Guardare l’Opera: Linda di Chamounix di Donizetti

Nel 1840 Gaetano Donizetti ricevette l’incarico, da parte dell’impresario Bartolomeo Merelli, di comporre un’opera per il Teatro di Porta Carinzia di Vienna. L’affare era molto delicato perché il pubblico viennese era, musicalmente, uno dei più raffinati d’Europa, inoltre, il compositore era ansioso di guadagnare un posto presso la corte asburgica.

Autore: Silvia D'Anzelmo

21 Giugno 2016

È sotto questi auspici che nasce l’opera semiseria “Linda di Chamounix”: l’evento più atteso della stagione italiana del 1842 presso il teatro viennese.

Il libretto della Linda è stato scritto in italiano da Gaetano Rossi che ha ridotto e adattato il dramma francese “La Grâce de Dieu” di Adolphe-Philippe D’Ennery e Gustave Lemoine. Il soggetto, estremamente garbato, è tagliato su misura per l’intransigente pubblico di Vienna tanto da risultare banale quasi al limite dell’inverosimile. A un primo sguardo, infatti, la storia della povera Linda sembra una semplice celebrazione dell’innocenza femminile e delle virtù domestiche; in realtà, dietro questa facciata di perbenismo, scopriamo alcuni dei temi più cari alla borghesia ottocentesca e alla sensibilità romantica come la dicotomia di genere ossia la contrapposizione tra il mondo femminile e quello maschile, la difesa della verginità come valore non solo personale ma familiare e la follia come via di fuga per l’animo offeso della donna.

Donizetti, dunque, affronta tematiche urgenti per la società  del primo ottocento accomodandole in una forma soave e composta. Effettivamente, la sua ultima e più riuscita opera di mezzo carattere ebbe un successo strepitoso e gli valse la nomina di Maestro di Cappella presso la corte asburgica. Il compositore stesso si dichiarò soddisfatto del lavoro e della prova degli interpreti tanto da lodarli in una lettera che inviò all’editore Giovanni Ricordi: “Tutti gli artisti gareggiano in zelo, tutti hanno dove farsi applaudire, ma la Tadolini s’è risvegliata d’una maniera sorprendente…è cantante, attrice, è tutto…una pazza di nuovo genere, che mi è stata così obbediente, a piangere, a ridere, a restar stupita quando le occorreva, che io stesso dico che codesta scena è al disopra (così eseguita) di tutte le scene fatte da me per pazzi.”

Per il compositore bergamasco ricevere gli omaggi della corte asburgica e gli elogi dei critici viennesi che parlarono di “talento ricco, creativo, dotato di spirito e di fantasia”, era un grande onore, la sua carriera, infatti, non era stata affatto facile. Allievo di Simone Mayr, si affacciò al panorama musicale in un’epoca in cui affermarsi come operista, in Italia, era estremamente complicato: la concorrenza era numerosissima e spietata, inoltre, non riguardava solo il confronto con giovani coetanei alle prime armi, come Vincenzo Bellini, ma personaggi ben più famosi come Gioacchino Rossini. Ad ogni modo, supportato da una fervida immaginazione e da un ingegno estremamente duttile, Donizetti riuscì a trovare la sua fortuna. In molte delle sue opere, compresa Linda di Chamounix, Donizetti analizza il tema della follia come stato di alterazione psichica di personaggi dominati da passioni forti, violente.

Uno degli elementi tipici del Romanticismo è proprio la rivalutazione del lato passionale e istintivo contro la razionalità; questa tendenza si traduce in una predilezione per le sensazioni forti, per l’orrido e il pauroso. Nel caso dell’opera italiana, se l’attrazione per il fantastico e il misterioso non destano molto interesse, grande attenzione suscita invece la rappresentazione delle passioni come motore dei comportamenti umani e manifestazione dell’interiorità. Al centro del dramma sono proprio le passioni più incontrollabili che prendono il sopravvento sull’animo umano dominandolo completamente; l’amore diviene un sentimento pericoloso, soprattutto per le donne, perché talmente violento da poter sfociare nella follia.

