Il suono trascendente

di Daniil Trifonov

Autore: Alessandro Tommasi

6 Novembre 2018
Non la tecnica trascendentale, non il fraseggio coerente, non la chiarezza della polifonia, né la tesa energia che permea ogni sua esecuzione: è il suono ciò che lascia più sbalorditi di un concerto di Daniil Trifonov. Il pianista russo si è esibito per l’Unione Musicale di Torino giovedì 1 novembre, durante una tournée italiana che ha toccato anche città come Milano e Firenze. Il programma presentato è vario e parte dall’Andante favori all’op. 31 n. 3 di Beethoven, per proseguire con i raramente eseguiti Bunte Blätter di Schumann, accoppiati al Presto passionato, il primo finale della celebre Sonata n. 2 op. 22 in sol minore. A completare il concerto, la fulgida Sonata n. 8 op. 84 di Prokofiev, terza ed ultima delle Sonate di Guerra.

Trifonov

Il suono, dicevo: ebbene già dalle prime note dell’Andante favori si è percepita una dimensione sonora raccolta eppure ricca di contrasti. Trifonov è maestro del tocco, il suo pianismo è capace di far percepire con nitida chiarezza la percussione dei martelli del suo Fazioli, per passare con rapidi scarti ad un suono morbido ed omogeneo, quasi senza attacco. La gamma timbrica è ampissima, ma il pianista l’ha saggiamente limitata nei brani beethoveniani per evitare di esagerare e strattonare eccessivamente un linguaggio ancora ben distante da questi flutti romantici. Qualcuno di questi strattoni s’è ben sentito, in realtà: è il caso dello Scherzo dalla Sonata op. 31 n. 3, in cui la tensione agogica e gli improvvisi scatti accomunavano molto il meccanismo beethoveniano con lo Schumann che lo avrebbe seguito. Il risultato generale, tuttavia, è stato un Beethoven capace di apparire al contempo apollineo e dionisiaco, sciogliendosi nel suono più dolce e affettuoso dell’Andante oppure mostrando la struttura quasi sinfonica della Sonata, che è diventata sotto le mani di Trifonov antecedente e sorella della Settima Sinfonia. Questo effetto è stato rafforzato, oltre che dal tono danzante e dalla ricerca timbrica orchestrale, anche dalla scelta di collegare strettamente ogni movimento della Sonata, creando un flusso continuo di musica che ne evidenziava gli elementi strutturali più ampi.

Scelta affine per i Bunte Blätter op. 99, i variopinti fogli schumanniani, una sorta di raccolta di brani scartati (anche controvoglia) dall’autore, un po’ come quel Presto passionato, tolto e sostituito per richiesta di Clara. Uno dei principali rischi di questo lavoro è chiaro: il raffazzonamento, il mero accostamento di brani che l’autore ha sì raccolto e ordinato in sotto-insiemi, ma che non possiedono quel respiro organico presente in altre raccolte. Niente di tutto ciò è stato percepito. La capacità di Trifonov di sostenere ampi archi di tensione è notevolissima, così come la sua abilità nel gestire tutta la elaborata caratterizzazione timbrica di Schumann, trovando di nuovo quella varietà orchestrale che avevamo sentito in Beethoven. Ma in questi Bunte Blätter è emersa un’altra qualità di Trifonov: lo slancio. Nonostante la affollatissima carriera internazionale, Trifonov è ancora capace di grandissimi slanci espressivi, percepiti con sincerità e senza le sovrastrutture di un mercato che giustamente vede nel ventisettenne russo un’enorme possibilità di guadagno. L’impronta commerciale la si potrà vedere magari nella barba caprina, nel vestito blu, nel modo in cui, con caparbia fierezza russa, cammina verso il pianoforte e si inchina impettito a fine esecuzione. Non si percepisce, però, dove conta: allo strumento. Allo strumento Trifonov è ancora lo stesso contorto pianista che si è affermato durante una trionfale stagione di concorsi pianistici. Bisogna infatti ricordarsi che stiamo parlando qui di un giovane i cui margini di crescita sono ancora notevolissimi. Ad esempio, una delle caratteristiche di Trifonov era il suo suono aguzzo, che caratterizzava il suo vertiginoso primo Mefisto Valzer di Liszt o quella aggressiva Terza Sonata di Skrjabin. Di questo suono anche eccessivamente tagliente, nei brani del concerto, non c’è stata traccia, nemmeno in Prokofiev.

https://youtu.be/P5FDtRiN6fY

Dopo la lunga e complessa prima parte, infatti, Trifonov ha raggiunto l’apice con la Sonata n. 8 del compositore russo, brano non solo di grande difficoltà tecnica, ma anche di complessa interpretazione. Nonostante non manchino in questo lavoro i grandi rigonfiamenti sonori, tutta la Sonata è immersa in un clima tra il nostalgico e il sognante fino all’esplosivo Vivace, che conclude la una Sonata ripiegandosi su se stesso. L’Ottava Sonata di Trifonov è iniziata più che sognante: era spettrale, cupa, misteriosa, quasi fantasmi e vento che fischia tra gli alberi di un bosco notturno, per usare una suggestione visiva. L’Andante sognando che costituisce il secondo movimento ha trovato invece un’atmosfera più raccolta, una dimensione di lirica cantabilità, quasi ingenua, con una semplicità di espressione in cui il pianista non ha avuto alcuna difficoltà a calarsi, spogliandosi di ogni eccesso e restituendo quel tenue colore che richiede la parte. Completamente diversi gli accesi colori del Vivace, una danza variopinta che non fa rimpiangere Pétrouchka. Qui è tornato quello slancio schumanniano unito alle grandi cattedrali sonore di Prokofiev, senza perdere però di coerenza con gli altri due movimenti e mantenendo un suono sempre in bilico tra la netta percussività pianistica e la dimensione di trascendente sinfonismo. Un po’ di fatica, ben più che giustificata, è apparsa nell’affollato e quasi orgiastico finale, ma con gesto al contempo raffinato e grottesco Trifonov ha concluso trionfalmente questo movimento forsennato.

Nemmeno in tutta la tesa espressività di Prokofiev, tuttavia, Trifonov ha abbandonato un suono che posso definire, semplicemente, “bello” e perfettamente calibrato secondo le necessità espressive. Si ignorino gli esasperati movimenti alla tastiera, tutto ciò che Trifonov musicalmente fa è inserito in un disegno più grande, dimostrazione della maturazione del pianista. Se questo è il percorso su cui sta proseguendo questo visionario interprete, che a soli 27 anni è uno dei più grandi sul panorama internazionale, resta solo da vedere dove si dirigerà, sperando che tutte le pressioni esterne non riescano mai a vincerne il nocciolo di pura espressione musicale.

Alessandro Tommasi

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Alessandro Tommasi

Viaggiatore, organizzatore, giornalista e Pokémon Master, studia pianoforte a Bolzano, Padova e Roma e management culturale alla Rome Business School e alla Fondazione Fitzcarraldo. È Head of Artistic Administration della Gustav Mahler Jugendorchester e direttore artistico del Festival Cristofori e di Barco Teatro. Nel 2021 è stato Host degli Chopin Talk al Concorso Chopin di Varsavia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, dedicato all'opera pianistica di Alfredo Casella. Dal 2019 è membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali.

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