Cristofori 2019

Intervista al duo Geniusas-Geniushene

Autore: Valerio Sebastiani

3 Ottobre 2019
In un’ampia aula del Conservatorio Pollini di Padova, occupata per metà da due pianoforti a mezza coda allineati l’uno all’altro e a malapena illuminata, l’incontro con Anna Geniushene e Lukas Geniuŝas si è tenuto con la naturalezza, l’estro e la sincera profondità propri di due giovani interpreti prossimi a raggiungere una maturità artistica definita e tangibile. Còlti in un pomeriggio di studio forsennato, in preparazione del concerto di chiusura del Festival pianistico Bartolomeo Cristofori, i due pianisti russi si sono abbandonati a riflessioni fluenti, perfettamente armonizzate anche quando in disaccordo l’uno con l’altra, rivelando molti aspetti del loro personale modo di intendere la pratica pianistica.

In onore al programma che suonerete domani sera, mi piacerebbe iniziare parlando del vostro rapporto con la tradizione e come questo rapporto si lega al vostro approccio allo strumento.

Lukas: La mia connessione con la tradizione accademica ha radici profonde, e in nessuna delle mie sfumature come musicista nego la sua importanza. Cerco di stabilire un dialogo con essa, anzi!, forse cerco di apportare un’evoluzione della tradizione, ma non mi pongo come un rivoluzionario quando suono.
Anna: Condivido pienamente. Abbiamo creato questo programma proprio per far risaltare il dialogo tra le varie trascrizioni e il pezzo originale (o tradizionale, se vogliamo chiamarlo così). L’intero programma contiene questa musica convertita in uno stile e un mezzo di espressione diversi, da cui emergono non solo due autori che dialogano tra loro, ma anche conflitti tra differenti stili e materiali sonori. Ci basta questo, non vogliamo rivoluzionare ulteriormente dei brani che, passando dalla mano di un compositore all’altra, hanno già subito un cambiamento. Questo è evidentissimo nella Fantasia K475 di Mozart trascritta da Edvard Grieg, il cui ascolto potrebbe anche risultare un po’ scioccante. Tuttavia penso che l’idea principale sia di esprimere noi stessi attraverso la musica, e di essere più diretti e sinceri possibile. Probabilmente a livello personale la cosa fondamentale è non superare i confini, perché a volte c’è una tendenza al giorno d’oggi a creare un’illusione per cui il musicista sta creando qualcosa di diverso sul palco, la tendenza a ostentare la propria capacità di creare qualcosa di unico. Voglio approfondire questo punto: ritengo sia fondamentale mantenere una distanza tra le tue idee e le idee del compositore stesso, un modo che permetta sia di mantenere definiti dei confini, sia di essere coerenti dal punto di vista storico. Ogni volta che siamo sul palco in un certo senso stiamo creando qualcosa di unico, il cambiamento è fisiologico dell’uomo. Il nostro modo di intendere l’arte non è statico…
Lukas: …ma l’interpretazione del musicista non si frappone mai tra l’ascoltatore e la concezione originaria, autoriale, del pezzo. Le nostre personali ambizioni, la nostra personalità, la nostra fantasia… sono tutti aspetti che non dovrebbero essere messi davanti alla musica, nell’esecuzione.

Quando tornate su un pezzo che non avete suonato per diversi anni, iniziate da capo o costruite sulle vecchie fondamenta? Insomma: mi piacerebbe sapere se vi affidate più a un tipo di lavoro che prevede una riscoperta costante, folgorata da ispirazioni sempre inedite, oppure se immaginate il vostro lavoro di interpreti come un cantiere…

Anna: Io continuo da dove avevo lasciato, perché uso spartiti di carta quindi scrivo segni e appunti di vario genere. Quando ritorno su quei punti cerco sempre di tenere a mente a come ho reagito studiando quelle indicazioni agogiche (o dinamiche che ho preferito sottolineare) che sono state aggiunte anno dopo anno.  Ma quando a volte decido che queste annotazioni sono un po’ datate, cerco sempre di aggiungere elementi di novità. Ma posso dire con tranquillità che quando lavoro ho più la tendenza ad accumulare e stratificare, ma quando ritorno su quel pezzo dopo tanto tempo cerco di guardare a quelle annotazioni, da altri punti di vista, senza metterle in discussione radicalmente.
Lukas: (esitando un po’) Io credo che, nello studiare i vecchi appunti, non fai altro che guardare al vecchio te stesso, e spesso arrivi a dirti “Va bene questo pensiero non è più rilevante, andiamo avanti”. Io sono estremamente in accordo con l’attitudine di Anna. Soprattutto quando suoniamo insieme, perché lei ha un’ottima memoria, mi affascina sempre come riesca a ricordare i dettagli di un pezzo suonato anni prima… Io ho una memoria a breve termine…
Anna: Questo accade soprattutto perché quando finisco di eseguire un pezzo sul palco, non lo considero un pezzo finito, è ancora vivo nella mia testa e continuo a lavorarci anche dopo il concerto. D’altronde il lato più interessante del nostro lavoro è lo stato di costante ricerca, non c’è mai stabilità, ma una continua esplorazione del mondo della musica e del tuo suono interiore.