Nell’Ottocento, le giovani donne dovevano essere dei fiori delicati, dipendenti dall’uomo sia fisicamente che emotivamente e questo le rendeva deboli e facilmente suggestionabili: ecco perché, nel melodramma, sono loro le vittime predilette della follia. Sciolto ogni legame con la razionalità, la donna si svincola dal peso delle costrizioni sociali esprimendo attraverso il virtuosismo canoro questa sua libertà: la follia è il modo di manifestare il proprio dolore, per essere compatite e non condannate dalla comunità di appartenenza.

Linda, come la ben più famosa “Lucia di Lammermoor”, è proprio una di queste giovani fanciulle folli per amore. La povera Linda è insidiata nell’onore sia dalle profferte amorose di un vecchio marchese che dal presunto tradimento del suo promesso sposo Carlo. Ella, apparentemente abbandonata sia dall’amante che dalla famiglia, sprofonda negli abissi dell’incoscienza in un allucinato succedersi di sentimenti e visioni di carattere inquietante, tipicamente romantico. Per fortuna, il suo è un dramma di mezzo carattere che necessita di un lieto fine, per cui Linda non muore in preda alle allucinazioni come Lucia, ma riesce a ritrovare la lucidità guidata dalla voce di Carlo.

Dopo una breve sinfonia composta appositamente per il pubblico viennese, il primo atto si apre in un “sito pittoresco sulle montagne di Savoia” all’interno della cascina in cui abita la famiglia di Linda. I suoi genitori Antonio e Maddalena sono preoccupati per la sua virtù perché il prefetto gli ha informati che il marchese di Boisfleury, fingendo di proteggerla, intende approfittare della fanciulla. L’opera, dunque, si apre fin da subito sul tema della difesa della verginità inteso come valore dell’intera famiglia: è un modello culturale che va al di là del singolo o delle classi sociali, riguarda tutti. La figura del marchese di Boiufleury è centrale in quest’opera anche perché rappresenta la parte comica del dramma; Donizetti rielabora il tradizionale idioma buffo creando un personaggio ben integrato nella vicenda tanto che la sua parte è la più importante dopo quella dei protagonisti.

La non comune bellezza di Linda ha acceso anche un altro cuore, quello di Carlo, visconte di Sirval figlio della marchesa feudataria del villaggio: “il vederla ed accendersi per lei di vivissimo amore fu un sol punto”. Linda, non conoscendo le sue nobili origini e credendolo un semplice pittore, si innamora a sua volta. Mentre aspetta il suo amato, la fanciulla incontra Pierotto, giovane orfano suonatore di ghironda che, incoraggiato dai giovani savoiardi e da Linda stessa, intona una mesta romanza. “Per sua madre” racconta la triste storia di una fanciulla che, per necessità, deve allontanarsi dalla famiglia e, dimentica dei consigli di sua madre, viene sedotta e abbandonata. Il racconto fa sobbalzare la povera Linda, che da lì a poco dovrà abbandonare la protezione del suo paesino per andare a Parigi: il canto di Pierotto la mette in agitazione e la riempie di ansia. Dunque, per l’epoca lasciare la casa paterna, la comunità di appartenenza che vigila e protegge sulle fanciulle è già il primo passo verso il precipizio del disonore. Questa ballata a couplet, accompagnata dal suono della ghironda che è uno strumento tipico di quella zona, è la voce della comunità, della famiglia e dei suoi valori. Ma a opporsi al canto della castità ecco che arriva Carlo che, nel duetto “A consolarmi affrettati”, propone a Linda ben altri affetti: la voce di Carlo è quella seduzione, dell’amour passion che infiamma il cuore della giovane Linda.

