La riforma della Musica Sacra tra XIX e XX secolo: il Cecilianesimo

Sulla scia dei tanti Movimenti culturali ed artistici nati tra le fine del XIX e l’inizio del XX secolo, quello Ceciliano, anche se meno conosciuto ai più, giocò un ruolo di rilevante importanza.

Autore: Pietro Moroni

21 Novembre 2017
Per Cecilianesimo s’intende un Movimento musicale che si poneva come obiettivo la riforma di quella Musica Sacra fino ad allora imbevuta ed inquinata della stessa teatralità caratterizzante e propria del melodramma, così popolare ed in voga in quegli anni.

Viste la vastità e la diffusione non lineari che questo Movimento assunse negli anni, ne rimane assai difficile la collocazione nel tempo ma è possibile tuttavia affermare che nacque e si sviluppò tra gli ultimi decenni del 1800 e il 1900. I “centri” di questo Movimento furono principalmente Germania, Francia e Italia.

Scopo del Cecilianesimo era dunque recuperare la solida tradizione della Polifonia e del Canto Gregoriano oramai da troppo tempo assenti nella liturgia in favore di arie d’opera e di musiche di chiara derivazione melodrammatica, basti pensare alle composizioni di Ruggero Manna, Amilcare Ponchielli, Giovanni Morandi, Padre Davide da Bergamo (al secolo Felice Moretti) o alle messe organistiche di Carlo Fumagalli scritte su famosi temi o citazioni dalle opere di Verdi, Bellini, Donizetti o Mayerbeer.

Risulta rilevante sottolineare come le caratteristiche di purezza ed essenzialità di cui avrebbe dovuto rivestirsi la Musica Sacra rivendicate dal Cecilianesimo, fossero in realtà auspicate sia dal Concilio di Trento (1545-1563) che dall’enciclica di papa Benedetto XIV “Annus qui” del 1749, nonché da autorevoli intellettuali tedeschi come il vescovo Johann Michael Sailer e il suo scritto del 1839 “Von dem Bunde der Religion mit der Kunst” e da Ernst Theodor Amadeus Hoffman in “Alte und neue Kirchenmusik” del 1814.

L’Organo

L’Organo, come la musica liturgica di quegli anni, diventò uno strumento di carattere bandistico-orchestrale: nelle funzioni religiose era possibile udire suoni di tamburi, grancasse, campanelli e piatti.

Laddove nel panorama italiano ne sia rimasto qualcuno “autentico”*, in un Organo tipicamente bandistico-orchestrale sarà possibile riscontrare di frequente registri caratteristici del periodo quali il corno da caccia, il corno inglese, i cornetti, le trombe a squillo, il clarone, il clarinetto di concerto, il violino, la cornamusa, la fluttina a cariglione, solo per citarne alcuni, oltre che a curiosi accessori come la banda turca, il sistro cinese, i piatti di Smirne, il rollante a sei canne, gli uccelletti, i campanelli, i timballi, la grancassa.

Tra i tanti grandi organari del periodo ricordiamo Serassi, Locatelli, Bianchi.

Decisivo, anche sotto questo punto di vista, fu l’apporto che il Movimento Ceciliano (grazie anche alla Prima Adunanza Organistica riunitasi a Trento nel 1930) diede alla configurazione dell’Organo moderno in Italia.

Esempio di ottava scavezza sia nella tastiera (o manuale) che nella pedaliera: al fine di conferire allo strumento maggiore estensione nel registro basso, la prima nota della tastiera, pur essendo formalmente mi suona come do così come fa♯ produce re e sol♯  mi. Solo il la# è effettivo. Ne risulterà dunque una classica ottava con i tasti invertiti rispetto a quella canonica.

In questo periodo, infatti, oltre che nell’eliminazione dei registri bandistici ed orchestrali (detti da concerto) quindi di ance e mutazioni, prediligendo fondi e registri violeggianti ideali per l’accompagnamento, l’organo si rinnova dal punto di vista tecnico: eliminata l’ottava scavezza (detta anche ottava corta o ottava in sesta) e i registri spezzati tra bassi e soprani, viene ideato un nuovo sistema di trasmissione in sostituzione a quello meccanico tradizionale, la trasmissione pneumatico-tubolare. Grazie anche a quest’ultima, evolutasi in trasmissione elettrica prima e in elettronica poi, l’organo si rinnova, si ammoderna, tiene conto del passato e degli insegnamenti degli antichi per proiettarsi verso il futuro, senza però rinunciare a comfort e ricchezza timbrica.

Celebri ed apprezzate case organarie dell’epoca sono, solo a titolo esemplificativo, Tamburini, Mascioni, Balbiani-Vegezzi Bossi.

