Guida alle Variazioni

per clarinetto di Rossini

Autore: Redazione

28 Maggio 2019
Il compositore pesarese Gioachino Rossini fu uno dei più grandi operisti italiani del diciannovesimo secolo. La sua attività compositiva non si ferma però ai capolavori lirici che tutti ben conosciamo: lungo tutto l’arco della sua vita, egli scrisse moltissima musica strumentale – specialmente dopo l’abbandono del teatro nel 1829.
Il brano che proponiamo oggi a voi lettori con questa “listener’s guide” è proprio un pezzo strumentale: le “Variazioni in Do maggiore per clarinetto obbligato e orchestra” del 1809. Rossini le scrisse quando aveva solo 17 anni, cimentandosi nella forma del tema con variazioni risalente al periodo barocco: l’Ottocento fu il secolo che segnò l’inizio di quel recupero della musica antica che poi si accompagnò, nel Novecento, alla nascita di correnti estremamente dirompenti come il serialismo e la dodecafonia. Si tratta di un brano estremamente complesso per il solista sotto il punto di vista tecnico; la “piccola orchestra” è invece composta di archi, flauti, fagotti, corni e clarinetti, un gruppo essenziale ma molto efficace. Per l’ascolto consigliamo due ottime esecuzioni: la prima, su cui si basa l’analisi del brano, è stata registrata dalla Filarmonica di Praga – diretta da Bělohlávek – con la solista Ludmila Peterkova; la seconda, reperibile su Spotify, è dei Filarmonici del Teatro di Bologna – diretti da Chailly – con Dimitri Ashkenazy.

