“Sapete cos’è un inno?” – Storia dell’innodia

“Sapete che cos’è un inno? Gli Inni sono canti in lode di Dio. Se è una lode ma non è indirizzata a Dio, non è un Inno. Se è una lode di Dio ma senza canto, non è un Inno. Perché sia un Inno deve avere dunque questi tre requisiti: essere una lode, rivolta a Dio, espressa nel canto”

S.Agostino, Enarrationes in Psalmos, 148, 17

 

Autore: Pietro Moroni

10 Maggio 2018
Sant’Agostino (354-430) definisce così l’inno, composizione poetica formata da versi riuniti in strofe identiche nella loro struttura metrica che permette quindi di cantare un’unica melodia (quella della prima strofa) su tutte le altre strofe e anche su testi di inni diversi aventi lo stesso metro.

Origini ed evoluzione: dall’innodia pagana all’innodia cristiana

Introdotto nel territorio italico nel IV secolo grazie all’opera di alcuni vescovi, l’inno è tuttavia in uso a Roma soltanto dal XII secolo. Il termine inno indica testi non biblici ma ad essi ispirati, di carattere poetico e, come ricorda S.Agostino nel passo appena citato, legati alla lode di Dio.
La tradizione di componimenti poetici destinati al canto risale alle prime comunità cristiane, contesto nel quale furono denominati Hymni sulla base della terminologia biblica presente sia nei Salmi che in alcune lettere paoline.
Al secondo verso del salmo 65 troviamo il termine hymnus (Te decet hymnus, Deus, in Sion) come sinonimo di lode:

“A te si deve lode, o Dio, in Sion”

In S. Paolo:

“…intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore” (Lettera agli Efesini, 5,19)

E ancora, sempre da S.Paolo:

cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali.” (Lettera ai Colossesi, 3,16)

Il termine hymnos ha origine nella grecità classica come “canto in onore alla divinità” (si vedano gli Inni omerici, i più antichi risalenti al VII secolo a.C. circa, o i sei inni letterari del III secolo a.C. circa di Callimaco). Seppur scritti nella stessa lingua, rispetto ai modelli greci i primi inni cristiani hanno però contenuto morale e teologico (quindi dogmatico e dossologico) e, caratteristica fondamentale, non obbediscono né a criteri metrici né all’osservanza di una struttura rigorosamente ripetitiva: un probabile modello va dunque ricercato nella produzione ebraica, soprattutto in quella dei salmi.

A questa categoria di inni appartengono testi dossologici oggi ampiamente in uso come il Gloria in excelsis Deo cantato nella Messa, il Gloria Patri utilizzato nella Liturgia delle Ore e il Te Deum.

I primi esempi di innodia, oltre che rintracciabili nella letteratura apocrifa (non quindi appartenente al Canone biblico, come nel caso degli Atti di Tommaso) sono costituiti dalle anonime Odi di Salomone, che costituiscono la prima raccolta di Inni e il Pedagogo di S. Clemente Alessandrino (150 circa-215 circa), il quale presenta un Inno finale (Hymnos tou Soteros Christou, Inno al Salvatore Cristo), anche se di attribuzione incerta.

L’inno ebbe molta fortuna soprattutto in ambito orientale e greco proprio per la struttura essenzialmente libera e fu proprio per tale motivo che i padri ecclesiastici orientali gli si scagliarono contro sin da subito, in quanto gli elementi religiosi non potevano essere interpretati con le figure retoriche che tanto caratterizzano questa forma poetica.

Inoltre, i vari influssi agnostici ed eretici presenti nella produzione innodica spinsero ulteriormente i vescovi a proibire, nel Sinodo o Concilio provinciale di Laodicea (363-364 circa), l’esecuzione in chiesa degli Inni idiotici (psalmi idiotici vel plebei), inni scritti o cantati nella propria lingua, quindi né greco (un tempo anch’essa lingua liturgica) né latino.

La produzione innodica di S. Efrem

Essendo pratica molto radicata, la prescrizione e lo scagliarsi contro l’innodia non ebbe dunque alcun effetto. I padri ecclesiastici iniziarono così a lavorare per rendere regolare la struttura dell’inno e tra questi S. Efrem Il Siro (306 circa-373), diacono di Edessa, fu il primo in oriente a scrivere inni di carattere ben definito e strofico, secondo il modello dell’innodia classica greca, configurandosi così come il principale innografo orientale.

La produzione innodica di S.Efrem si rifà infatti anche allo schema dei salmi biblici (visto che il salmo ebraico funge da modello per i primi inni, si può quasi parlare di Innodia Salmodica) ed, essendo strofica, comporta l’isosillabismo (assenza di variazioni nel numero di sillabe di un dato schema metrico).

Il modello di S. Efrem giunse in Occidente grazie a S. Cesareo di Arles (470 circa-543) ma non ebbe fortuna e rimase puro elemento letterario. Anche S. Ilario (315 circa-367) vescovo di Pictavium (l’odierna Poitiers), compose precedentemente inni con la funzione di difendere le posizioni teologiche trattate nel Concilio di Nicea (325) ma, a causa della loro ricercatezza e complessità, non entrarono mai in uso.

L’innodia ambrosiana

Il vero momento di svolta nella storia dell’Innodia lo si ebbe grazie all’opera di alcuni vescovi dell’Italia settentrionale, in particolare S. Eusebio (283 circa-371), vescovo di Vercelli, ma soprattutto S. Ambrogio (339 circa-397) vescovo di Milano, il quale apportando dei perfezionamenti all’innodia di carattere orientale né favorì grandemente la fruizione su larga scala.