Anna Geniushene

Anna Geniushene

Vi sentite influenzati in qualche modo dalla presenza del pubblico quando suonate?

Lukas: Assolutamente, penso che sia il fattore chiave dell’interpretazione musicale.
Anna: Sai, quando studio qualcosa a volte mi aiuta moltissimo mettere un oggetto sul pianoforte e mentre suono considerarlo una sorta di pubblico. Mi permette di costruire fiducia in me stessa e a repricarla nel momento cruciale in cui mi trovo davanti a un pubblico.
Lukas: Un’abilità straordinaria è quella di dimenticare di avere un pubblico quando si suona… Solo pochi artisti ne sono in grado. Da un lato è importante perché spesso accende una passione dentro, un desiderio di condividere la musica… Ma ci sono particolari pezzi che mentre suono so esattamente come vorrei che riuscissero, le mie idee sono palpabili, e non mi serve avere un pubblico che accenda la passione.
Anna: Anzi, a volte quasi disturba…
Lukas: No, potrebbero anche esserci delle persone, ma non sarebbe significativo per me perché so esattamente cosa voglio ottenere da un pezzo, non serve un’ispirazione da fuori… Ma questi pezzi sono davvero pochi…
Anna: In questo senso è interessante una citazione, di cui non ricordo la fonte al momento, che dice più o meno così: quando sali sul palco devi suonare come se nessuno stesse ascoltando, e questo ti darà un punto in più di fiducia in te stesso. Può aiutare a superare le paure e a trovare la propria voce. A volte credo che questo aiuti ma a volte vorrei davvero che ci fosse qualcuno con cui avere una connessione speciale nel pubblico, a cui trasmettere tutti i miei desideri e le mie passioni. Penso che per noi sia necessario avere uno specchio in cui guardarci, per capire se il nostro lavoro sia stato degno di essere ascoltato.
Lukas: Ho un aneddoto a tal proposito… Mia nonna è stata la mia insegnante di piano, e una volta era sul palco a registrare la Terza Sonata di Chopin e mi ha confessato che si sentiva così in difficoltà nel rendere il pezzo come lei voleva, che continuava a bloccare le registrazioni. Questo perché non c’era nessuno ad ascoltarla, fatta eccezione per un ingegnere del suono che, dal suo punto di vista, non era di grande ispirazione… e poi il suo assistente arrivò e lui le disse di suonare come se lo stesse facendo in una classe durante una lezione… quella fu la chiave, e funzionò!

Lukas Geniuŝas

Lukas Geniuŝas

E per te esiste differenza tra una performance pubblica e una registrata?

Lukas: Parliamo più in termini di un approccio ideale alla performance, quindi qualsiasi cosa tu voglia ottenere puoi farlo, per me è la perfetta opportunità perché sul palco non è umanamente possibile ottenere ciò che la registrazione dà. Per esempio ho una Sonata lunga 28 minuti e so cosa vorrei sentire quando suono, eppure riesco a ottenere solo il 60% di quello che potrei raggiungere. In studio do il 100%, ecco perché adoro registrare.

Quando siete al piano sentite di suonare il pianoforte come oggetto esterno o come una estensione della vostra individualità artistica?

Lukas: Io faccio riferimento allo strumento come un oggetto nello spazio su cui riesco ad accordarmi, perché è la mia passione ma diventa molto meccanico quando suono, quindi mentre suono so come si stanno muovendo le stringhe e come i martelletti le colpiscono… E non scompaio in nubi di sogni, mi tengo lontano da sentimentalismi. C’è una certa realtà oggettiva tra me e il piano che non dimentico, ma è bello così.
Anna: A me piace molto l’idea di me stessa in una fusione con il piano, ma penso che sia un processo molto intimo che ha luogo quando suono senza nessuna distrazione. Mi piace osservare come dalle mie dita io riesca a tirare fuori musica, quanto peso devo imprimere nelle dita per raggiungere il risultato… Penso che quando ci separiamo dallo strumento perdiamo una certa tensione che cresce tra noi… Non è un monologo davanti al piano ma un dialogo con il pianoforte stesso… Presto sempre attenzione a questo aspetto quando suono da sola.
Lukas: Una cosa che volevo aggiungere a questo è che quando hai fatto la domanda ho subito pensato a un aspetto teoretico e metafisico, ma immagino tu possa capire che non sento un reale conflitto tra io che studio l’armonia della partitura con occhio critico e io che la interpreto, cercando di far risaltare i sui sensi più nascosti. Non c’è conflitto tra la parte teorica e quella meccanica per me…
Anna: Sai, è un momento quasi magico, c’è la tendenza a considerare il piano come uno strumento a percussione. Creiamo suoni che possono durare non più di un paio di secondi, ma il suono che si crea nella nostra immaginazione sembra estendersi e dilatare il tempo, e in questo caso sembriamo essere in grado di creare suoni diversi. E questa è nostra abilità di veri pianisti, altrimenti saremmo percussionisti.

