Sonata op. 11 di Schumann: guida all’ascolto

In un articolo precedente, Questione di Oroscopo, abbiamo parlato del “genio nato sotto il segno dei Gemelli”, il più ambiguo musicista romantico, caratterizzato da forti contrasti e da una espressività raffinata.

Autore: Gabriele Toma

17 Maggio 2017
Tra i cinque ascolti proposti per conoscere Schumann non poteva mancare la Sonata op.11 in fa diesis minore, che qui ci proponiamo di osservare (ma soprattutto ascoltare) più da vicino.

Storia della Sonata

La genesi di questa Sonata è molto travagliata: data alle stampe nel 1837 dall’editore Kistner e presentata nello stesso anno al pubblico del Gewandhaus, la prestigiosa sala da concerto di Lipsia, quest’opera era in realtà già pronta da tempo, come si evince dal carteggio di Schumann con Ignaz Moscheles. Scrive infatti nella lettera dell’8 marzo 1836

“La mia Sonata non è stata ancora stampata. Gli editori non vogliono saperne di me, non mi aspetto nulla da Haslinger [editore]”

Come sempre accade nella storia quando un genio porta una ventata di innovazione, anche le opere di Schumann suscitavano molta diffidenza negli impresari. Ciò era dovuto, oltre all’intrinseca originalità dello stile, al fatto che il compositore non era conosciuto come concertista; infatti in un’ epoca in cui Liszt, Mendelssohn, Chopin, e ancora Kalkbrenner, Moscheles, Hummel e Thalberg riempivano i teatri e le sale da concerto pubblicizzando in prima persona e con un virtuosismo spettacolare  la propria musica, non c’è da stupirsi se il nostro Robert non aveva agli occhi dei più l’autorevolezza o quantomeno la credibilità necessaria a proporre una musica così spregiudicatamente audace, senza contare che all’epoca il grosso delle vendite si effettuava proprio grazie alle tournée.

Schumann doveva essere ben cosciente di ciò, tanto che non mancò di scrivere con una punta di amarezza “una volta che uno è stato riconosciuto Maestro può fare ciò che vuole e avrà comunque la stima generale”. È proprio per questo motivo che si rese conto di dover assicurare all’editore una garanzia, e decise di rivolgersi proprio a Moscheles; come pianista, compositore e didatta egli era infatti un’autorità in ogni ambiente musicale e un articolo recante la sua firma sulla Nuova Rivista Musicale avrebbe incoraggiato il favore del pubblico e rassicurato l’editore. Questa è la sostanza della richiesta che il giovane Robert indirizzò al Maestro il 30 luglio del 1836.

Intanto, per altre strade, la Sonata era stata accettata dall’editore Kistner, lo stesso che pubblicò Papillons op.2; Moscheles inviò tempestivamente a Schumann la propria recensione (impreziosita da consigli e raffinatezze stilistiche che il giovane non tarderà ad applicare nella revisione) che non poteva essere più lunsinghiera:

“Quest’opera è un segno genuino del risvegliarsi e del diffondersi del Romanticismo ai nostri giorni… Dall’ultimo Beethoven non era apparso più nulla di così nuovo, di così appassionato…”.

Il pianista boemo amava molto lo stile di Schumann, tanto che in una pagina segreta del proprio diario scrive:

“La ginnastica delle dita trova nei nuovi pezzi di Thalberg, che suono nella loro interezza, il suo terreno giusto; per lo spirito, invece, ho Schumann. Il romanticismo mi si fa incontro così nuovo in lui, la sua genialità è così grande che devo immergermi sempre più in essa per soppesare con la bilancia giusta le qualità o le debolezze di questa nuova scuola”.

E pensare che all’epoca di queste righe Moscheles conosceva solamente quel poco che era stato dato alle stampe, non conosceva quindi il Carnaval, pure completato, non gli Studi Sinfonici che erano ancora privi del Finale, né le tante pagine manoscritte che troveranno una sistemazione solo anni dopo. Ma allora come aveva fatto il Maestro a conoscere la Sonata op. 11 prima che fosse pubblicata?

