In viaggio verso l’ignoto: vita e misteri di Padre Domenico Zipoli

Anno 1717. In una giornata come numerose in precedenza ed altrettante in futuro, sotto un cocente sole estivo, le terre della Reduciòn de San Pedro vengono zappate e coltivate in attesa degli agognati frutti.

Autore: Fabio Valente

21 Novembre 2016

Mais, patate, legumi, manioca sono tra i prodotti tipici di questi piccoli nuclei cittadini alla base delle missioni gesuitiche in Paraguay, Cile, Perù. E’ l’ora del riposo per le stanche mani degli indigeni impegnati al lavoro: in vista delle preghiere, risuonano dal convento più vicino melodie di matrice europea, giunte in America già da qualche decennio grazie all’attività di eruditi Padri della Chiesa. Poco distante dagli appezzamenti di cui parliamo, in una stanza del Collegio di Còrdoba, vi è un uomo, Domenico Zipoli, che ben conosce quelle melodie. Ne è l’autore e con sè le ha portate dalla lontana Europa, per realizzare un disegno tanto chiaro quanto misterioso.

La figura di Domenico Zipoli, più di quella di molti compositori vissuti a cavallo tra i secoli XVII e XVIII, è avvolta nel mistero. Fonti frammentarie, spesso imprecise e lacunose, sono alla base della ricostruzione delle avventure di questo uomo di chiesa, nato probabilmente a Prato, nel Granducato di Toscana, attorno al 1688. Se già l’esistenza alquanto particolare di Zipoli poteva rendere arduo il compito della storiografia antica, curioso è il fatto che fino a pochi anni fa si fosse convinti dell’esistenza di un secondo Domenico Zipoli (o Domingo Tipoli), la cui biografia si andava spesso a confondere e sovrapporre a quella del compositore. Confermata oggi la teoria che i due Zipoli furono in realtà la stessa, misteriosa persona, resta comunque nebbiosa buona parte della vita di questo padre toscano.

Dopo i primi studi a Firenze, Zipoli si reca assai giovane a Roma, poi a Napoli, dove conosce Alessandro Scarlatti e dal quale scappa “per acuta differenza”, prima di finire a Bologna. Il nome di Zipoli compare in una breve biografia dell’erudito bolognese Padre Martini, dalle righe della quale tuttavia poco di interessante si ricava sulle peculiarità del giovane ragazzo. Musicalmente ben istruito sin dalla tenera età, Zipoli ha contatti con Bernardo Pasquini e poco più che ventenne ha già alle spalle l’esecuzione (ricca di lodi) di un paio di propri oratori in terra fiorentina. Dopo otto anni di fertile attività sia compositiva che esecutiva a Roma – Zipoli era infatti ottimo organista – si legge di una sua misteriosa partenza “con i Gesuiti per Genova per poi Siviglia di dove à stare al Paraguai”.

L’avviata carriera da organista e compositore in terra italiana si interrompe di colpo. Sono sole mere congetture quelle che giustificano l’ingresso di Domenico nella Compagna del Gesù: d’animo mite e di fine ingegno, Zipoli aveva già visto tre dei suoi fratelli indossare gli abiti ecclesiastici, rimanendone assai colpito. Si presume inoltre che Domenico fosse molto attratto dai racconti sugli indios americani che giungevano nella chiesa del Gesù a Roma, ove egli operava. Si narrava di indigeni abili nel canto, autodidatti ma musicalmente dotati al punto da sbalordire gli europei che li ascoltavano per caso: il favoloso racconto dovette colpire nel profondo l’animo di uno Zipoli poco più che ventenne, sino a spingerlo a partire verso l’ignoto, lasciando ogni bene, ogni certezza.

Salpato da Genova, egli rimase per un anno a Siviglia, operando anche nella cittadina spagnola come organista in attesa di ottenere i requisiti per la partenza verso una delle “Reduciones” sudamericane. Annotato come scolastico e filosofo sul diario di bordo, Zipoli si imbarcò nel 1717 per giungere dopo quattro mesi di navigazione nel Collegio di Còrdoba, in Paraguay assieme a decine di fratelli e novizi della Compagnia. Di carattere e costumi assai piacevoli – si legge negli archivi del luogo – mai ebbe la fortuna di essere consacrato vescovo nè di rivedere la sua Europa, stroncato dalla tubercolosi nel 1726, a soli 38 anni di età, dopo un anno di sofferenza e malattia.

Avvolto da una cortina di mistero che anno dopo anno svela nuovi, interessanti particolari, Domenico Zipoli si dedicò per anni alla composizione, all’insegnamento, alla crescita del movimento musicale tra le popolazioni indigene. Spinto da una vocazione a tratti incomprensibile ma senza dubbio fortissima, Padre Domenico “fece in modo che le feste si celebrassero con accompagnamenti musicali, suscitando l’ammirazione quanto degli spagnoli che dei neofiti. Esaltata di ascoltarlo, una folla immensa riempiva la Chiesa [della reducion] per ascoltarlo”.  La fama di Zipoli finì con l’allargarsi a macchia d’olio tra le terre sotto l’egida gesuita: a centinaia di chilometri da Cordoba, in luoghi dove Zipoli mai mise piede, zoologi ed esploratori giunti da Francia, Italia, Germania, affermarono di aver sentito “musiche indicibili, di rara bellezza, nello stile italiano ed esecuzioni straordinarie che mai ci si sarebbe attesi di ritrovare”. Negli archivi di numerose reduciones sono stati rinvenuti manoscritti a firma di Domenico Zipoli, contenenti composizioni per organo, mottetti, messe, accatastate accanto a pagine di Corelli, Vivaldi e altri celebri compositori.

Partito verso un mondo ignoto e mai più tornato a raccontare la propria storia, Domenico Zipoli rappresenta ancora oggi una delle pagine della storia della musica più misteriose ed allo stesso tempo ricche di intricate curiosità. Nemmeno comparando, come abbiamo provato a fare, le fonti provenienti da due differenti continenti, è oggi possibile ricostruire il pensiero alla base dell’esistenza del padre gesuita e la reale portata del suo immenso lavoro, tanto umanitario quanto musicale. Doveroso, in ogni caso, è il ricordo per una figura particolare, che ancora oggi affascina e incuriosisce, seppur in gran silenzio.

Fabio Valente

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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