Il viaggio mistico di Rautavaara

La parabola di Einojuhani Rautavaara tra misticismo e icone ortodosse.

Autore: Lorenzo Pompeo

27 Luglio 2017

Nella storia può accadere che si possano produrre manifestazioni profondamente distanti dal loro punto di partenza, come avvenne nella seconda metà del Novecento quando, nell’universo della sperimentazione seriale e dodecafonica, diversi artisti, autonomamente, svilupparono un sentiero di sperimentazione personale. È ciò che accadde con la cosiddetta corrente del “Minimalismo sacro”, nome artificioso che riunisce nient’altro se non autori che hanno espresso con la loro musica un ritrovato e rinnovato sentimento spirituale e religioso con uno stile dal carattere nuovo. Ognuno di loro ha vissuto in luoghi diversi, prodotto uno stile diverso, quindi è abbastanza evidente come la nomenclatura rappresenti una soluzione di comodo per mettersi di fronte alla ribellione dello spirito di fronte alla tecnica, all’uomo-automa e al mondo “de-umanizzato” che ne consegue.

La musica di un autore come Einojuhani Rautavaara è carica di tutta questa dimensione di complessità, ricerca e contraddizione, impregnandosi di un pensiero poliedrico e attraversato da una forte tensione vitale.

Ricostruire le fonti spirituali, filosofiche e letterarie cui attinge Rautavaara di primo acchito non pare semplice, soprattutto perché bisogna avanzare ipotesi dove il compositore ha lasciato come quasi uniche “informazioni” le note. La ricerca, tuttavia, paga, e così dove si credeva di trovare un’ispirazione definita ci si trova immersi in una costellazione di voci spirituali che non si risolvono in eclettismi di sorta, quanto, piuttosto, prendendo ognuna la propria posizione, si prestano all’incontro con l’artista teso all’ascolto dell’Infinito.

Rautavaara era finlandese, e la Finlandia è la terra dei miti del Kalevala, delle ancestrali tradizioni sciamaniche e di una fiorente tradizione di canto popolare. Si tratta di una nazione la cui religione preminente è rappresentata dal Cristianesimo Protestante di matrice Luterana, seguito da una minoranza di Cristiani Ortodossi che però acquista notevole significato se si tiene conto che è legata alla presenza del monastero di Valaam in Carelia, diventato territorio russo a seguito della Guerra russo-finlandese (1939-1940).

Il bacino filosofico e letterario cui attinge Rautavaara, invece, non può che essere ricondotto alla Germania, nell’idealismo e nella nascente Psicoanalisi e ai relativi studi sulla dimensione dell’inconscio.

Tutte queste fonti, come detto, si intrecciano nell’opera di Rautavaara pur rimanendo distinte, conferendo tensione dialettica all’opera quanto alla vita stessa di Einojuhani Rautavaara.

 

La musica è il viaggio

Jean Sibelius rese celebre l’incontro tra i miti finnici e la musica in modo probabilmente e l’influsso di questa tradizione è assolutamente vivo e di rilievo nelle opere di Rautavaara. Non sono molte le opere in cui vi è esplicita citazione di temi riconducibili alla mitologia del Kalevala, senz’altro la principale è “Il mito di Sampo” che traspone in musica la lotta per il Sampo, oggetto magico capace di donare prosperità a chi lo possieda, forgiato dal mitico fabbro Ilmarinen.

Questo riferimento alla grande epopea mitica finnica è tutt’altro che una pura citazione letteraria o una sua trasposizione musicale.

I miti del Kalevala descrivono un mondo dove animali, foreste, uomini ed entità spirituali comunicano e sono legati in maniera inscindibile, un mondo dominato dalle credenze e le ritualità sciamaniche. Lo sciamanesimo conferiva un ruolo fondamentale alla musica e il canto era magia si pensava avesse proprietà curative, tant’è che gli Ioitsut, canti rituali cantati dai Tietäjä, “coloro che sanno”, secondo tali credenze erano in grado di guarire determinate malattie, ma più generalmente il canto era dotato del potere di rivitalizzare le Väki, forze misteriose della natura. I personaggi più importanti del Kalevala sono sciamani e tra le loro prerogative rientra conoscere le pratiche magiche della musica e l’eroe principale, il vecchio Väinämöinen, è anche il creatore del kantele, strumento magico per eccellenza. Rautavaara provava costantemente la necessità dell’incontro con lo spirituale, si sentiva costantemente chiamato ad una propria e interiorizzata catabasi verso il regno degli spiriti in cui dare origine alle sue composizioni, visto che egli stesso spiega che

«come compositore, sono convinto di non essere altro che uno strumento per far scendere la musica da un “luogo” al di sopra di noi in cui esiste da sempre, forse dal mondo delle idee caro a Platone».