La futura Clara Schumann, alla quale la Sonata è dedicata, ne possedeva il manoscritto già da tempo, e ne rigirava tra le dita la musica, senza ultimarne la lettura, già dall’agosto 1835. Abbiamo testimonianza che la giovane virtuosa, a partire dall’autunno successivo, accoglieva i suoi illustri ospiti (tra i tanti: Mendelssohn, Chopin, Liszt e lo stesso Moscheles) proprio con l’esecuzione di questo brano e il primo commento estemporaneo del Maestro di Praga a questa Sonata, comunicato alla moglie subito dopo l’ascolto la sera del 1° ottobre, fu: “Molto ricercata, difficile e un po’ confusa, tuttavia interessante”. Apprezzamento di non  di non poco conto, considerando quanto sostiene la biografa Lattanzi Darò:

La stringatezza evidente di queste righe verrebbe ad acquistare un rilievo tutto diverso, se la spostassimo ad epoca successiva, come fanno la maggior parte dei dei biografi che ne capovolgono addirittura l’ordine delle parole. Giacchè è ben diverso dire: «Interessante, ma difficile e un po’ confusa» piuttosto che «difficile e un po’ confusa, tuttavia interessante». Tra una avversativa (ma) e una concessiva (tuttavia) corre un mare di differenza.

Schumann compose le sue tre principali Sonate tra il ventitreesimo e il ventottesimo anno di età, vale a dire tra il 1833 e il 1838. La composizione e la stesura lo hanno visto impegnato in media un anno per ciascuna di queste (anche se la genesi della prima è di 2 anni), e si può dire che mai come in tali opere egli sia stato ossessionato da dubbi e incertezze, a giudicare dalle varie versioni che si alternavano febbrilmente. Prima di queste tre Sonate (l’op. 11 in fa diesis minore, l’op. 14 in fa minore e l’op. 22 in sol minore) Schumann si era esercitato in questo genere con la composizione di una Sonata in la bemolle (1830) e una in si bemolle minore (1831), entrambe inedite. Questo testimonia che il processo creativo della Sonata non fu affatto semplice per lui, dopotutto era pur sempre il romantico impressionista dei pezzi brevi.

Allo stesso modo, nonostante egli considerasse la musica pianistica una sorta di diario musicale intimo, strettamente legato agli avvenimenti della propria vita, nella ricerca di un’unità di concezione, sentì a un certo punto il bisogno di volgersi a composizioni che lo costringessero a determinate leggi e a forme ben definite. Questa intenzione la riscontriamo del resto in altre opere, che pur non presentando il titolo di “Sonata”, ne hanno il carattere e la forma, come la Fantasia op. 17 e il Carnevale di Vienna op. 26.

La Sonata in Fa diesis minore fu pubblicata come già detto nel 1837 con la firma di “Florestano ed Eusebio”, mentre solo nel 1840, in una ristampa, essa porta infine il titolo Première Grande Sonate, con firma “Robert Schumann”. Originariamente quest’opera consisteva in una collana di dodici canzoni dedicate alle sue tre amatissime cognate, ma Schumann, non completamente soddisfatto, le ha affidate al pianoforte: A Anna è diventata l’Aria della Sonata op. 11, il cui tema viene anticipato nell’Introduzione; Im Herbst [in autunno] è diventato l’Andantino della Sonata in Sol minore; Der Hirtenknabe [il pastorello] altro non è che l’Intermezzo op. 4 n. 4.

Da questo laborioso processo creativo risulta che Robert non era proprio naturalmente predisposto a composizioni di così vaste proporzioni architettoniche. È molto interessante osservare come egli si sforzasse di trovare la propria strada per risolvere i problemi collegati a queste composizioni, come testimonia Carlo Zecchi:

Primo Movimento: INTRODUZIONE

Il primo movimento inizia con un episodio introduttivo che ha il carattere di un’improvvisazione in tre quarti, resa suadente da un arpeggio alla mano sinistra (“un poco adagio”), che diventerà un ostinato, e drammatica da un declamato alla destra dapprima ad una voce, poi a due e tre voci. Per tutto il primo periodo è presente un pedale di tonica (fa diesis minore) che dà l’idea di una certa sospensione. Nelle successive 8 misure l’ostinato passa alla destra e il declamato alla sinistra e ha luogo una modulazione nella relativa maggiore, tonalità in cui verrà anticipato il tema dell’Aria, che occupa 18 misure, suddivise approssimativamente e asimmetricamente in due frasi da 10 e 8 misure. Dopodiché ricompare il primo periodo, il cui ostinato sfocia nel parossismo.