Il brano si apre con una breve sezione introduttiva, composta di veloci scale suonate dagli archi e risposte dei legni, le quali anticipano frammenti del tema che dopo verrà esposto nella sua interezza dal clarinetto solista. Si tratta di una parte molto dialogica, in cui gli strumenti si scambiano continuamente nel proporre e rispondere. A 00.47 inizia il primo intervento del solista, che possiamo considerare ancora come una parte introduttiva al tema con variazioni. Quella suonata dal clarinetto è una linea melodica cantabile e lirica – eccezion fatta per alcuni momenti di virtuosismo: l’accompagnamento degli archi è accordale e rimane molto lieve nei suoi ribattuti. Nel momento in cui la tonalità del brano diventa minore, a 01.09, l’atmosfera cambia completamente: l’accompagnamento muta in suoni tenuti e si creano armonie insolite che traghettano l’ascoltatore fino alla tonalità gioiosa di La bemolle maggiore. Qui comincia un lungo dialogo tra il solista e i flauti, sostenuti dai violini primi. Questa scelta musicale crea un’atmosfera idilliaca e la linea melodica del clarinetto si fonde con quelle di risposta degli altri strumenti. A 01.39 l’introduzione si avvia alla sua fine, e allo scambio dialogico si aggiungono prima le viole e poi i violoncelli (e contrabbassi). Le ultime note sono affidate al clarinetto, che lascia così in sospeso il discorso musicale sull’armonia di dominante – funzionale per tornare alla tonalità originale di Do maggiore.
Ha inizio, dunque, a 01.53, l’esposizione del tema che darà poi origine a tante curiose variazioni nel corso di questo brano di Rossini: un tema di otto battute, che viene eseguito due volte (la seconda volta, secondo la prassi, è suonato piano, e leggermente variato a discrezione del clarinettista); subito dopo, l’autore stesso lo ripropone leggermente variato, meno lirico e più virtuosistico, ritornellato come il tema precedente. A 02.48 possiamo riascoltare il tema principale (modificato nella parte finale), eseguito dai violini primi che sono accompagnati dal resto dell’orchestra: questo intermezzo, suonato forte, si ripresenterà uguale tra le variazioni lungo tutto il corso del pezzo come un filo conduttore. Un’altra funzione dell’intermezzo, di carattere pratico ma non secondaria, è quella di dare il tempo al solista di respirare e riprendersi tra un intervento e l’altro: le variazioni, come vedremo, diventano infatti sempre più virtuosistiche proseguendo nel brano.
A 03.01 comincia la prima variazione vera e propria del tema: le terzine acrobatiche del clarinetto saltellano sopra un accompagnamento pizzicato dagli archi. La leggerezza del solista svetta proprio grazie alla semplicità degli accordi suonati sotto, sia per il loro aspetto armonico – che rimane invariato rispetto al tema – sia per il loro carattere accordale. Dopo averla riascoltata con una dinamica più contenuta, ci troviamo davanti ad una sua lieve variazione, sempre ripetuta due volte: la componente virtuosistica rimane invariata, ma il tappeto sonoro che la sostiene è più ricco, grazie all’aggiunta di bicordi tenuti da parte dei corni. La ripresa del tema da parte di tutti ci attende a 03.45.
Subito dopo l’intervento collettivo ci è presentata un’altra variazione virtuosistica, dove il clarinetto si destreggia ampiamente lungo buona parte del suo registro, dallo chalumeau al clarino, sfruttando l’agilità che è tipica di questo versatile strumento – si notino, tra le altre cose, le veloci scalette cromatiche discendenti prima del ritornello. L’accompagnamento degli archi resta accordale e non invasivo: solo nel finale c’è un piccolo intervento di risposta di violini e viole – anche i corni entrano in questo momento per raddoppiare queste ultime. La parte subito seguente è, come da prassi, leggermente variata, anche se ritroviamo tutte le caratteristiche della precedente; l’unica differenza sostanziale è il finale in acuto. A 04.44 il tema ci viene proposto nuovamente, ma lo ascoltiamo per l’ultima volta: le prossime variazioni non ne saranno più intervallate.
La variazione che possiamo ascoltare ora non è virtuosistica, bensì riprende i caratteri più lirici del tema con una sostanziale differenza: è scritta in Do minore, e ciò fa sì che l’atmosfera della linea melodica che ormai ben conosciamo cambi radicalmente. È generalmente suonata un poco più lentamente, per far sì che l’espressività del solista possa chiarificarsi al meglio, ed è accompagnata da un caratteristico pizzicato degli archi – una specie di botta e risposta tra violoncelli e violini/viole. Nella seconda parte, i clarinetti e i fagotti si aggiungono creando una delicata armonia di Mi bemolle maggiore, alla quale si aggiungono corni e flauti nelle ultime due battute. Come per il tema originale, la ripetizione può essere variata e fiorita dall’esecutore. La sua variazione, sempre in modo minore, rispetta gli stessi principi, ma c’è un frammento nel finale che riprende l’atmosfera sospensiva della parte conclusiva dell’introduzione (in particolare, 01.40 e poco dopo).
A 06.14, dopo un’eventuale cadenza del solista, abbiamo l’ultima delle variazioni prima del finale: questa è nuovamente in Do maggiore e riprende carattere virtuosistico. Si tratta probabilmente della più difficile a livello esecutivo, insieme alla sua propria variazione, essendo costellata di scalette ma anche di salti ampi o meno ampi. Inoltre, l’alta velocità che il brano riprende (data specificamente dall’indicazione più mosso in partitura), dopo la variazione precedente, fa sì che sia necessario un buonissimo livello di agilità da parte del clarinettista. Stavolta, l’accompagnamento è sostenuto a livello ritmico dai legni, che ripropongono il modulo ritmico già suonato dagli archi qualche variazione prima (più precisamente, a partire da 03.58). Rossini fa una scelta peculiare: assegna il compito armonico alle viole, che suonano bicordi tenuti, decidendo così di non utilizzare gli altri strumenti ad arco in questa variazione. Questa sezione ci dà la chiara percezione delle possibilità dinamiche del clarinetto lungo tutto il registro, anche ad una velocità elevata, grazie alle ripetizioni in piano.
Arriviamo così, a 06.59, alla parte conclusiva del pezzo. Ascoltandone queste prime battute, si ha l’impressione di un qualcosa che si carica sempre di più, per poi liberare tutta l’energia in un finale esplosivo. È immediatamente percepibile un dialogo serrato tra i violini – attraverso un ritmo ostinato – e il solista – che propone arpeggi discendenti; il tutto è incorniciato dai suoni staccati e ribattuti dell’orchestra, che contribuiscono ad aumentare l’energia e la tensione. L’escalation è aiutata anche dal crescendo orchestrale e dai cambiamenti armonici che ci conducono nella tonalità di Fa maggiore. Una volta arrivata al punto massimo, essa sembra fermarsi improvvisamente durante l’intervento solistico del clarinetto, accompagnato da semplici accordi degli archi. È però sullo sforzato a 07.14 che si ha il vero climax: qui Rossini utilizza un accordo peculiare, un quarto grado alzato, che ci traghetta sulla cadenza nella tonalità di Do maggiore non senza ulteriori virtuosismi del solista. Ascoltiamo di nuovo questa breve sezione, ripetuta integralmente senza cambiamenti, per poi tornare finalmente a sentire il frammento più caratteristico del tema principale ripetuto dai violini primi, mentre il clarinetto esegue delle agili scale discendenti. Siamo ormai giunti al gran finale, formato da diverse formule cadenzali ripetute: scale ascendenti del solista a cui i violini rispondono con altre scale ascendenti, nella classica forma proposta-risposta; veloci interventi del clarinetto sostenuti in stile omoritmico dall’orchestra; e, appena prima dell’accordo finale, un rimando alla parte iniziale del pezzo mediante una veloce scala degli strumenti ad arco sostenuti dal fagotto.
Nella parte finale di questo brano, è possibile percepire, a mio avviso, la grande forza musicale di Rossini: anche se è un pezzo scritto a soli 17 anni, esso possiede buona parte dei caratteri che si ritrovano nella sua successiva produzione – operistica e non. Questa scrittura virtuosistica, ricca di cromatismi, abbellimenti e fioriture non può non far pensare a qualche cabaletta dell’Italiana in Algeri; di contro, il lirismo percepibile in alcuni punti (specialmente nella variazione in modo minore) è indizio di una grandissima capacità melodica del Cigno di Pesaro già in giovane età.

Noemi Conti

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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