Il rituale sciamanico si rivela quindi non solo un elemento sotteso all’intenzione dei singoli brani, ma proprio alla composizione degli stessi e quello che avviene ad ascoltatore e compositore stesso sarebbe l’esatto rituale che descrive Elemire Zolla nei suoi studi sullo sciamanesimo.

Lo sciamano inizia con la preparazione, chiamata Valmistautuminen, in cui inizia a cadere in trance dopo aver preparato difese contro gli spiriti maligni e procede poi con la seduta vera e propria, l’ Istunto, dove si preparava il viaggio nel regno degli spiriti con forsennati ritmi di tamburo atti a condurre lo sciamano all’estasi, dove non è solo la musica prodotta dal tamburo, ma lo strumento stesso ad avere proprietà magiche. Una volta caduto nell’ Haltioituminen, l’estasi, lo sciamano inizia il viaggio, cioè il Matka che si concludeva nel ritorno, il Paluu, la parte conclusiva della seduta dove lo sciamano poteva comunicare le volontà degli dei alla comunità per procedere ai comuni riti e sacrifici.

Quando Rautavaara dà a un concerto per percussioni il nome “Incantation” sembra proprio ricercare i ritmi incessanti dei riti sciamanici per farsi egli stesso sciamano e rendere il pubblico la sua comunità a cui comunicare le volontà degli spiriti che vivono oltre il mondo.

Il Matka di Rautavaara è la volontà connessa alla sua perenne tensione irrisolta verso l’infinito, espressa nell’ottava sinfonia chiamata appunto “Il viaggio”, un viaggio attraverso il mondo e i suoi cambiamenti verso l’eternità delle idee senza tempo; tant’è che il tema del terzo movimento è uguale a quello cantato nell’opera Vincent, dedicata a Van Gogh, sulle parole:

«Questo viaggio continua…il viaggio di chi? Di colui che erra oltre il tempo?».

 

Angeli custodi del Tremendo

I guardiani posti al confine tra i due mondi a proteggere l’ingresso dell’aldilà, secondo le confessioni cristiane e non solo, sono gli angeli, l’elemento che in maniera indiscussa ha suscitato più interesse verso il misticismo di Rautavaara.

Gli angeli che ispirano le composizioni di Rautavaara non sono angeli custodi, né tantomento figure protettive, sono gli angeli di cui Rainer Maria Rilke, nella sua “Seconda Elegia” scrive “Ogni Angelo è terribile”. È lo stesso Rautavaara a fare riferimento a Rilke quando dice

«Non ho aspettato la moda della New Age negli anni Novanta per interessarmi agli angeli! Tutto è cominciato nel 1978, leggendo le Elegie di Duino di Rainer Maria Rilke. Ogni angelo è terrificante – scrive – e basterebbe che uno di loro vi stringesse troppo forte nelle sue braccia per morire. Mi sono allora ricordato di uno dei miei sogni di gioventù, che ritornava ogni notte, nel quale una “cosa” grigia, senza forma e silenziosa, veniva a prendermi. Cercavo di sfuggirle senza riuscirci, soffocavo… fino al momento in cui mi risvegliavo, ansimante e in un bagno di sudore. La “cosa”, naturalmente, se n’era andata ma, notte dopo notte, arrivavo ad aver paura di addormentarmi. Un tale sogno non ha niente di straordinario in un bambino, ma me ne sono brutalmente ricordato leggendo Rilke e mi sono detto: «Era il mio angelo». Un angelo terrificante la cui forza può uccidere, come quello che combatte Giacobbe nella Genesi, ma che può anche far dono di questa forza a colui che avvicina. Da allora, gli angeli non hanno smesso di perseguitarmi finché ho sentito il bisogno irresistibile di comporre».