Segue l’Allegro vivace, in due quarti, in cui interagiscono due temi, un ritmico alternarsi di quinte e un fluente Fandango, canzone d’amore spagnola ( l’Allegro vivace era stato pubblicato nel 1832 come op. 4 dal titolo appunto Fandango: rhapsodie pour le pianoforte). È indicativo che questo genere popolare compaia in un’opera dedicata a Clara Wieck.

In questa sezione che potremmo chiamare Esposizione Schumann apporta un’innovazione: i due temi presenti omaggiano il bitematismo della forma-sonata classica, costituito da un inciso ritmico ed uno melodico, ma questi, anziché essere presentati in due distinti episodi, si intrecciano, si alternano repentinamente e bruscamente, ed è addirittura difficile distinguere nettamente l’uno dall’altro.

Il primo episodio è un appassionato gioco di modulazioni e di timbri, in cui il contrappunto la fa da padrone. A partire da battuta 46 si ha un ponte modulante che conduce ad una modulazione enarmonica per affinità di terza da si maggiore a mi bemolle minore, con cui apre il secondo episodio alla misura 55.

Qui la variatio ritmica dell’iniziale Fandango insieme all’andamento sincopato rendono la sezione giocosa e allo stesso tempo instabile, preparando per contrasto l’ascoltatore al pacato e avvolgente lirismo dell’episodio seguente: alla misura 71 ha inizio un nuovo ponte modulante fugato a 4 voci che, riprendendo il Fandango, conduce alla tonalità di la maggiore. Dopo un breve pedale di Dominante ha luogo un nuovo, dolcissimo declamato, caratterizzato da un timbro pieno e luminoso (la melodia è infatti rinforzata su tre ottave) e da cromatismi.

Ritornellata l’Esposizione, ha inizio nella tonalità di impianto quello che sembra il vero e proprio Sviluppo: in esso sono infatti presenti non solo i due temi iniziali, ma ricompaiono anche altre cellule tematiche da questi derivate o del tutto nuove, in un caleidoscopio di immagini ed emozioni. Il materiale tematico iniziale viene riproposto in do diesis minore, con qualche variazione, fino all’inizio di un ennesimo ponte modulante che sfocia nella tonalità, armonicamente lontanissima, di fa minore.

Alla misura 181 si apre un nuovo episodio, che vede un arpeggio ostinato di tumultuose quartine alla mano destra e il tema dell’Esposizione ripetuto quasi ossessivamente fino al suo brusco esaurimento; l’andamento quindi rallenta, e ha inizio, ancora una volta, un ponte modulante che vede il riaffiorare del tema dell’INTRODUZIONE e conduce alla tonalità di sol diesis minore. A partire da battuta 213 vengono ripetuti i primi due episodi dello Sviluppo, trasposti un tono sopra e arricchiti di una trionfale cesura, che costituisce indubbiamente l’apice del movimento, tanto in termini di abilità compositiva (si giunge, attraverso un ulteriore ponte modulante, alla tonalità di Fa diesis maggiore) quanto in termini di virtuosismo e di potenza sonora.

Dopo 14 misure di sviluppo dal respiro quasi improvvisativo, viene ricapitolato il materiale precedente trasposto in Fa diesis minore, che chiude sommessamente il primo movimento. Molto interessante è la conclusione: sebbene il movimento termini nella tonalità di impianto, come dimostra la cadenza V-I, Schumann aggiunge una corona sul la dell’accordo di fa diesis minore, che si protrae oltre la sua fondamentale, quasi a collegare la sonorità del primo movimento a quella del secondo, che inizia appunto in La maggiore.

Secondo Movimento: ARIA

L’ ARIA, che come già detto è il Lied A Anna composto da un sedicenne Schumann, si presenta come un momento di intimo raccoglimento, con sfumature che oscillano dal lirismo dolce al lamento drammatico. Molto più lineare del primo tempo, è in forma tripartita A-B-A, non modula molto, eccezion fatta per l’episodio B che è in fa maggiore. L’ Aria presenta una piccola coda di 4 misure, in cui il tema si muove contrappuntisticamente tra i registri, pur restando sospeso in un’armonia di La maggiore costante, fino a spegnersi.