*con “autentico” ci si riferisce a quegli strumenti che non sono stati vittime della “cecilianizzazione“: nel nome della riforma della Musica Sacra tanti strumenti, taluni anche di pregevole fattura, furono infatti irrimediabilmente compromessi nella loro disposizione fonica originale, privandoli così di peculiarità timbriche considerate “inopportune” per la Liturgia (i registri e gli accessori elencati sopra ne sono un esempio) ma preziosi testimoni di una determinata epoca. Negli ultimi decenni, tuttavia, le varie Soprintendenze italiane hanno svolto e continuano a svolgere un’importante opera di recupero e di restauro cercando di ripristinare la situazione originaria degli strumenti manomessi e ricostruendo, in base alla fonica di quelli similari superstiti, i registri e gli accessori asportati.

Potendo toccare con mano la drastica situazione, si constata come urgeva quindi un importante intervento in grado di riportare sobrietà e religiosità in quella liturgia oramai di carattere più profano che sacro. Occorreva però anche che la Musica Sacra fosse accessibile a tutti, si manifestava dunque la necessità di incrementare la partecipazione dei fedeli che fino ad allora, a suon di cavatine e mazurke, assistevano, proprio come a teatro, da spettatori.

La nascita degli Istituti di Musica Sacra e delle Scholae Cantorum

Si assistette quindi all’istituzione dei primi Istituti Diocesani di Musica Sacra (IDMS) e, nel 1911, del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma (PIMS) ancora oggi attivo ed importante punto di riferimento per gli studi della Musica da Chiesa assieme al Ponticio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra di Milano (PIAMS) nato nel 1940 . Nacquero inoltre le prime Scholae Cantorum, e venne incoraggiata, su spinta della Santa Sede, l’edizione moderna di Canto Gregoriano (si veda la pubblicazione curata dal monaco solesmense Dom Moquerau del Liber Usualis del 1903 e del Graduale Romanum del 1908)  e di opere di antichi Autori da prendere anche come esempio, primo tra tutti Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525\26-1594), del quale, oltre a studi critici sulla sua figura da parte di Winterfield e Baini, venne pubblicata l’opera integrale tra il 1862 e il 1903 sotto la guida di Haberl.

Nel pensiero comune ceciliano la Monodia Liturgica e la grande Polifonia Sacra rinascimentale (specialmente le Scuole Romana e Fiamminga), dallo stile grave e solenne in auge nelle Cappelle Musicali Romane del ‘500 e prive di accompagnamento, costituivano il repertorio ideale da proporre nel contesto liturgico e dal quale prendere spunto per ridonare una dignità “autentica” alla Musica Sacra, in quanto rappresentavano il perfetto rapporto tra Parola e Musica, quest’ultima priva di sterili virtuosismi e teatralità, veicolatrice del più alto Messaggio.

Come l’esecuzione dell’11 marzo 1829 da parte di Felix Mendelssohn-Bartholdy della “Matthäus Passion” (BWV 244) di Johann Sebastian Bach inaugurò la cosiddetta “Bach Renaissence”, l’esecuzione del “Miserere” di Gregorio Allegri del Venerdì Santo 1816 nella chiesa di San Michele a Monaco fece da ouverture al futuro Movimento Ceciliano.

L’ “Inter pastoralis officii sollicitudines” di Papa Pio X del 1903

Il Manifesto del Cecilianesimo è considerato il Motu Proprio “Inter pastoralis officii sollicitudines(abbreviato in “Inter sollicitudines“, “Tra le sollecitudini“), emanato da Papa Pio X il 22 novembre 1903, giorno nel quale la Chiesa ricorda S.Cecilia (il Movimento è a Lei intitolato in quanto patrona della Musica Sacra e dei musicisti), in cui gli obiettivi e i punti cardine di questo Movimento venivano ribaditi e formalizzati.

Eccone dunque alcune salienti indicazioni:

Nel Paragrafo VI “Organo ed instrumenti musicali” troviamo:

  1. È proibito in chiesa l’uso del pianoforte, come pure quello degli strumenti fragorosi o leggeri, quali sono il tamburo, la grancassa, i piatti, i campanelli e simili.
  2. È rigorosamente proibito alle cosiddette bande musicali di suonare in chiesa; e solo in qualche caso speciale, posto il consenso dell’Ordinario, sarà permesso di ammettere una scelta limitata, giudiziosa e proporzionata all’ambiente, di strumenti a fiato, purché la composizione e l’accompagnamento da eseguirsi sia scritto in stile grave, conveniente e simile in tutto a quello proprio dell’organo.
  3. Nelle processioni fuori di chiesa può essere permessa dall’Ordinario la banda musicale, purché non si eseguiscano in nessun modo pezzi profani. Sarebbe desiderabile in tali occasioni che il concerto musicale si restringesse ad accompagnare qualche cantico spirituale in latino o volgare, proposto dai cantori o dalle pie Congregazioni che prendono parte alla processione.

