Conversazioni

con Costantino Catena

Autore: Anita Pianesi

22 Novembre 2019
Incontro Costantino Catena alla fiera di Cremona, l’occasione si presenta grazie a Giovanni Iannantuoni, manager di Yamaha Music Europe, che ci aveva precedentemente messo  in contatto per preparare l’evento “Esperienze di Ascolto”. Insieme avevamo avuto modo, entrando subito in perfetta sintonia, di confrontarci sulle tematiche della mia ricerca condotta sotto la guida di Mario Baroni e Johannella Tafuri, nell’ambito del corso di perfezionamento sulla Metodologia della Ricerca per l’Interpretazione Musicale, avevamo scelto il brano da presentare all’evento in conformità al protocollo definito dalla ricerca e definito tutti i particolari. La mia attenzione, lo ammetto, in quel frangente era rivolta principalmente alla ricerca e al rispetto di tutte le modalità. A “giochi fatti”, in Sala Stradivari, Yamaha Hall, ho modo di apprezzare il pianista, durante la sua esecuzione che si rivela di una estrema profondità espressiva, dove il suono, oltre che “pulito” e “puro”, racconta la sua essenza. Nasce cosi il desiderio di conoscere il percorso professionale di Costantino Catena e, da qui, l’idea di scrivere l’intervista che, sono sicura, darà molti spunti ai giovani pianisti per operare una scelta più consapevole in merito alla strada formativa da intraprendere per la loro affermazione professionale.

Vorrei iniziare con una domanda che sono sicura ti avranno posto spesso: come hai incontrato la musica e come hai maturato la decisione di studiare il pianoforte?

Sì, è una domanda che mi hanno posto spesso e alla quale, in verità, non so rispondere con precisione, perché ero molto piccolo. Mio nonno materno suonava il pianoforte e il violino, in casa c’era un vecchio pianoforte Boisselot (che ancora conservo) sul quale ho cominciato a strimpellare ed è venuto tutto naturale, come se fosse una seconda lingua.

Tu sei laureato in filosofia e psicologia, per quale motivo hai scelto di affiancare queste discipline alla musica e quanto il loro studio è stato importante per la tua carriera di pianista?

L’amore per la filosofia è nato durante gli anni del liceo. Mi affascinava questa disciplina così speculativa, fatta di logica, di ragionamento, a prescindere dai campi di applicazione: la trovavo profondamente formante, capace di dare una solida struttura mentale e un forte spirito critico. Alla fine del liceo, quindi, mi sono iscritto anche all’Università, laureandomi in Filosofia della Scienza con il compianto Prof. Roberto Cordeschi: la tesi s’ intitolava “Il pensiero musicale: processi cognitivi e modelli connessionisti”. In seguito decisi di approfondire e mi laureai in Psicologia perché intendevo capire più profondamente come funziona il cervello umano quando è coinvolto nella percezione e nell’esecuzione musicale, sia dal punto di vista cognitivo che da quello emotivo, specializzandomi nello studio della memoria (la tesi specialistica, sperimentale, s’ intitolava “Effetti di un sonnellino pomeridiano su un compito di memoria musicale“). La conoscenza di queste discipline mi ha conferito maggiore consapevolezza durante lo studio e la performance, e mi ha fatto crescere molto intellettualmente e umanamente, ha favorito la riflessione su quello che stavo facendo. In alcuni dei Conservatori in cui ho insegnato, ho tenuto corsi di Psicofisiologia dell’esecuzione musicale.

Ritieni che la conoscenza della filosofia e della  psicologia possa essere importante per la comprensione del messaggio musicale se non addirittura essere a sostegno dell’analisi della composizione e del suo autore? Se si in che misura?

Credo che non si possa essere artisti completi senza una forte base culturale. Nel caso specifico, lo studio di queste materie, di sicuro, rafforza la capacità di analisi e di comprensione,  che, naturalmente, non può prescindere da uno studio specifico come quello delle basi della composizione o della storia della musica. Dal punto di vista strettamente esecutivo, la conoscenza di certe discipline psicologiche (Psicologia della memoria, Psicologia delle emozioni etc.) non può non influire sulla consapevolezza in fase di apprendimento o sul controllo e sulla gestione delle emozioni durante la performance. Ma a parte questi aspetti più specifici, ritengo che lo studio di queste discipline sia importante per la crescita generale e per la formazione culturale, che non devono mai mancare a un artista.

Consiglieresti ai giovani musicisti in formazione di associare alla musica lo studio della filosofia e/o della psicologia?

Sì, certo, e non solo. Ci vogliono la letteratura, la poesia, le scienze … una formazione culturale completa. La musica è un’arte radicalmente inserita nel contesto culturale: è importante capire cosa succedeva mentre – per esempio – Beethoven componeva le Sonate per pianoforte, perché sono profondamente permeate della filosofia della sua epoca.

