Inni alla Notte-Morte

Richard Wagner, Tristan und Isolde

Autore: Redazione

5 Agosto 2019
[blockquote cite=”Novalis, Hymnen an die Nacht I” type=”left”]Più divini di quegli astri splendenti ci sembrano gli occhi infiniti che in noi dischiude la Notte. Essi vedono lontano, oltre le più pallide stelle di quelle innumerevoli schiere; e senza bisogno di luce riescono a scoprire, negli abissi di un’anima amante, ciò che, con indicibile piacere, ne colma i vuoti. Lode alla regina del mondo, sublime annunciatrice di mondi sacri, custode di amori beati, che ti manda a me, dolce amata, amato sole della Notte. Sono sveglio, sono tuo, tuo e mio. Rivelandomi la notte come Vita, mi hai reso umano. Consuma il mio corpo con l’ardore dello spirito perché possa, leggero, congiungermi intimamente a te! E la notte nuziale duri eterna.[/blockquote]

Proprio qui, nell’idealismo magico del mistico mondo notturno degli Inni alla Notte di Novalis, nell’estasi della sua morbida prosa poetica, nella sua aura espansa al di là dei confini dello spazio e disciolta nella dimensione più profonda dell’oscurità, affonda le proprie radici il canto notturno, misterioso e sublime, del secondo atto del Tristan und Isolde di Richard Wagner; il canto degli amanti rapiti nella beatitudine del dolore, nella folle estatica aspirazione all’Eterno e all’Assoluto. Un rito, un sacro mistero sta per compiersi: risvegliati dalla luce illusoria del giorno al miraggio di una Notte redentrice in cui aleggia, libera, la Weltseel (l’anima del mondo), gli amanti, già votati alla morte, consegnano a Minne – dea dell’Amore, regina degli incantesimi, dei folli spiriti e del divenire del mondo – piacere e tormento, eros e volontà, vita e morte; e alla musica il loro estatico visionario Inno alla Notte.

Tutto aveva preso forma dall’accordo primigenio del Preludio al primo atto, «soffio originario – scriveva Wagner da Parigi, il 3 marzo 1860, a Mathilde Wesendonk, musa ispiratrice dell’opera – che offusca la trasparenza del cielo senza nubi, e che si dilata e si addensa per creare un mondo visibile e impenetrabile»; da quell’originario Tristan Akkord che si dilata e respira nella coloritura del cromatismo armonico wagneriano; in quell’ideogramma di una Sehnsucht, essenza del sentimento umano, che esulta e soffoca, e su cui si snodano i temi del dolore e del desiderio, dello sguardo e dell’amplesso amoroso, del magico filtro di amore e morte. Un principio creatore dolce e doloroso di matrice orientale, nella celeste trasparenza di uno sconfinato Nulla, che nel corso dell’intera opera, nella sconfinata capacità della Musica, continuamente si rigenera in slanci di emozione, sospiri ansiosi, lamenti e desideri di inarrestabile struggimento, fino alla liberazione ultima. Fino all’eterno amplesso nella Notte-Morte.

Ora, nel secondo atto, con un vero e proprio canto iniziatico – teso sull’ordito di una complessa armonia dai continui mutamenti cromatici che, per infiniti gradi, discende nell’oscura profondità della notte – gli amanti, lontani dalla verità del Giorno e sempre più immersi nella dimensione sacra, ineffabile e arcana della Notte, stanno per vivere, sul confine tra eros e thanatos, l’empatica magia che lega insieme Natura e Spirito:

«Alla luce del giorno, che ti mostrava traditore, volli sfuggire e là, nella Notte, condurti con me; là dove il buio prometteva la fine di ogni inganno, la caduta di ogni falsa illusione; là, per bere eterno amore, per consacrarti con me, uniti, alla Morte! … Siamo ormai consacrati alla Notte! Il fraudolento giorno potrà separarci ma non più illuderci. Chi, nell’estasi d’amore, ha visto la notte della morte, colui al quale ella profondo segreto ha affidato, le menzogne del giorno, la gloria, l’onore, la potenza, la ricchezza, così nobili e scintillanti, vedrà dissolversi in franto luminoso pulviscolo! Nella vana illusione del giorno rimane un solo anelito: il desiderio della sacra Notte, dove, dall’eternità, sorride l’unica vera estasi d’Amore! … Oh, scendi quaggiù, notte d’amore! Del vivere dona l’oblio, rapiscimi nel tuo seno, separami via dal mondo! Spente, ormai, le ultime luci… spento ogni pensiero, ogni parvenza, ogni ricordo… Il sublime presagio di un sacro crepuscolo scioglie l’orrore dell’illusione, ci libera dal mondo! Da quando nel cuore è scomparso il sole, stelle di piacere splendono e sorridono. Circonfuso dal tuo incanto, soavemente perduto nei tuoi occhi, il mio cuore sul tuo, la mia bocca sulla tua, unico respiro di un unico abbraccio… Si frantuma lo sguardo, abbagliato dal desiderio, impallidisce il mondo dentro la sua falsa luce, quel mondo che il giorno ingannevole illumina, che oppone noi a ingannevole illusione… Ora noi stessi siamo il mondo, intreccio di sublime passione, sacra vita d’amore, dolce consapevole desiderio di non risvegliarsi mai più!…  Oh, Notte eterna, dolce Notte! Sublime, solenne notte d’amore! Esorcizza il tormento, oh dolce Morte, vagheggiata, invocata Morte d’amore! Con antico, sacro ardore, alle tue braccia mi offro!…  Dolce struggimento senza illusioni, dolce desiderio senza timore, sublime morte senza dolore, annebbiamento senza pianto, senza commiato, senza distacco… noi soli, eternamente insieme, in spazi infiniti, in sogni beati… Senza nome, senza distanze, rinnovati, ardenti! Eternamente, senza mai fine, coscienti soltanto d’amore! Ardente fiamma del cuore, supremo piacere d’amore!»

La regressione all’oscurità suggerisce il contatto con l’infinito, il ricongiungimento alla fonte originaria della vita, all’incanto di un nirvana che promette oblio nella dimensione trascendente del compimento d’amore nel duplice motivo di “amore per la morte” e di “morte per amore”, sublimata nel finale dell’opera, nell’ascetico delirio della trasfigurazione di Isolde tra vortici di vapori e armonie di brezze soavi nella palpitante pienezza del respiro del mondo, dove naufragare, ignari, sarà estasi suprema…

«In quell’inaudito crescendodella musica – scriverà Thomas Mann nel finale del suo racconto Tristan, disperso in quell’improvviso, quasi sacrilego pianissimo, che è come sprofondare nella sublime libidine dei sensi, prorompe l’immensa liberazione, l’inebriante fremito di un appagamento smisurato, insaziabile sempre e ancora, che, rifluendo, sembra voler redimere l’anima, intessere ancora una volta, nelle sue armonie, il motivo del desiderio per poi spirare, estinguersi, riecheggiare e spegnersi in profondo, eterno silenzio».

Un nobile gioco di desiderio e passione, di delirio e redenzione, disciolti nel crepuscolo del Romanticismo; fremiti indomabili e deliranti che, forse, neppure gli stessi amanti sono in grado di comprendere ma che, sotto il cieco volere del fato, hanno innalzato Tristan e Isolde alla sfera superiore del simbolo universale, nell’antica leggenda medievale di Gottfried von Straßburg – leggenda per spiriti eletti, che «uniscono insieme, in unico cuore, il dolce dolore e l’amaro piacere» – così come nel «monumento al meraviglioso sogno dell’Amore» eretto tra gli anni 1857–1859 da Richard Wagner, il musicista che infrange ogni schema per rivelare sempre qualcosa di diverso, di profondo, di prepotentemente rivoluzionario.

Richard Wagner

Richard Wagner

Tristan und Isolde svetta solitario quale centro pulsante dell’intero, ricchissimo e inquieto scenario romantico, divenendo punto di partenza della “musica dell’avvenire”; un fenomeno poetico-musicale tra i più grandiosi e complessi, che sublima l’opera teatrale con la forza redentrice del mito nell’antitesi di un secolo che contrappone orgoglio scientifico e pessimismo, naturalismo e rito, fiducia nel progresso e osmosi con la morte.
Nel 1859, a partitura completata, in vista di un’esecuzione parigina in forma di concerto, nell’indicazione programmatica al Preludio [Tristan und Isolde: Vorspiel, programmatische Erläuterung] Wagner scriveva:

«È un’opera di passione, struggimento, estasi e angoscia senza limiti… con un’unica possibile redenzione: l’annullamento in un sonno senza risveglio… finché, nell’estremo sfinimento, allo sguardo ormai velato appare la fuggevole visione di un’ebbrezza estrema: la gioia della morte, del non più essere, della liberazione ultima in quel regno meraviglioso dal quale sempre più siamo allontanati quanto più tentiamo con forza di penetrarvi. È la morte? o piuttosto la sfera sublime della Notte dalla quale, come narra la storia, un’edera e una vite nacquero avvinte l’un l’altra sulle tombe di Tristan e Isolde per unirsi in eterno amplesso?».

Adele Boghetich

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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