Papageno e Charlie Brown: la tenerezza di chi non si arrende

La cifra perfettamente gioiosa e luminosa con cui termina Il flauto magico mozartiano è data forse, nella maniera più schietta, dalla terza sezione del finale II, ovvero dalla scena di Papageno e dal suo duetto con Papagena, la sua compagna lungamente inseguita durante tutto il Singspiel, e infine a lui donata. Questo inserto, di natura drammaturgicamente comica, va, da una parte, a interrompere il ritmo solenne con cui Tamino e Pamina superano le prove e si congiungono nel regno di bellezza e saggezza di Sarastro, e, dall’altra, a dare uguale lieto fine alla vicenda del buffo Papageno. Se è chiaro che l’inno che conclude l’opera appartiene ad un piano etico, quasi ascetico, cui i protagonisti sono pervenuti affrontando prove che hanno permesso loro di mettere in luce le loro qualità morali, è altrettanto evidente come la musica mozartiana regali alla coppia Papageno – Papagena una gioia prima stupita, poi irrefrenabile, sempre sincera, leggera e profonda allo stesso tempo: la gioia di chi, pur non essendo destinato a compiere grandi gesta o a comportamenti eroici, trova la sua dimensione nelle piccole cose. É un sentimento forse meno titanico e trascendente della Freude beethoveniana, ma ugualmente forte e impegnativo, capace di realizzare compiutamente l’uomo, per quanto semplice egli sia.

Il duetto è introdotto dalle voci di fanciulli, che potrebbero avere la stessa età, o poco più, dei Peanuts, i celeberrimi bambini disegnati da Schulz. Anche per loro, come per Papageno e Papagena, la gioia sembra essere il tratto distintivo e dominante: non una felicità effimera, esogena, ma interiore, tessuta in vicende concrete, filtrata attraverso un cuore grande che si lascia interrogare e stupire, e manifestata con levità e candore; il loro sguardo, incantato eppure saggio, assennato eppure immacolato, sembra avere un antesignano nelle figure fiabesche dei tre fanciulli, che indicano – finalmente! – a Papageno la strada per la felicità; né più né meno di come fanno i Peanuts dalle loro strisce, indicando e grattando via le patine di convenzioni, piccole ipocrisie e stupide nevrosi (riflessi del mondo degli adulti) che ci impediscono di recuperare quello stesso sguardo lieve in grado di condurci alla felicità.

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Inattese analogie

Tuttavia, ad uno sguardo appena meno affrettato, più ancora che ai fanciulli magici che durante l’opera intervengono a indirizzare le azioni dei protagonisti verso il coronamento del successo, i Peanuts, e meglio ancora il loro personaggio più rappresentativo, Charlie Brown, hanno a che fare proprio con Papageno: se l’affinità tra i fanciulli e i Peanuts è superficialmente anagrafica, l’accostamento tra Papageno e Charlie Brown rivela sorprendenti tratti in comune, al di là del fatto che entrambi i personaggi rappresentino un riuscito compendio, acuto e preciso: del carattere popolare, gaudente, spensierato, buffo, lo svampito uccellatore, e del carattere candido e nevrotico in cui facilmente l’uomo medio può identificarsi, il bimbo dalla testa rotonda.

Vi sono alcuni tratti distintivi che accomunano questi personaggi, così apparentemente lontani e di origine così diversa. Entrambi sembrano provenire da una fonte infantile – una fiaba in musica, un fumetto dai tratti delicati: sembra che il loro naturale bacino di uditori siano bambini di età scolare (e non a caso Il flauto magico è una delle opere d’elezione, per avvicinare i più piccoli all’opera): l’apparenza però svela ben presto che la leggerezza di questi personaggi non è innocuo fiabesco o vacua ilarità: in Papageno c’è il riflesso – bonario, semplice, ingenuo, a tratti fallimentare – dell’uomo comune, testimone di vicende più grandi e pur sempre radicato e affezionato alla propria realtà, preoccupato dei bisogni primari (e chi di noi non lo è?) ma non per questo gretto e materialista. La sua massima aspirazione è trovare l’anima gemella (dai suoi stessi abiti, dalle sue stesse fattezze) con cui godere la condivisione delle cose semplici e trascorrere l’intera vita: lontanissimo dal piano filosofico in cui Tamino muove verso Pamina, Papageno cerca Papagena incarnando, con la stessa forza, l’aspirazione alla completezza e all’unità, da vivere quotidianamente e incarnare nei gesti e nelle azioni che accompagnano le giornate di ciascuno di noi: cosicché, pur essendo uno strambo uccellatore, che pare persino poco consapevole di se stesso, facilmente sentiamo Papageno molto più vicino dell’eroe Tamino e del suo complesso viaggio di iniziazione. L’abbozzo del personaggio (creato da Schikaneder a propria misura) viene poi completato dalla musica di Mozart con una semplicità tematica che nasconde una grande raffinatezza compositiva: se è vero che rimane un personaggio popolare, e i temi da lui intonati, o le situazioni musicali nelle quali interviene, ce lo ricordano con un sorriso, è anche vero che la musica di Mozart non è mai sempliciotta, affrettata o sbrigativa: come già in Leporello e Figaro (con le dovute distanze), il registro comico nel Papageno di Mozart non è triviale e boccaccesco, ma si colora di un umorismo lieve e ironico, che, in un certo senso, nobilita anche le urgenti preoccupazioni di Papageno.