Gli inni ambrosiani, destinati all’assemblea al fine di garantirne la partecipazione attiva nel canto (e quindi nella preghiera), sono infatti di carattere popolareggiante e prevedono una struttura composta da strofe (solitamente otto) di quattro versi di otto sillabe ciascuna: il metro regolare, scandito e immutabile (isometria), l’isosillabismo e l’adozione del piede giambico (successione di una sillaba non accentata e di una accentata), l’utilizzo della lingua latina e la brevità degli stessi versi si configurano come tratti caratteristici e salienti dell’Inno che ne garantirono una diffusione immediata e una popolarità fino ad allora inaudita.

Al fine di poter essere impiegati nella liturgia, in tutti gli inni è prevista un’ultima strofa di carattere dossologico (di lode e glorificazione di Dio) e la classica conclusione amen.

Nel panorama storico-musicale l’inno ambrosiano rappresenta per la prima volta il predominio della musica composta sulla parola (si può addirittura parlare per la prima volta nell’ambito della musica sacra di poesia per musica?): è il testo ad adeguarsi, non la musica (quella della prima strofa è infatti uguale alle altre e ciò che avviene musicalmente all’inizio determina anche la fine della composizione il testo).

Nel caso due testi siano di argomento diverso ma uguali metricamente, è infatti possibile applicare la stessa melodia: è per questo motivo che esistono melodie associate a particolari momenti liturgici, come il Natale e la Pasqua, in cui si associano al rispettivo tono tutti i testi destinati a quell’occasione liturgica (pertanto si parlerà a tal proposito di Tono di Natale e Tono di Pasqua)

La semplicità dell’Inno che lo rese tanto popolare è attribuibile tanto all’immediatezza delle strofe e dei testi quanto a quella delle melodie semplici e sillabiche, con ripetizioni frequenti e con una spiccata predilezione per gradi congiunti.

Nonostante gliene siano attributi quattordici o più, gli inni sicuramente composti da S. Ambrogio (almeno per quanto riguarda i testi, per le melodie non vi è ancora chiarezza) sono quattro:

  • Deus creator omnium (la cui melodia è stata trasformata e parafrasata nella liturgia romana nel famoso Te lucis ante terminum)
  • Aeterne rerum conditor
  • Iam surgit hora tertia
  • Intende qui regis Israel

Mentre, come accennato all’inizio l’inno verrà introdotto a Roma soltanto in epoca molto tarda, probabilmente dal XII secolo, i monaci, a partire da S. Benedetto che nella Regola lo chiama non a caso ambrosianum, adottarono quasi immediatamente l’inno nell’Ufficio delle Ore (la preghiera quotidiana nelle diverse ore della giornata) elevandolo così a forma liturgica, l’unica non biblica benché ispirata da testi biblici. Nelle Ore, infatti, l’Inno si canta sempre, ma la posizione varia a seconda che le ore siano maggiori (dove testo cambia sia qua che a Mattutino, la preghiera notturna) o minori (in cui il testo rimane fisso)

L’inno diviene la forma religiosa più importante ed è talmente diffuso (si ricordi l’Analecta Hymnica medii Aevii, monumentale e corposa raccolta tedesca di inni) che il suo testo può sia essere trasformato per trasmettere un significato più complesso, che utilizzato a scopo didattico (si ricordi l’Inno a S. Giovanni Ut queant laxis, utilizzato da Guido d’Arezzo).

Anche se soprattutto poetico e letterario, l’Inno può tuttavia presentare anche un testo di carattere devozionale.

Nei secoli successivi vi fu una grande produzione di inni su metri anche diversi da quello giambico caratteristico dell’innodia ambrosiana come il trocaico (ma anche altri, caratteristici della metrica classica di Orazio). I due maggiori innografi successivi a S. Ambrogio sono in particolare Venanzio Fortunato, autore di Vexilla regis prodeunt con metri giambici e Pange lingua gloriosi con tetrametri trocaici) e Aurelio Prudenzio (348 circa- dopo il 405) autore di due corpose raccolte di inni, Cathemerinon, per le ore della giornata e Peristephanon, in onore dei martiri. Tra gli altri autori si possono ricordare anche Celio Sedulio,  Ennodio di Pavia,  Adenolfo di Capua, Alfano di Salerno e, soprattutto, Pietro Abelardo, del quale ci è pervenuto un’ intero innario (il libro liturgico musicale che raccoglie i testi degli inni o anche la musica per la prima strofa di questi). Fondamentali nel panorama della produzione innodica e non solo sono anche le due figure femminili di Errada di Landsberg-Hohenburg, le cui composizioni sono state quasi tutte perdute, e della ben conosciuta carismatica e dotta S.Ildegarda di Bingen (1098 circa-1179).

Nella storia dell’Innodia risulta notevolmente importante anche la figura dell’umanista, latinista ed erudito Papa Urbano VIII che, ritenendoli troppo poco raffinati linguisticamente, riscrisse i testi degli inni intorno al 1640 per poi decretarne la sostituzione con quelli tradizionali e l’entrata in vigore con il nuovo innario del 1648 in uso sino al Concilio Vaticano II.

 

Pietro Moroni

 

Nota di redazione: l’ Autore desidera ringraziare in modo particolare i Professori Giacomo Baroffio e Rodobaldo Tibaldi per il prezioso materiale da cui ha attinto preziose nozioni ed informazioni per redigere questo articolo.

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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