Paganini e i suoi Capricci

Nel romanticismo musicale, come in quello letterario e artistico, ci fu una nuova linea di idee volta all’esaltazione della bellezza e alla ricerca di tutti i tipi di sfumature che una singola arte poteva offrire all’artista.

Autore: Michela Marchiana

4 Ottobre 2016

In campo musicale questi nuovi ideali si risolsero nella maggiore attenzione e nell’esaltazione dei timbri e delle dinamiche all’interno delle composizioni, nell’utilizzo di un’armonia non precisa e definita per mezzo di molti cromatismi e in molte altre cose. Tra i connotati forse più vistosi del romanticismo musicale vi è però l’esplosione e l’esaltazione del virtuosismo strumentale, la pura esibizione di abilità e capacità manuali. Per quanto riguarda il violino, il più grande virtuoso, sia compositore che strumentista, che fece evolvere la tecnica virtuosistica elaborandone anche un senso espressivo e musicale, fu Niccolò Paganini (1782-1840).
Nato a Genova fu avviato dal padre (non musicista) allo studio del violino, ma fu praticamente autodidatta. I suoi primi soggiorni furono Genova e Parma, dove ebbe l’opportunità di iniziare una vera e propria attività concertistica. Da lì si spostò e girò tutto il resto dell’Italia Settentrionale. Nel 1801, forse per amore di una donna, interruppe la sua attività violinistica, dedicandosi all’agricoltura e alla chitarra, strumento per il quale Paganini compose una vasta produzione sia a solo che d’insieme.
Riapparve nell’ambiente violinistico solamente nel 1805 a Lucca dove accettò l’incarico di primo violino e di solista alle dipendenze della principessa Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone. Nel 1809 la principessa si spostò a Firenze, Paganini la seguì, per poi staccarsene. E così, nello stesso anno, avendo riscoperto i piaceri dell’attività concertistica, il virtuoso violinista inizia la sua carriera itinerante, rimanendo dapprima in Italia ma spostandosi in seguito anche all’estero.
Tra il 1828 e il 1834 girò quasi tutte le maggiori capitali musicali europee (fu a Vienna nel 1828, a Dresda e Varsavia nel 1829, a Berlino nel 1830. Nel 1831 suonò per la prima a Parigi, alla volta di Londra) dove fu specialmente acclamato per le sue grandi capacità virtuosistiche e improvvisative. Gli elementi fondamentali della sua eccezionale e brillante tecnica Paganini li deve alla grande tradizione del violino in termini di strumento adatto al virtuosismo risalente già al XVII sec. grazie soprattutto ad Antonio Locatelli e al grande Giuseppe Tartini. Ma, pur partendo dalla tradizione, definitivo fu lo sviluppo che egli diede alla tecnica del violino, soprattutto grazie alla sua opera forse più famosa, cioè l’Op. 1, i 24 Capricci per violino solo.

Genesi di una pietra miliare

Composti tra il 1805 e il 1817 e pubblicati dall’editore milanese Giovanni Ricordi nel 1820, i 24 Capricci riportano la semplice dedica “alli Artisti” ed è un’opera finalizzata a far rendere conto al violinista cosa praticamente è in grado di fare il proprio strumento, ogni capriccio si concentra infatti su un singolo problema, non solo di carattere virtuosistico, che è la caratteristica principale dell’intera opera, ma anche di carattere tecnico, musicale ed espressivo, soffermandosi mano a mano su problematiche riguardanti la mano sinistra, quindi intonazione, diteggiature, e la mano destra, quindi sonorità, doppie corde e colpi d’arco d’ogni specie (alcuni inventati da Paganini stesso). La dedica “alli Artisti” sta a significare che quest’opera è dedicata a tutti i musicisti di professione e, a dirla tutta, di un certo livello. Oltre a questa dedica però, negli spartiti personali di Paganini si può leggere che il compositore, tra il 1832 e il 1840, aveva annotato sopra ogni capriccio una singola persona, che doveva esserne il dedicatario diretto.

1: Henri Vieuxtemps; 2: Giuseppe Austri; 3: Ernesto Camillo Sivori; 4: Ole Bornemann Bull; 5: Heinrich Wilhelm Ernst; 6: Karol Józef Lipiński; 7: Franz Liszt; 8: Delphin Alard; 9: Herrmann; 10: Théodor Haumann; 11: Sigismond Thalberg; 12: Dhuler; 13: Charles Philippe Lafont; 14: Jacques Pierre Rode; 15: Louis Spohr; 16: Rodolphe Kreutzer; 17: Alexandre Artôt; 18: Antoine Bohrer; 19: Andreas Jakob Romberg; 20: Carlo Gignami; 21: Antonio Bazzini; 22: Luigi Alliani; 23: [senza nome]; 24: “Nicolò Paganini, sepolto pur troppo”.