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In Charlie Brown e nella banda di suoi amici, troviamo un miracoloso gioco di specchi per cui nelle vicende elementari, giocose, apparentemente innocue di un gruppo di bimbi, è invece possibile vedere, con inaspettata profondità di analisi e introspezione, il vasto campionario di dinamiche e sentimenti che caratterizzano tantissimi adulti, appartenenti alla middle class statunitense, e, in senso lato, a qualsiasi ceto medio. Leggere le vicende dei Peanuts è scorrere piccole epifanie che dall’estremamente ordinario ci portano a riflessioni esistenziali: lo sguardo dei Peanuts è acuto e rivelatore, e partendo dal banale scava in profondità con pochi tratti e pochissime parole per rivelare e portare alla luce caratteri umani universali, ansie e speranze che appartengono ad ogni anima: il fumetto diventa così non solo un diletto per i più piccoli, ma un vero trattato illustrato di sociologia, antropologia, filosofia.

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La poesia che penetra la realtà

Papageno e Charlie Brown sono due “prodotti” poetici, che, grazie alla musica di Mozart e al tratto di Schulz, si presentano con vesti infantili per spiegarci, con straordinaria levità, i bisogni più intimi e profondi dell’uomo, la naturale e insopprimibile ricerca della felicità: se è vero che Papageno pensa a mangiare e bere, come appunto un bambino, è pur vero che pensa di potersi ritenere felice solo quando potrà trovare Papagena; allo stesso modo, Charlie Brown non cessa di puntare alla propria realizzazione personale, pur fra tutte le sue nevrosi, e non smette di lottare, con abnegazione e lealtà, a volte donchisciottescamente, per raggiungere la sua felicità, che sia calciare il pallone di Lucy o far volare l’aquilone.

Comuni a Papageno e Charlie Brown non sono solo la poesia e la levità con cui disegnano precisamente questa natura umana che non smette di anelare alla felicità: la tenera goffaggine, la testarda ostinazione con cui si muovono ci rendono particolarmente simpatiche le preoccupazioni terrene di Papageno, e tutti noi assistiamo, con un divertimento empatico in cui può forse cogliersi una catarsi per i nostri fallimenti, ai suoi maldestri tentativi di stare in silenzio; gli obiettivi di Charlie (il pallone, l’aquilone) ci fanno parteggiare subito per il bambino dalla testa rotonda, sperando ad ogni tavola che i suoi sforzi trovino la giusta ricompensa, e non l’acida perfidia di Lucy o l’albero divoratore di aquiloni. Questa immediata e profonda empatia rende Papageno e Charlie Brown familiari ai lettori/ascoltatori, entrando a far parte del loro immaginario collettivo, e abitandolo con confidenza.

