo su questo aspetto fondamentale.

Giacomo: Un’altra cosa molto importante che Pichler ci ha insegnato è di arrivare alle prove sempre preparati. C’è prima di tutto uno studio individuale da fare che ognuno fa a casa sua per arrivare alle prove con le parti pronte.

È di qualche mese fa la notizia del premio “Quartetto dell’anno 2019”. È un importante riconoscimento e soprattutto un ottimo modo per iniziare questo anno. Quali programmi avete in cantiere?

Soyeon: C’è una frase molto importante che William ripete spesso, ossia che non bisognerebbe mai fare musica per vincere una carriera, per vincere un concorso, per la fama… noi quattro ci siamo incontrati con questa voglia di studiare insieme e scoprire musiche belle che possiamo suonare insieme. Il nostro obiettivo quindi è quello di superare gli ostacoli e fidarci e unirci sempre di più per migliorare sempre di più. A volte può venire anche la paura di essere indietro perché ci sono anche tanti altri quartetti, però non bisogna mai perdere di vista il fatto di suonare insieme, perché quella è la cosa più importante.

Matteo Macinanti

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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