Terzo Movimento: SCHERZO e INTERMEZZO

Anche questo tempo è in forma tripartita A-B-A, in linea con la tradizione beethoveniana. Questo movimento è caratterizzato da una giocosa e carnevalesca instabilità armonica e ritmica: le azzardate modulazioni e i continui sforzato sembrano frammentare l’andamento del brano come farebbe un bambino che si diverte a costruire un castello di sabbia per il solo gusto di abbatterlo.

L’ utilizzo dell’anacrusi, molto cara a Schumann, desta non poca ambiguità: sul levare abbiamo infatti uno sforzato, come se tutto il movimento fosse scritto “sfasato” di un quarto in anticipo sul suo tempo reale. E a conferma di ciò troviamo sull’ ultimo quarto della misura successiva un altro sforzato, ed ancora un altro nella battuta 4. Addirittura dalla misura 26 alla 30 gli sforzati cadono ogni due quarti, ed anche la figurazione e le legature rafforzano tale incedere ritmico. Schumann fa un uso tutto particolare dell’anacrusi, come possiamo notare nelle Davidsbündlertänze o nelle Romanze op. 94. Le sue frasi musicali hanno un’accentazione intuitiva, e strettamente connessa ai valori e all’altezza delle note, delle quali conta di più la posizione nella griglia armonica che non in quella metrica: come tutte le melodie romantiche va suonata come fosse cantata.

L’episodio A è a sua volta in forma tripartita, inizia infatti con un Allegrissimo, in cui il tema viene presentato in fa diesis minore, mentre alla battuta 51 l’indicazione cambia in Più Allegro e la tonalità nella relativa maggiore. Dopo la ripetizione dell’Allegrissimo ha inizio la sezione B, Molto più lento, che, improvvisamente in re maggiore, si articola invece in forma di Rondò, con periodi molto regolari di 2 misure. Una cadenza fa da ponte verso la ripresa che, senza coda e perentoria, chiude il terzo tempo.

Quarto Movimento: FINALE

Questo tempo è forse il più stupefacente di tutta la Sonata: è una marcia, ma in tre quarti. Le legature scritte, così come gli accenti e gli sforzato, fanno percepire nettamente l’andamento binario marziale, ma il tempo è ternario. In tutto la prima frase è costituita da 12 cola, ma il fatto che sia scritta in tre tempi obbliga il periodo ad articolarsi nelle ordinarie otto battute. Sorge spontaneo un parallelismo con il Finale del Carnaval, di cui vi avevamo parlato qui, in cui pure è presente una marcia in tre tempi: se però quella volta era la struttura interna dei piedi ritmici ad adattarsi al tempo ternario, nella Sonata è l’intera frase che si articola sulla base dell’equivalenza metrica: 12 cola binari = 8 misure ternarie.

Dopo due periodi compare il secondo tema del movimento sotto l’indicazione “quasi improvvisando”, nel pieno rispetto della formula tematica classica: se il primo era formato da una perentoria marcia di accordi di crome, il secondo, melodico ma non troppo, è di carattere più dolce e quasi ornamentale, nonché ritmicamente allusivo del Fandango.

Anche questo tempo è molto modulante: nel giro di poche misure troviamo ben due cambi dell’armatura di chiave, da fa diesis minore a la minore a si bemolle maggiore. Dopo la presentazione dei due temi, la ripresa del primo e della transizione conduce nuovamente alla tonalità di impianto. È molto difficile parlare qui di un vero e proprio sviluppo, poiché più che elaborazioni tematiche d’ora in poi si susseguiranno episodi nuovi e transizioni anche brevi, tutti squisitamente rapsodici. A misura 32 ad esempio vi è un brevissimo corale che fa da intermezzo a due momenti della progressione del secondo tema.