Dando una scorsa al vostro repertorio, salta all’occhio sia la grande eterogeneità degli autori proposti, che denota una grande versatilità, ma anche una sincera propensione verso la musica contemporanea. Penso che adesso potrebbe essere interessante parlare di come pensate e assemblate i vostri programmi e se intendete la vostra attività concertistica come una sorta di processo educativo per il pubblico…

Anna: Ogni momento in cui siamo sul palco è un momento dedicato all’istruzione del pubblico, principalmente perché stai cercando di usare un linguaggio che non è verbale, quindi devi sempre “educare”, soprattutto persone che non sono avvezze ad ascoltare concerti di musica classica. Istruire, educare, formare il pubblico è un bisogno cruciale per tutti (organizzatori, committenti…) ma in particolare per i musicisti, che troppo spesso sono molto pigri e non riescono ad andare oltre le solite greatest hits… A volte si suona Beethoven o Chopin semplicemente perché è quello che si impara in Conservatorio! E alla maggior parte degli interpreti non importa di esplorare e allargare il territorio pianistico…
Lukas: …ma questo discorso non è valido solo per il pianoforte, anche la musica da camera e sinfonica incorre nello stesso problema. Abbiamo molti amici direttori d’orchestra che provano duramente a inserire qualcosa di nuovo, di innovativo nei programmi, ma è spesso controcorrente rispetto al gusto del pubblico e di chi presenta i programmi stessi… Io, personalmente, mi posiziono con certezza dalla parte di chi vuole estendere i repertori e uscire dalla routine…
Anna: Però è vero che quando devi studiare a memoria Messiaen, ad esempio (ed è quello che sto facendo ora), sento costantemente di aver sovrastimato la mia abilità, perché è impossibile da imparare a memoria e…
Lukas (rivolgendosi direttamente ad Anna): … tuttavia questa è stata una tua scelta, certo incredibilmente coraggiosa, ma non c’è l’obbligo di memorizzare nulla, qui parliamo del gusto delle persone e di come estenderlo, migliorarlo, allargarlo…
Anna: Giusto, ma io penso che siamo sulla giusta strada. L’idea che sta alla base del nostro Festival di Mosca, il NikoFest, che organizziamo ogni anno, prevede una serie di tre concerti nei quali invitiamo tutti i nostri colleghi e amici stretti a suonare dei programmi scelti interamente da loro, senza nessuna volontà di influenzare e direzionare in maniera netta le loro proposte…

Per esempio?

Anna: Recentemente abbiamo invitato questo incredibile musicista, Sergei Poltavsky, uno straordinario violista e professore del conservatorio di Mosca, e avendogli dato interamente carta bianca nello strutturare il programma ha deciso di creare una serata elettro acustica, un misto tra piano, piano elettrico, viola e viola elettrica e una console per gli effetti elettronici. E questo non si vede spesso nell’ambiente di Mosca. Quindi diciamo che noi invitiamo sempre amichevolmente i musicisti a decidere cosa suonare…
Lukas: Ma la cosa veramente divertente è che ne abbiamo discusso proprio oggi e ad Anna è venuta l’idea di una nuova serie di concerti in cui il programma è completamente non stabilito…
Anna: Sì! Ogni performer apparirà sul palco e annuncerà cosa vuole suonare quel giorno. E penso che questo sposti il focus sulla personalità del musicista, piuttosto che sul programma. Perché a volte il pubblico frequenta alcuni concerti molto mainstream, in cui i programmi sono piuttosto prevedibili e non escono dalla “comfort zone” di una sonata di Chopin…
Lukas: È anche vero che non si può somministrare Lutoslavski, tanto per fare un nome, a un pubblico che si rivolge alla musica classica per la seconda volta nella vita, sarebbe solo scioccato e la eviterebbe…

L’esempio del programma che eseguirete domani è virtuoso proprio per questo motivo ed è un esempio di come dovrebbero essere certi programmi in cui si avvicina musica del periodo romantico, o tardo-romantico, a musica del XX secolo: un programma equilibrato, certo eterogeneo e spazioso, ma anche giustificato ed armonizzato dal punto di vista dei contenuti e della linea diacronica in cui si articola.

Anna: Esattamente. Voglio ricordare inoltre che per me è molto importante essere presente sul palco non solo come mero esecutore, ma anche come un’intellettuale a cui sta a cuore la ricezione della musica. Spesso mi chiedono di tenere delle brevi presentazioni dei brani che sto per eseguire ed accetto sempre volentieri.  Oggi è fondamentale creare un modo diverso di suonare e di parlare di musica. Bisogna essere in grado di costruire più ponti con il pubblico ed essere capaci di creare integrazione, non allontanamento.

Valerio Sebastiani

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Valerio Sebastiani

Classe 1992. Laureato in Musicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Pianoforte presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Ha frequentato i corsi del MaDAMM (Master in Direzione Artistica e Management Musicale) tenuti dall’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” di Lucca. Attualmente è assistente alla direzione artistica dell'Accademia Filarmonica Romana e consulente scientifico della Treccani. Ha svolto attività di ricerca presso l’Akademie der Künste di Berlino e per conto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Milita in Quinte Parallele dal 2016.

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