Le diafonie staliniste

di Shostakovich

Autore: Matteo Macinanti

11 Marzo 2019
“Stalin è morto!”
Sono le 04:07 della mattina del 6 marzo 1953 quando la radio di Mosca dirama la notizia. Tuttavia ci vorranno ancora alcune ore affinché la notizia arrivi alle orecchie della giovane Galina.
“È morto Stalin?”
L’indomabile uomo d’acciaio era morto il giorno prima, alle ore 21:50, all’età di 74 anni. Causa del decesso: ictus cerebrale.
“Sì! Ora le cose cambieranno?”
Chiede Galina al padre.
“Speriamo.”
Risponde Dmitrij Dmitrievič Šostakovič.

Iosif e Mitja. Le prime tre sinfonie

Iosif Vissarionovič Džugašvili era stato eletto Segretario Generale del Partito Comunista sovietico nel 1922. Dopo la morte di Lenin, il protagonista della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, e una volta sbaragliata la concorrenza – personificata tra gli altri dal leader dell’Opposizione di sinistra Lev Trockij, da Nikolaj Bucharin, il capo dell’ala destra e dagli ex alleati Zinov’ev e Kamenev – il quarantaquattrenne georgiano era riuscito a innestare le radici di una nuova era dell’URSS. In un trentennio il rivoluzionario Iosif si sarebbe posto alla guida suprema di tutte le Russie trasformandosi nel personaggio di Stalin Koba: l’indomabile uomo d’acciaio.
Quando Stalin si ritrovò a capo dell’Unione Sovietica, Dmitrij Šostakovič, soprannominato dagli amici Mitja, era ancora un imberbe studente di Conservatorio: un anno prima si era diplomato in pianoforte ma allo stesso tempo gli era stata interdetta la prosecuzione degli studi di composizione a causa del suo carattere «giovane e immaturo»; solo quando ebbero modo di ascoltare la sua Sinfonia n. 1 in Fa minore op. 10, i professori si risolsero a aprirgli nuovamente le porte del Conservatorio.
La prima grande composizione del giovane pietroburghese venne tenuta a battesimo il 12 maggio 1926 nella gloriosa Aula Bolšoj: quella sera i musicisti dell’Orchestra Filarmonica di Leningrado fecero risuonare la prima delle quindici sinfonie che Šostakovič avrebbe composto lungo tutta la sua vita.

[blockquote]«Credo di avere aperto una nuova pagina nella storia della musica sinfonica, pagina scritta da un nuovo grande compositore»[/blockquote]

Con queste parole di notevole lungimiranza si espresse il direttore d’orchestra Nikolaj Mal’ko riferendosi a questo primo capolavoro della produzione del “nuovo compositore” Šostakovič.
Produzione, quella tradizionalmente nobile e forbita delle sinfonie, che viene inaugurata da un incipit decisamente poco ortodosso: ad una tromba che sciorina quattro note con un andamento quasi beffardo, rispondono poco a poco gli altri strumenti dell’orchestra in un dialogo dal sapore sardonico.
Nel primo movimento appaiano patentemente, anche se ancora in nuce, gli elementi propri della personalissima estetica del compositore; caratteri che in un arco temporale di poco meno di cinquanta anni si potranno ritrovare quasi invariati nell’ultima delle sinfonie, la Quindicesima.
Questo primo capolavoro è composto infatti dal susseguirsi di episodi, più o meno rilevanti, le cui evoluzioni possono essere facilmente riscontrate nei lavori sinfonici posteriori: il carattere discontinuo e disorganico dato dalla giustapposizione e dall’intersezione di discorsi musicali frammentati, sospesi e inconclusi; tempi di valzer sghembi che fanno fatica ad innestarsi, e ancora dissonanze ardite e ritmi ostinati ai bassi. Ancora più chiaro appare, nell’economia generale dell’opera, ciò che forse si potrebbe definire il tratto distintivo delle composizioni di Šostakovič, ovverosia il tema del doppio.

[blockquote]«La mia musica non appare mai, si nasconde»[/blockquote]

La musica del compositore sovietico spesso partecipa di una natura bifronte: un primo livello, apparentemente disimpegnato, lascia trapelare e si combina con un secondo livello ironico, deformato e spesso grottesco.
Se quindi il primo capolavoro della produzione di Šostakovič, ossia quello che gli permise di conoscere il successo su scala mondiale sin da giovanissimo (Bruno Walter la diresse nel ’27 a Berlino, nel ‘28 Stokowski a Filadelfia e Rodziński a New York; nel ’31 la sinfonia venne diretta addirittura da Toscanini), si definisce in termini tecnici una “sinfonia”, tale è la portata modernista e, in senso musicale, rivoluzionaria di questo nuovo modo di concepire una struttura orchestrale, che il termine in questione appare per certi versi quasi inappropriato. La Prima di Šostakovič si profila infatti più come una dia-fonia che come una sin-fonia: mentre con il primo termine i teorici greci indicavano un insieme di suoni che, a causa delle dissonanze, veniva percepito dall’orecchio in modo distinto, il secondo vocabolo era utilizzato invece come sinonimo di con-sonanza, ossia concordia tra suoni diversi.
La distinzione – caratteristica strutturale data dalla dissonanza e dalla discordanza di suoni, caratteri e stili – appare già come un ulteriore tratto congenito alla concezione sinfonica alla base dei lavori del compositore: distinzione che in questo lavoro viene evidenziata, oltre che dal discorso musicale frammentario, diviso e discordante, anche dalla differenza tra il carattere scherzoso e ironico, quasi mahleriano, dei primi due movimenti e la profondità psicologica, straordinaria per un diciannovenne, degli ultimi due.

 Matteo Macinanti


Estratto dall’articolo presente sul n.0 della rivista cartacea di Quinte Parallele “Musiche della Guerra fredda” disponibile a questo link.

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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