Nell’atto secondo Linda vive da qualche tempo in un appartamento che Carlo le ha messo a disposizione. A farle visita arriva il marchese di Boisfleury che, riconosciutala, rinnova invano le sue profferte amorose; con questo episodio Donizetti aggiunge un altro tassello alla componente buffa dell’opera, valorizzandola. Per cercare Linda è giunto a Parigi anche il padre Antonio che non la riconosce nelle ricche vesti da signora. Quando però la giovane si rivela, egli, convinto che abbia perduto il suo onore, la respinge. A questo punto sopraggiunge Pierotto che annuncia il matrimonio di Carlo con una giovane di nobili origini; Linda è affranta ma resiste alla notizia finché il padre non la maledice: “va, sciagurata, soffri la pena/ della tua colpa, del mio rossor. È a questo punto che Linda perde la ragione, non è per il presunto tradimento ma per la condanna del padre che la pone fuori dalla comunità di appartenenza e della famiglia; la povera fanciulla rimane immobile e lascia scorgere nei suoi lineamenti un’alterazione mentale. La sua mente si perde nel passato ritornando al dolce canto della seduzione, quel “A consolarmi affrettati” con cui Carlo l’aveva conquistata. La fanciulla tradita, non è più capace di seguire il filo logico del canto d’amore, vaneggia passando dalla forte agitazione alla rassegnazione senza riuscire a liberarsi dal turbine della follia. L’unica immagine che ha fissa in testa è quella della vergogna aver perso l’onore agli occhi del padre e della società: “più non potrei nascondermi al mondo, ai genitor”.

All’apertura del terzo atto scopriamo che Carlo ha rifiutato le nozze impostegli dalla madre proprio perché ama la povera Linda; egli è tornato nel villaggio della Savoia per riconquistarla ma apprende che la povera fanciulla è impazzita. Di lì a poco, Linda compare accompagnata dal giovane Pierotto che, per farla camminare, le canta la melodia della ballata del primo atto: il canto della casa, della famiglia, della protezione e dei valori. Accompagnata da questo tema ricorrente, Linda torna nel tetto paterno ma la sua mente è ancora persa nei meandri della follia. Sarà la voce di Carlo a riportarla alla ragione: egli le canterà la melodia dell’amore con cui l’aveva conquistata nel duetto del I atto. Anche questa volta il suo è un canto di seduzione ma la scena non si svolge di soppiatto e all’insaputa di tutti; questa volta Carlo dichiara i suoi sentimenti davanti alla famiglia di Linda e a tutto il paese: il loro amore non è più una trasgressione ai valori e alla castità ma diviene parte di questi perché verrà coronato dal matrimonio, pietra fondante della società borghese ottocentesca.

In quest’opera Donizetti impiega con grande libertà la struttura portante del melodramma tradizionale affiancando ai numeri chiusi, formule non convenzionali di più ampio respiro. Degna di nota è la diminuzione del virtuosismo e dei pezzi di bravura in favore di brani d’insieme, soprattutto duetti, grazie alla quale il carattere dei personaggi emerge attraverso il confronto. Altro elemento straordinario è l’uso di temi di reminiscenza associati ad aree tematiche forti come la melodia della ballata di Pierotto legata ai valori familiari e alla difesa della verginità; e la melodia del I duetto tra Linda e Carlo che riguarda invece l’amore dei due giovani.

Nonostante la presenza di elementi convenzionali e il lieto fine che smorza del tutto la tensione accumulata, quest’opera affronta temi importanti per la società del primo Ottocento e lo fa attraverso un uso attento del valore sostanziale che la musica e la voce hanno sulla psiche umana. La follia di Linda, infatti, giunge attraverso le parole dure di suo padre così come la sua salvezza è dovuta a quelle dolci del suo amante: in entrambi i casi è il suono di una voce maschile a influire pesantemente sul suo animo; ed è proprio l’importanza data alla musica e al potere della voce umana che rendono quest’opera interessante.

Silvia D’Anzelmo

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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