Soprattutto per il modo che aveva di improvvisare e per come lui stesso eseguiva i 24 Capricci, che erano per altri violinisti impossibili da suonare, si diffuse una leggenda e voci iniziavano a circolare sul fatto che Paganini avesse fatto un patto con il diavolo.
Alcuni giuravano di avere visto il demonio muovere l’archetto del violino, mentre Paganini era sul palco, e quando, durante un concerto a Vienna, uno spettatore non vedente chiese in quanti stessero suonando, alla risposta «è uno solo», esclamò «allora è il diavolo!».
Paganini però, invece di smentire queste dicerie, le usò per accrescere ancora di più la propria fama, e forse, anche al giorno d’oggi, ascoltiamo le sue composizioni in maniera diversa, proprio grazie a questa leggenda.

I 24, tutti assieme

L’intera Op. 1 è concepita, tra tecnica e virtuosismo, soprattutto, se non del tutto, per l’esecutore. Il violinista alle prese con i 24 Capricci non suonerà mai pensando al proprio pubblico, ma sempre pensando a sé stesso. Anche di fronte a una vasta sala da concerto piena, l’interprete nella sua mente sarà in una sala piccola, completamente vuota.
Questo perché suonare l’Op. 1 per un violinista è come una sfida contro il proprio strumento, perché si vuole andare oltre quella che può sembrare una buona esecuzione e si cerca di far uscire dallo strumento il virtuosismo, la tecnica e il suono proprio come Paganini aveva scritto e proprio come Paganini aveva lui stesso suonato. Dalla prima nota all’ultima c’è quindi una lotta totalmente interiore, una lotta contro le proprio capacità e un tentativo continuo di superare i propri limiti. Per questo motivo all’ascoltatore potrebbe risultare difficile ascoltare, anche se suonati dal più bravo interprete dell’opera, tutti i 24 Capricci da capo a fondo, anche se alcuni godono di maggiore orecchiabilità rispetto ad altri.  Ad esempio il capriccio n. 5 in La minore, famoso per la sua velocità in tempo di esecuzione e per i passaggi tecnicamente complessi all’inizio e alla fine per raggiungere, dopo arpeggi e movimenti cromatici, le posizioni acute e con altrettanti arpeggi e movimenti cromatici tornare giù alla tonica. Dopo che il violino si è presentato, dimostrando quello di cui tecnicamente è capace, inizia un moto perpetuo che nella parte originale aveva un colpo d’arco molto difficile, che richiede una grande padronanza della mano destra: il ricochet. Questo colpo d’arco consiste nel far rimbalzare l’arco sulla corda. A differenza però del balzato, in cui ad una arcata corrisponde un solo rimbalzo, qui l’arco deve fare più rimbalzi in una sola arcata. Ad ogni rimbalzo corrisponde una nota, quindi l’esecutore dovrà avere il pieno controllo della mano destra per ottenere l’esatto numero di rimbalzi necessari. Oltre a questo complicato colpo d’arco, ci sono voci che affermano che Paganini eseguisse il capriccio tutto sulla quarta corda, quindi aumentando la difficoltà anche per la mano sinistra. In successive trascrizioni si è deciso di semplificare, per quanto possibile, il capriccio, non obbligando la tecnica del ricochet. Questo capriccio ha il potere di ipnotizzare chi lo ascolta grazie a questa marea di note che scorrono come una cascata. Non si ha il tempo di gustare a fondo un suono che già si è arrivati a quello successivo. Ed è proprio questo desiderio di gustare appieno ogni suono a lasciare l’ascoltatore senza fiato a pendere dalle labbra dell’esecutore, dalla prima all’ultima nota.