Dopo 29 misure di elaborazione, si presenta del materiale del tutto inedito: una progressione cromatica di accordi che funge da ponte modulante verso la tonalità di la maggiore, che sembra essere quasi ritrattato dall’incursione di altre otto misure di nuovo materiale provocatoriamente modulante, che dopo aver toccato enarmonicamente tonalità lontanissime, ritorna repentinamente al la maggiore.

Segue una vera e propria girandola di emozioni: materiale ancora nuovo si articola in rapide progressioni e per otto misure ricompare un ambiguo sforzato che, aiutato dalla scrittura e dalle legature, trasforma di fatto il tre quarti in sei ottavi. Dopo altre 6 misure di concitata progressione armonica in una figurazione ancora una volta nuova, si giunge nella tonalità di Si minore in uno degli episodi culminanti nelle misure 137-141, dove ricompare esplicitamente la figurazione del Fandango del primo movimento. A questo seguono altre sei misure di un’ulteriore progressione cromatica, ma questa volta discendente, che stemperano la concitazione precedente e scivolano in uno dei momenti più intimi e struggenti di tutta la composizione, ritornando alla tonalità di impianto.

Ecco quindi un nuovo, toccante corale, che nulla ha a che fare con il precedente, se non nel carattere quasi improvvisato (“Semplice”, “Ad libitum” indica Schumann). Dei trilli nel registro medio sembrano presagire futuri turbamenti, e l’atmosfera sospesa e trasognata del corale sembra rappresentare la quiete prima della tempesta.

Infatti subito dopo i trilli diventano minacciosi tremoli nel registro grave, evocando un terremoto apocalittico mentre la mano destra fa squillare delle trombe che, in un continuo crescendo di volumi, dissonanze e intensità, richiamano e preparano l’avvento del tema principale, nel quale finalmente sfociano in maniera fluida.

Da questo punto in poi si susseguiranno quasi nello stesso ordine gli episodi precedenti, a reiterare in maniera quasi pedissequa il percorso finora compiuto. La sperimentazione è più armonica che non strutturale, o meglio, come nelle sonate beethoveniane la struttura deriva dall’armonia: gli stessi episodi, in ordini diversi, ricompaiono trasposti nelle tonalità più disparate, seguendo un tortuoso percorso armonico che ricondurrà, attraverso l’ambito del la minore prima e del si bemolle poi (entrambi già toccati prima, comunque) alla ripresentazione del tema trasposto nell’omologa maggiore della tonalità di partenza, tonalità su cui è poi impiantata tutta la coda.

Quest’ultima si presenta sotto l’indicazione più Allegro e, come le grandi composizioni orchestrali, sancisce la fine della Sonata con un trionfale pedale di tonica.

Conclusione

Questo brano si pone nel solco della grande tradizione beethoveniana, come dimostrano la polifonia canonica, le modulazioni per terze nonché il carattere impetuoso. Da Schubert trae la complessità nell’uso piani armonici, che si snodano in percorsi ampi e tortuosi, e l’estrema cantabilità degli episodi più dolci, mentre da Bach l’uso del contrappunto.

L’innovazione apportata da Schumann consiste nella sua personale interpretazione del bitematismo sonatistico, in cui è difficile distinguere l’inciso ritmico da quello melodico, nell’uso delle armonie arricchite di seste, none e seconde che talvolta sembrano anticipare i cluster, nonché nel susseguirsi di episodi, anche drasticamente contrastanti tra loro, di stampo squisitamente rapsodico.

Le continue allusioni a materiale sonoro già presentato precedentemente ci danno poi la conferma di un sospetto che ci accompagnava ogni qualvolta un episodio sembrava accennare ai temi del primo movimento: Schumann ricerca la forma ciclica? Per quanto la coda faccia propendere per il sì (tanto la figurazione ritmica quanto le armonie richiamano esplicitamente un episodio del primo movimento) ciò che spinge Schumann a tali rimandi è l’esigenza di dare coesione ad una struttura architettonica troppo complessa e fuori dagli schemi, estremamente difficile da metabolizzare per l’epoca senza delle “cerniere” di richiami formali. Per chi, come se si trovasse ad una lezione-concerto virtuale, desiderasse gustare da capo a fondo questa Sonata, ne proponiamo di seguito l’interpretazione di Maurizio Pollini. Come sempre, buon ascolto.

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Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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