Ci sono diversi percorsi da seguire per comprendere questo turbamento interiore nei confronti delle figure angeliche: la prima la suggerirebbe proprio l’interesse di Rautavaara per Carl Gustav Jung e i suoi studi sull’Inconscio e il Subconscio. La figura dell’Angelo, così legata alla sfera onirica di Rautavaara sin dall’infanzia, potrebbe essere parte del materiale archetipico della parte negativa dell’individuo, l’Ombra junghiana in cui risiederebbe il negativo assoluto dell’esistenza, il male radicato e radicale.

Proprio questa prospettiva ci riconduce a Rilke e alla problematica religiosa di Rautavaara. Gli angeli di Rilke si trovano alle porte del mondo sovrasensibile e fanno parte di esso, preannunciandone la terribile visione: la loro è una bellezza sensibile, ma ciò rende solo più tangibile il Tremendo. Contrariamente a quanto si possa pensare, questo Tremendo non è la fine dei giorni, il Dies irae.

Si tratta, per paradosso, dell’esatto antidoto religioso al terrore della fine dei tempi e all’angoscia tutta terrena del proprio sparire: la sperimentazione religiosa della prossimità al divino, l’esperienza di una serie di morti e rinascite attraverso le forme cicliche del rito. L’esperienza del divino contrappone alla paura della morte una serie di dissolvimenti e ricomposizioni cui il fedele si sottopone.

Gli angeli di Rautavaara sono la sua esperienza divina del Tremendo cui non riesce a sottrarsi una volta incontrati lungo il suo Matka verso il mondo spirituale e a cui dedica le composizioni “Angeli e Visitazioni” (1978), “Angelo del crepuscolo” (1980) e “Angelo della luce” (1995)

Rautavaara ricevette un’educazione improntata al Luteranesimo, quindi una religione che ritiene l’uomo immerso nel peccato, dotato di un arbitrio che sarà inequivocabilmente o votato a Dio o a Satana. Rautavaara, tuttavia, non aderì mai alla Chiesa Evangelica Luterana, dimostrando un atteggiamento alquanto sofferto nei confronti dei dogmi: una sofferenza che potrebbe essere legata anche a questo insormontabile peccato cui è condannato l’uomo, abbandonato in una condizione in cui sa di non poter compiere alcun bene e in cui può essere salvato solo dalla grazia di Dio che ha predeterminato le sorti di ognuno. Non conoscendo i disegni di Dio, in questo modo, si ignorano anche le sorti della propria persona.

Gli angeli, nella Bibbia, non sono tutti angeli di Dio: questi sono sempre chiamati in modo tale da capire chi è che li manda, quindi “angeli del Signore”, “angeli di Dio”, “angeli dell’Eterno” , “angeli del cielo”. Ci sono, tuttavia, anche gli angeli ribelli e caduti, gli angeli di quel Satana che

“si traveste da angelo di luce» (2 Corinzi 11:13).

“Angelo di luce”, esattamente il nome che diede alla propria sua settima sinfonia dopo tanti dubbi interiori e reticenze.

Lungo la propria Matka, la personale discesa agli inferi, è facile incorrere nelle parti più oscure del Sé e dello spirituale collettivo, così come anche l’Ombra junghiana si compone di una dimensione individuale e una collettiva. Questa insistenza su queste composizioni potrebbe rappresentare una personale forma di difesa contro gli spiriti oscuri, così come avveniva nel rito sciamanico, o un esoterico racconto del proprio viaggio alla comunità con il monito fornito agli “iniziati” di prestare attenzione: la luce lungo la via potrebbe essere tenebra, mentre la paura e ciò che pare Tremendo potrebbe rappresentare la salvezza.

 

L’Ortodossia e un angelo diverso

Tutte queste speculazioni hanno senso, chiaramente, solo all’interno di una prospettiva religiosa. Rautavaara esplicita la propria quando racconta una esperienza vissuta nel 1939, quando la famiglia lo portò in visita al Monastero di Valaam, all’epoca ancora in territorio finlandese.