Tu insegni al Conservatorio di Salerno, segui quindi molti giovani nel loro percorso formativo, credi che sia possibile ipotizzare un percorso parallelo o ritieni che sia troppo impegnativo se non addirittura impossibile?

Ecco, questo è un discorso diverso. Una cosa è studiare anche un po’ di filosofia, di psicologia o di altre materie a corredo della propria formazione culturale, un’altra cosa è laurearsi in queste materie e quindi seguire un percorso parallelo. Impossibile non lo è di certo, ma di sicuro molto impegnativo: quando l’ho fatto io, con il vecchio ordinamento, era ancora possibile sostenere meno esami ma con programmi più corposi e avere la libertà di seguire, non seguire o seguire parzialmente i corsi, senza obbligo di firma. Questo mi permetteva di dare gli esami quando ero pronto ma senza fretta e di non perdere troppo tempo nei corridoi e nelle aule universitarie: oggi non so se sia più possibile.

Catena

 Il musicologo Carlo Vitali, in un articolo apparso su Amadeus, ti ha elogiato in particolar modo per la tua “arte del cantare sulla tastiera”. Ho  ascoltato con estremo piacere il tuo CD Dedications inciso su Bosendoerfer con Camerata Tokyo, e personalmente, ho trovato la tua interpretazione di Liszt molto operistica, drammatica, era questo il tuo intento ? 

Quel CD oltre alla Sonata di Liszt contiene la Fantasia di Schumann; in qualche modo questi due capolavori – reciprocamente dedicati – sono collegati, ma sono anche di carattere molto diverso. Ho cercato di dare un’interpretazione intimistica, lirica e filosofica della Fantasia di Schumann, contrapposta a una Sonata di Liszt drammatica, orchestrale, grandiosa. Quando Liszt la eseguiva spesso il suo pubblico, aspettandosi grandi acrobazie, restava deluso; pur nella sua grande difficoltà e nel suo virtuosismo, la Sonata non è appariscente come altri brani di Liszt ed è pervasa da un clima inquieto ed agitato. Ho cercato di renderla in questa veste di storia da raccontare, esaltando il suo carattere continuamente teso e drammatico.

Tu, sia in ambito solistico che in quello cameristico prediligi il periodo romantico, per quale motivo? È una tua esigenza come musicista o una richiesta del tuo pubblico?

Credo che ognuno di noi abbia delle predisposizioni verso un certo repertorio, vuoi per il tipo di suono che si riesce a tirar fuori dallo strumento, vuoi per la vicinanza emotiva con la natura dei brani. Non disdegno affatto tutto il repertorio barocco/classico o quello moderno, ma prediligo l’ambito romantico per una sorta di affinità elettiva.

Nell’ambito romantico, pur rivolgendoti spesso agli autori più conosciuti, sei sempre alla ricerca di compositori poco noti al pubblico, per quale motivo? Anche qui è un’esigenza personale come artista o dettata, per esempio, dalle case discografiche che sono sempre alla ricerca di novità?

Non sono sicuro che le case discografiche siano sempre alla ricerca di novità, spesso anzi (è il caso per esempio di Camerata Tokyo, l’etichetta giapponese per la quale sto registrando l’integrale di Schumann) chiedono repertorio consolidato perché serve a completare il catalogo e, nonostante le ripetute incisioni, vende sempre. Ci sono però ottimi compositori (come Salieri, di cui in passato ho inciso i due Concerti per pianoforte e orchestra che pochissimi conoscono) che hanno sofferto particolarmente la contemporanea presenza di altissime figure (Mozart, nel caso di Salieri) o che, per altri motivi, sono stati dimenticati. Mi piace riscoprire questo repertorio ed affiancarlo a quello più conosciuto sia per variare che per rendere giustizia a un repertorio molto spesso interessante.

Tra gli autori poco noti che proponi maggiormente prevale il compositore Wolf Ferrari, ci vuoi parlare un po’ di lui? Come lo hai conosciuto e cosa ti ha spinto ad approfondire la sua conoscenza per poi interpretarlo ed eseguirlo con assiduità?

In una ricerca sui Quintetti con pianoforte italiani qualche anno fa mi imbattei nell’unica (splendida) incisione del Quintetto di Wolf-Ferrari: un CD degli anni ’80 con Wolfgang Sawallisch al pianoforte e il Leopolder-Quartett München. Questo ascolto mi incuriosì molto e mi misi alla ricerca di eventuali composizioni per pianoforte solo di Ermanno Wolf-Ferrari, trovando presso la Staatsbibliothek di Monaco di Baviera sia cose edite (come gli Improvvisi op. 13 o i Pezzi op. 14) che assolutamente inedite, come le Bagatelle, le Undici Variazioni su un Minuetto del Falstaff di Verdi, la Chopin-Phantasie o lo Scherzino. Proposi quindi a Giovanna Manci e Giacomo Fasola (COOP ART  CESTEM di Roma), da sempre interessati alla ricerca musicologica e a valorizzare partiture inedite o rare, di registrare questi brani, cosa che colsero con grande piacere e da cui nacque un progetto di più ampia portata che prevede la registrazione di tutta la musica da camera con pianoforte di Wolf-Ferrari. Il primo CD, che contiene la musica per pianoforte e pubblicato dall’olandese Brilliant Classics agli inizi di quest’anno, ha riscosso molto interesse e stiamo lavorando ai successivi: nel mese di novembre registrerò infatti le sonate per violino e pianoforte con il violinista Davide Alogna.