Il Capriccio del Diavolo

L’Ultimo Capriccio dell’opera, il numero 24 in la minore è considerato come il più difficile tra tutti.  Scritto in forma di tema con variazioni, ripropone tutte le difficoltà dei ventitré Capricci precedenti, aggiungendone anche di nuove.
Il Capriccio è composto da un tema iniziale, 11 variazioni e un finale. Il famosissimo tema iniziale suona come un tema molto intrigante (quasi “diabolico“) con un ritmo ben scandito ma che non fa perdere alle note una notevole elasticità e morbidezza.  Nella prima variazione gli arpeggi del tema iniziale sono suonati con una tecnica dell’arco molto complessa.
Nella seconda si tratta ancora di tecnica dell’arco, costanti e complicati giri di corda rendono questa variazione molto fluida, come un’onda del mare che si infrange sulla riva, e successivamente l’acqua si ritira per formare un’altra onda.
La terza variazione è una di quelle che potrebbero indurre, più delle altre, l’ascoltatore a credere alla leggenda del patto con il diavolo. Procedendo per ottave (la difficoltà è quindi stavolta nella mano sinistra) si fa strada, utilizzando specialmente cromatismi, un canto incantatore, come il canto delle Sirene che ipnotizzava la mente dei navigatori.
Gli stessi cromatismi si fanno più numerosi e agitati nella quarta variazione e nella quinta tornano invece le ottave, sempre agitate ed eseguite in modo diverso rispetto a prima (nella terza erano eseguite come doppie corde, cioè due suoni all’ottava suonati simultaneamente, mentre qui sono eseguite una nota dopo l’altra). Altra particolarità della quinta variazione è l’attenzione che bisogna porre nella differenza tra il registro acuto e quello grave che è infatti sottolineato da accenti.  Nella sesta variazione sono introdotte, per la prima volta in questi Capriccio, gli intervalli di decima, che sono, per un violinista, una delle maggiori difficoltà che si può incontrare tecnicamente. Questo tipo di intervalli, come le ottave e le decime, e tutte le elevatissime difficoltà tecniche presenti in queste composizioni di Paganini, si riscontrano praticamente in tutte le sue opere. Questo perché Paganini riusciva perfettamente a intonare e suonare in maniera impeccabile tutte le difficoltà da lui composte.
A facilitare il suo genio virtuoso si pensa che abbia aiutato molto una rara malattia genetica, da cui Paganini era affetto, cioè la Sindrome  di Marfan, che può provocare conseguenze sul sistema oculare, cardiovascolare e scheletrico. Paganini era di corporatura esile e delicata, salute fragilissima, ma aveva lunghe dita affusolate e ossute, dovute alla Sindrome, che gli permettevano di raggiungere sulla tastiera del violino gli intervalli più distanti con più facilità.
Tornando al suo ultimo Capriccio, la settima variazione sembra inizialmente frenata dell’impeto iniziale, ma poi, attraverso il contrasto tra registro acuto e registro grave, si capisce di non aver mai abbandonato la frenesia originale. Frenesia che scoppia ancora di più con una serie di complicati accordi nell’ottava variazione, eseguiti, di norma, in un continuo accelerando.
La nona variazione, forse la più celebre, contiene una tecnica dell’arco e della mano sinistra completamente nuova. Il “pizzicato con la mano sinistra” consiste nel suonare con l’arco solo alcune note, e le altre (contrassegnate di solito dal segno +) devono essere pizzicate, ma non, come si fa di solito con la mano destra, che è già  impegnata,  bensì con la mano sinistra, che quindi deve fare un doppio lavoro, premere la corda per dare l’intonazione alla nota con un dito, e con un altro andare a pizzicare la stessa corda.
La decima variazione è formata da note estremamente acute, e il clima potrebbe sembrare di riposo, anche se suonare in posizioni acute è per il violinista tutt’altro che rilassante, e di preparazione all’undicesima e ultima variazione, che comprende varie tecniche, anche già usate nelle variazioni precedenti,  come doppie corde e arpeggi, eseguite ad una elevata velocità che preparano al Finale, composto solo da arpeggi eseguiti nelle due contrastanti dinamiche di “piano” e di “forte”, che portano all’ultimo accordo dopo il cambio di modo, da La minore a La maggiore.

Paganini fu un modello per molti compositori, che basarono alcune loro opere su suoi temi o addirittura li trascrissero per strumenti diversi dal violino. Dai temi dei Capricci sono state prodotte numerose composizioni, come l’op. 10 di Schumann (6 studi da concerto), le Variazioni su un tema di Paganini di Brahms e la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov. Ma soprattutto ad imitare il grande virtuoso del violino fu il grande virtuoso del pianoforte, Franz Liszt, che pubblica proprio una raccolta dal titolo “Études d’exécution transcendante d’après Paganini“, in cui riporta la trascrizione di sei Capricci.

Michela Marchiana


Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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