 Nel Paragrafo IV “Forma esterna delle composizioni”, troviamo:

  • c) Negli inni della Chiesa si conservi la forma tradizionale dell’inno. Non è quindi lecito di comporre per esempio il Tantum ergo per modo che la prima strofa presenti una romanza, una cavatina, un adagio, e il Genitori un allegro.

L’ “Inter Sollicitudines” è da considerarsi come sintesi del pensiero di riforma della Musica Sacra auspicato già anni addietro dalle tante Associazioni Ceciliane nate in tutta Europa (importante fu quella tedesca fondata nel 1869 da Franz Xaver Witt e riconosciuta ufficialmente nel 1870 da papa Pio IX, che funse da modello per tutte le altre) e dai numerosi congressi, convegni ed incontri di Musica Sacra tenutisi nei principali centri musicali europei.

Se vi è un divieto, significa che ciò che viene vietato costituiva prima di quel divieto una prassi solida e tristemente consolidata. Non infrequentemente difatti il pianoforte si sostituiva all’organo, spesso le arie d’opera fungevano da Offertori o Comunioni e lunghi Preludi in forma di sinfonie operistiche al ritmo popolare di polke o valzer venivano eseguite all’Organo.

La Chiesa trovò dunque necessario imporsi anche duramente, con regole, divieti e documenti, per aprirsi alla vera bellezza e garantire dunque la dignità della Musica Sacra definita poeticamente da Papa Sarto (Pio X) “umile ancella della Liturgia”.

Perosi e Amelli

mons. Lorenzo Perosi

Seppur diffusosi e sviluppatosi principalmente in Italia grazie ad importanti nomi quali mons. Lorenzo Perosi (1872-1956), Giovanni Tebaldini, mons. Licinio Refice, mons. Raffaele Casimiri il Cecilianesimo trova in realtà le sue origini in Germania grazie soprattutto all’apporto del già citato rev. Franz Xaver Haberl (1840-1910).

Quest’ultimo lo si può quasi considerare il primo grande ispiratore ed esempio per il giovane Perosi che negli anni novanta del XIX secolo si trovava proprio a Ratisbona, la città nella quale l’Haberl operava al Duomo come Kapellmeister e dove aveva fondato nel novembre 1874 la celebre Kirchenmusikschule.

Si provava ad unificare ciò che era tristemente diviso, si cercava di dare delle norme universalmente valide per la Musica Sacra alle quali tutti i compositori dovevano adattarsi.

In Italia, dopo l’esperienza tedesca, Perosi cercava dunque di concentrare in un unico Movimento, quello Ceciliano, le forze e le più brillanti menti musicali del Paese.

padre Ambrogio Maria Amelli

Legato a Papa Pio X sin dai tempi della direzione della Cappella Marciana a Venezia (tra il 1893 e il 1903) quando quest’ultimo era Patriarca, Lorenzo Perosi si pose alla guida del Movimento e della Riforma della Musica Sacra godendo della cieca fiducia da parte del Pontefice.                                                                                                     In Italia in questo periodo la Musica Sacra destava grande interesse, tanto che nel  1877 l’erudito musicologo e gregorianista padre Ambrogio Maria (al secolo Guerrino) Amelli (1848-1933), tra i più appassionati fautori del Cecilianesimo italiano, fondò a Milano la rivista “Musica Sacra” (titolo originale per esteso “Musica Sacra. Rivista liturgica-musicale per la restaurazione della musica sacra in Italia”), nella quale si auspicavano quelle riforme delle quali la Musica e la Chiesa avevano tanto bisogno. Interessante è anche il resoconto del Perosi che, viaggiando nelle capitali europee della Musica Sacra, puntualmente veniva pubblicato nella rivista milanese.

Nel 1880, undici anni dopo quella fondata da Witt, nacque inoltre l’Associazione Italiana Santa Cecilia (AISC) che vide proprio l’Amelli come primo presidente e nel 1905 pubblicato per la prima volta il “Bollettino Ceciliano”, organo informativo della stessa Associazione.

Gregoriano e Polifonia, fari della Riforma

Presi come modelli massimi il Gregoriano e i polifonisti rinascimentali, i cecilianisti tesero sempre a scartare il linguaggio musicale moderno di compositori a loro contemporanei come Bruckner o Liszt e ciò portò, inevitabilmente, all’isolamento pressoché completo nel panorama musicale dell’epoca.