Wolf-Ferrari  è stato considerato un conservatore dalle avanguardie e pertanto è stato lasciato ai margini della vita musicale italiana, egli non amava la “pura ricerca sonora” ma cercava sempre la bellezza nella musica, rifacendosi a ideali classici o romantici. Inoltre il suo scritto “Considerazioni attuali sulla Musica”, con prefazione di Giovanni Gentile e introduzione di Giulio Cogni, dopo la caduta del fascismo ha contribuito ad emarginarlo ancora di più. Solo negli ultimi anni sta lentamente tornando alla luce il suo repertorio (soprattutto strumentale, praticamente sconosciuto) e sembra esserci un rinnovato interesse per la sua figura. Cerco spesso di suonare qualche suo brano nei concerti per contribuire alla conoscenza di questo autore.

 

Sei stato il protagonista “umano” dell’esperimento “Esperienze di Ascolto” da me curato e promosso dalla Yamaha in occasione della manifestazione  Cremona Musica, e di questo, naturalmente ti ringrazio; a questo punto, però,  non posso fare a meno di chiederti come hai vissuto l’evento e soprattutto l’ascolto degli altri interpreti non tradizionali: TeoTronico e il Disklavier, quali sono state le tue sensazioni? 

Dato il mio interesse e le mie conoscenze psicologiche ho partecipato con vero piacere all’esperimento. Trovo che sia assolutamente un argomento da approfondire, visto che viviamo in una società in cui la pervasività dei media, da una parte limita la presenza fisica privilegiando metodi di ascolto sempre più basati sulla riproduzione, dall’altra esalta la stessa  presenza fisica attribuendo una grande importanza al linguaggio corporeo e all’immagine, che spesso finiscono per prevalere sul messaggio vero e proprio. Cercare di capire, quindi, quanto la gestualità influisca sull’ascolto musicale, quanto sia collegata alle emozioni, è molto importante. Nella nostra epoca è cambiato molto il modo di stare al pianoforte rispetto al passato: oggi si tende ad esteriorizzare di più, a mostrare maggiormente con espressioni facciali o corporee il legame con la musica e con le emozioni che si intendono veicolare, questo probabilmente proprio perché oggi c’è molta più comunicazione visiva multimediale. Credo che la società di massa e dei media abbia cambiato profondamente il nostro modo di comunicare la musica, e i risultati della tua ricerca ci faranno comprendere come il pubblico accoglie il messaggio dell’umano rispetto al meccanico.

Credi che la figura del pianista professionista possa cambiare nel futuro così come è successo nei periodi dal ‘700 al ‘900, se si in quale direzione?

L’interpretazione cambia e si evolve sempre, anche oggi stiamo assistendo a un grande cambiamento rispetto alla prassi concertistica del ‘900. Anche il pianoforte cambia, si evolve, mutano i materiali e le tecniche di costruzione, la precisione e l’affidabilità della meccanica. Tutto questo porta a continui cambiamenti negli stili interpretativi e anche nel modo di proporsi in pubblico…ma poiché la musica non è e non dev’essere un museo, ben venga tutto ciò.

Non sono in grado di dire in che direzione stiamo andando perché è un momento di profonda trasformazione, da una parte c’è un professionismo di altissimo livello che produce tanti ottimi pianisti, dall’altra si cercano strade per avvicinare il pubblico e diventare più popolari (appunto perché i media in questo aiutano moltissimo) ma tutto ciò, ovviamente, finisce qualche volta per involgarire e banalizzare il linguaggio musicale, facendoci assistere al proliferare di fenomeni discutibili.

Cosa consiglieresti ai giovani pianisti? 

Di studiare e perfezionarsi sempre, la musica è un’arte in cui si cresce e non uno sport, che ha dei limiti fisici e di età. Spesso i giovani tendono a considerare troppo la performance in sé e a trascurare la creatività o la ricerca timbrica e interpretativa privilegiando forza e velocità. A volte, poi, il facile successo che si riesce ad ottenere sui social networks finisce per dare troppe certezze e limitare gli spazi di crescita, ma vedo che più in generale c’è un grande fermento e anche  un ottimo livello, con tanti giovani che suonano molto bene a cui auguro di trovare spazio perché in questa società c’è bisogno di tanta buona musica.

Anita Pianesi

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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