Trionfare nonostante le sconfitte

Sia Papageno che Charlie Brown sono poi eroi apparentemente perdenti, in un certo senso anti-eroi, modernissimi: testimoni e protagonisti inconsapevoli di discorsi che li trascendono – l’uccellatore inserito in una vicenda simbolica che stenta a capire, Charlie Brown immerso in imprese ludico-sportive, e sentimentali (la ragazzina dai capelli rossi), che sembrano al di là delle sue possibilità – nel loro ambito di azione, dal punto di vista delle vicende narrate, sono entrambi, inesorabilmente, battuti: Papageno non supera una prova sola, nonostante gli aiuti magici; Charlie Brown tenta e ritenta (a vincere una partita di baseball, a parlare con la ragazzina dai capelli rossi), ma i suoi sforzi sono puntualmente frustrati. Eppure, nella loro candida ostinazione, che mai cede alla rabbia e all’invettiva, si nasconde una forza d’animo che niente scalfisce, una fiducia che prima ancora che essere in se stessi, è nelle cose, nell’Universo intero, nell’ordine con cui gli eventi si dispongono e possono volgere a loro (e a nostro) favore – anche quando tutto sembra agitarsi contro, invece che pro; la loro semplicità non sconfina mai nella stupidità, nella macchietta, ma costituisce una delle forze genuine che li anima. La perseveranza con cui lottano e la loro ostinazione con cui perseguono i propri obiettivi ci svela, senza pietismo e senza euforia, quanto un animo possa trovare dentro di sé le forze per andare avanti sempre e comunque, lottando ogni giorno per se stesso e per i propri ideali: nessun tentativo resta inevaso, e la loro testardaggine finisce con l’essere una cifra della grandezza di un animo indomito che non si arrende. La semplice sconfitta non può essere, per loro, un motivo per fermarsi, ma solo per provare ancora, e se certo il lettore/ascoltatore può sorridere di fronte a tanta candida incoscienza, difficilmente potrà evitare di interrogarsi sulla propria tempra e sulla propria capacità di rialzarsi dai fallimenti.

Sia Papageno che Charlie Brown sembrano affermare, nella serialità delle loro sconfitte, che la vera vittoria è provarci: l’esserci per poter tentare è già motivo di affermazione, e non può non portare dei frutti, nonostante l’incidente delle sconfitte sembri affermare il contrario.

E, difatti, i frutti arrivano, sebbene in maniera non tradizionalmente eroica: Papageno non conquista Papagena per i propri meriti, e i meriti di Charlie Brown sembrano non essere abbastanza per un trionfo sportivo, o per conquistare la ragazzina dai capelli rossi: tuttavia, un destino benigno (fiabesco) consegna a Papageno la sua Papagena inseguita per tutta l’opera, mentre Charlie Brown, almeno una volta (in un album significativamente intitolato “Questa è magia, Charlie Brown!”) riesce a calciare il pallone – pur non avendo altrettanto fortuna con l’aquilone, o il baseball. E non è difficile capire come questi risultati siano il premio non di una condotta esemplare e vincente, ma di una determinazione e fiducia che, senza arrendersi mai, non si limitano ad essere premio a se stesse, ma a far guadagnare ai nostri i risultati così lungamente perseguiti.

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Certo, rimane aperta, nelle strisce di Schulz, la questione, cruciale e archetipa, della ragazzina dai capelli rossi: riuscirà Charlie a rivolgerle la parola? La risposta a questa domanda può dirci molto su noi stessi, e sul nostro sguardo sul destino, sulle nostre scelte e i nostri valori: è probabile che quanto più crediamo in noi stessi, in una natura in fin dei conti benigna, in un universo che nonostante tutto si schiude ai nostri desideri permettendoci, con le sue prove, di migliorare e farci artefici della nostra fortuna, tanto più ci sarà facile immaginare la tavola in cui Charlie Brown infine trova il coraggio di dichiararsi, e la ragazzina sorride.

L’opera di Schulz, diversamente da quella di Mozart, non è una fiaba autoconclusiva: se entrambe le opere tratteggiano i grandi caratteri umani, la vicenda de Il Flauto Magico ha un inizio e una fine (di carattere pedagogico), laddove l’intero corpus delle tavole di Schulz costituisce un grandioso affresco, inesausto e infinito, della commedia umana, dove forse sarebbe una forzatura pretendere di trovare quella tavola: sappiamo quindi che Papageno, nonostante tutto, trova Papagena, e la sua gioia è completa, mentre non sappiamo, dalle tavole di Schulz, se mai Charlie Brown troverà il coraggio di dichiararsi alla ragazzina dai capelli rossi.

Forse però, possiamo immaginare che la musica dei loro cuori non sarebbe molto diversa – pura, esultanza, giubilo radioso – da quella con cui Papageno e Papagena lasciano l’opera al trionfo del bene – e noi al desiderio di provarci.

Rosario Dipasquale


 L’immagine di copertina è tratta dalle illustrazioni di Emanuele Luzzatti per “Il flauto Magico”

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