«Non credo in un dio preciso, quello dei cattolici, dei protestanti, degli ortodossi e rifiuto i dogmi. Ma nel senso in cui l’intende Schleiermacher, provo certamente un sentimento religioso. Allevato nella religione luterana, ho composto per tutte le confessioni o quasi: un’Ave Maria, un Magnificat, un Credo, dei Salmi, e naturalmente Vigilia, l’ufficio notturno ortodosso, commissione congiunta del Festival di Helsinki e della chiesa ortodossa finlandese all’inizio degli anni Settanta. Scrivendo Vigilia, mi sono ricordato di una visita effettuata coi miei genitori, durante la mia infanzia, al monastero ortodosso di Valamo, in mezzo al lago Ladoga. Avevo l’impressione che le isole fluttuassero in aria, che attraverso gli alberi apparissero sempre più delle cupole dalle tinte vive. Le campane si sono messe a suonare, i monaci sono usciti in processione, e tutto un mondo di suoni e di colori s’è aperto davanti a me. Quegli affreschi, quelle icone sfavillanti di rosso. di blu, di verde e d’oro tutto s’è impresso in maniera indelebile nella mia memoria, per risorgere quindici anni più tardi. Mi trovavo a New York e avevo la nostalgia del mio paese. Sono andato in una biblioteca a cercare qualche cosa che mi ricordasse l’Europa e mi sono imbattuto in un album di riproduzioni di icone bizantine. Subito m’è venuta l’ispirazione e ho composto le Sei icone per pianoforte op.6. Anche in Rasputin la liturgia ortodossa è presente, all’inizio del secondo atto, con la processione della festa di Pasqua.
Se aderissi ad una Chiesa, questa sarebbe senza dubbio la Chiesa ortodossa».

Non sorprende questo favore di Rautavaara nei confronti del Cristianesimo Ortodosso se si tengono presenti una serie di elementi. Rautavaara è un romantico, si nutre della propria sensibilità estetica in ogni frammento di esistenza e nemmeno il suo sentimento religioso sussiste senza una valenza estetica. Con questo non si vuole sminuire la possibile aderenza di Rautavaara all’Ortodossia come un puro fatto estetico dovuto alla preferenza verso le forme, i colori e i canti ortodossi rispetto alla fredda austerità luterana, ma, anzi, evidenziare il rapimento e la forza spontanea del sentimento religioso sortita in un giovane Rautavaara di fronte alle due espressioni estetiche per eccellenza del Cristianesimo Ortodosso: le icone, finestre sul sovrasensibile e le sue entità, e i canti, strettamente legati alla contemplazione di quel mondo.

A questo si aggiunga la differenza abissale nella concezione del peccato rispetto al Protestantesimo. L’Ortodossia vede nel peccato una condizione di malattia della persona, una distanza da Dio che deve essere risanata con un percorso di redenzione che nasce sin dalla prima volta che l’uomo rivolge nuovamente lo sguardo a Dio, che non attende altro se non risollevarlo dalla sua caduta nel peccato.

Questa visione ribalta completamente l’angoscia dell’educazione luterana e la paura di poter far parte degli angeli caduti, così che in “Icone” (1955) compare un angelo, ma di tutt’altro tipo: è San Michele Arcangelo che sconfigge il Drago e la schiera degli angeli ribelli.

 

Le voci oltre la vertigine

Rautavaara, piuttosto che aderire univocamente ad una di queste confessioni, si riconobbe nel senso religioso che Schleiermacher definiva una “tensione verso l’ininito”, l’infinito da cui, secondo il filosofo tedesco, dipende tutto il finito. L’esperienza religiosa di Schleirmacher è fondata su un linguaggio trascendentale, ma si manifesta diversamente in ogni singolo uomo.

La musica di Rautavaara si spinge ai vertici di questa tensione, in essa accorrono gli spiriti e gli angeli incontrati lungo la propria Matka proferendo alle note il senso più profondo di questa vertigine spirituale.

Non sappiamo se questa sperimentazione del sacro abbia allontanato Rautavaara dall’angoscia della morte, tenendo anche conto della lunga e dura malattia che lo colpì, ma è possibile scorgere nel senso del Tremendo che volle comunicare un punto spinto ben oltre la terrena paura dello svanire delle entità corporali. Sperimentando con la sua musica rituali di morte e rinascita, Rautavaara fu attraversato dall’intuizione profonda di un mondo dai confini più vasti di quello de-mitologizzato e de-sacralizzato in cui viveva e cercò di condurre alle porte di un ampliamento della visione del mondo di chi ascolta la sua musica.

«Uno sciamano vuole agire come mediatore tra noi uomini a il mondo trascendentale, spesso attraverso canti che conducessero all’incantamento. Questo si collega al mio lavoro come compositore».

Lorenzo Pompeo

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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