Nonostante le chiare indicazioni e il grande entusiasmo, i compositori del Movimento non riuscirono mai con profitto a raggiungere un’alta dimensione artistica conciliando gli ideali di recupero del Gregoriano e dello stile polifonico proprio della Scuola Romana a linguaggi nuovi e al passo con i tempi, ad eccezione di sporadici Autori, tra cui il già citato mons. Lorenzo Perosi – si vedano in particolare le sue Messe e i suoi numerosi Mottetti- nel quale la semplicità, l’invenzione melodica, il sistematico e fecondo uso del contrappunto di richiamo palestriniano, lo stretto legame tra Parola e Musica erano peculiarità proprie del suo stile, austero e raccolto rispetto a quello delle chiassose messe bandistiche ottocentesche.

 

E’ anche grazie, tuttavia, al contributo del Cecilianesimo, che il Gregoriano cominciò ad essere epurato dalle incrostazioni subite nei secoli: oltre che alla promozione di nuove edizioni Tipiche (anche se lontane dai moderni approcci musicologici e filologici), il Canto Monodico smise di essere “tonalizzato” favorendo il recupero della Modalità. Bandito il canto solistico di stampo prettamente operistico e l’organico tipicamente orchestrale e bandististico, si cercava inoltre di favorire il canto a cappella (di cui Palestrina, come già detto, costituiva il massimo esempio), limitando il più possibile l’Organo (per il cui linguaggio compositivo Johann Sebastian Bach costituiva l’esempio più sublime), l’unico strumento ammesso in Chiesa e deputato al solo sommesso e modaleggiante accompagnamento.

L’eredità del Cecilianesimo

Sul solco del Cecilianesimo e dei “dettami” dell’”Inter Sollicitudines”, la Chiesa Cattolica ha “cercato” di imboccare la giusta strada volta al recupero della Musica Sacra: l’epoca ceciliana, anche se formalmente terminata da molto tempo, ha lasciato le fondamenta e i segni di un qualcosa che è ancora tutto da realizzare.

I concetti di recupero del Gregoriano e della Polifonia sacra sono stati ribaditi e nuovamente sottolineati con forza anche nel Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).

Nel capitolo VI della Costituzione “Sacrosantum Concilium” (documento conciliare, ndr) del 5 dicembre 1963, ai paragrafi 114 e 115 si legge:

Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della Musica sacra […] Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari […] ai musicisti e ai cantori, e in primo luogo ai fanciulli, si dia anche una vera formazione liturgica.

Al paragrafo 116, intitolato specificatamente “Canto gregoriano e polifonico”:

a) La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.

E ancora, al paragrafo 117:

L’edizione tipica dei libri di canto gregoriano [e una] edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di san Pio X. [Infine] un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori

Oltre al documento conciliare sopracitato, le considerazioni della Chiesa e le disposizioni da ottemperare circa il rapporto della musica con la Liturgia e il loro valore si completano nell’ Istruzione Musicam Sacram promulgata il 5 marzo 1967 da parte della Sacra Congregazione dei Riti.

La pubblicazione di edizioni di Canto Gregoriano voluta inizialmente da Pio X, ha continuato e continua tutt’ora: nel 1967 venne edito il Graduale Simplex; nel 1974 si assistette alla nuova pubblicazione del Graduale Romanum curata dai monaci dell’Abbazia francese di Solesmes (figura di fondamentale rilievo è quella di Dom Eugène Cardine, considerato il padre della moderna semiologia gregoriana); nel 1975 venne fondata da Luigi Agustoni (1917-2004) a Roma l’Associazione Internazionale Studi di Canto gregoriano (AisCGre) che continua tutt’ora l’opera di promozione del grande repertorio musicale proprio della Chiesa; nel 1979 la pubblicazione dell’ editio typica del Graduale Triplex (con tre notazioni: vaticana, metense e sangallese); nel 2011 il Graduale Novum.

 

 

Eccoci dunque che nel 2017, a distanza di più di quarant’anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II e dal Musicam Sacram che il problema torna con prepotenza a ripresentarsi: la Musica Sacra è in crisi e, sulle convinzioni e i propositi del Cecilianesimo, occorre al più presto rinnovarla depurandola da tutto ciò che l’ha deformata e snaturata nell’ultima metà del secolo.

Riscoprire la Monodia Liturgica e la grande tradizione polifonica non deve esser preso come un balzo all’indietro fine a se stesso ma come uno slancio in avanti in grado di indicarci la via maestra verso il più prossimo avvenire.

Pietro Moroni

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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