L’ironia in musica

È possibile parlare di ironia in musica?

Autore: Matteo Macinanti

5 Maggio 2016

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Tra le caratteristiche principali dell’ironia vi è quella della mobilità, ossia, il suo essere refrattaria a qualsivoglia incasellamento o demarcazione netta: a seconda del diverso contesto, la tecnica ironica acquista connotati più vicini alla satira, al puro umorismo, al grottesco, o ancora alla condanna sociale. Si tende, non di rado, a far collimare i concetti di umorismo e ironia non tenendo conto del fatto che il primo termine sia sempre legato alla sfera del comico, mentre il secondo (nonostante qualche volta coincida con lo stesso umorismo) non ha precipuamente il dovere di far ridere: “Godi Fiorenza, poi che se’ sì grande/che per mare e per terra batti l’ali/e per lo ‘nferno tuo nome si spande ” — l’apostrofe, ad esempio, che Dante indirizza alla sua città all’inizio del XXVI canto dell’Inferno, esempio mirabile di ironia antifrastica, non ha certamente lo scopo di indurre il lettore al riso.

Una definizione elementare, che permette allo stesso tempo di non precludere le numerose sfumature che le si possono attribuire, la descrive così: “L’ironia, come figura logica, consiste nell’affermare una cosa intendendo dire l’opposto”.  (A. MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica).
D’altronde, lo stesso termine “ironia” proviene etimologicamente dal greco éiron: questo termine designa infatti uno dei personaggi fissi dell’antica commedia greca la cui caratteristica principale è la presenza di opposizioni quali superficie/profondità e realtà/menzogna.
Contrapposto alla figura dell’alazòn, che assume spesso i tratti magniloquenti di uno spaccone, l’èiron, invece, servendosi spesso della figura retorica dell’understatement e mantenendo un profilo basso, riesce ad avere la meglio sul primo, proprio nascondendo la sua astuzia ed apparendo, in tal modo, diverso da come è realmente.

Quello che risulta chiaro dall’esplicitazione suddetta, è il fatto che l’ironia sia anzitutto una tecnica vera e propria.
Ma come può la musica, che di per sé è astratta e non referenziale, presentare questo stravolgimento tipico di un discorso ironico? Ossia, come può dire il contrario se non dice niente?
La risposta di per sé non è semplice e molti studiosi (tra i quali giganteggia un personaggio come Jankélévitch) hanno cercato di fornire risposte più o meno coerenti.

Ad ogni modo possiamo affermare, con una certa sicurezza, che l’ironia in una composizione musicale si presenta nel momento in cui quello che ascoltiamo non corrisponde all’intenzione espressiva reale dell’autore, bensì al suo contrario.

Occorre qui una puntualizzazione: conditio sine qua non della buona riuscita di un discorso ironico è la certezza che il destinatario sia capace di comprendere i piani di significazione retrostanti il piano di superficie. Questo perché l’ironia, nel momento in cui non viene compresa, non sortisce più alcun effetto.

Una delle linee guida di questi approfondimenti sarà, di conseguenza, il tentativo di inquadrare il contesto all’interno del quale sono state prodotte determinate musiche.
Infatti, essendo la tecnica ironica principalmente una deviazione, sarà necessario capire il punto di partenza dal quale si dirama questa deviazione, ovvero la norma stilistica che precede la beffa ironica.

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Vediamo ora più da vicino quali possono essere le marche dell’ironia, ossia quei segnali che permettono all’ascoltatore di comprendere una compresenza di piani diversi di significato.

Anzitutto occorre notare un aspetto fondamentale: molti dei procedimenti di cui ci si serve per condurre un discorso ironico in campo musicale sono mutuati dall’ambito linguistico-letterario.
Discorso musicale e discorso testuale condividono, in effetti, un’importante affinità strutturale: entrambi presentano una dimensione orizzontale del discorso, ossia una precisa sintassi dotata di implicazioni logiche.

Come, nella lingua, una frase del tipo “oggi sono stato tutto il giorno a casa perché…” necessita di un completamento, così anche nella sintassi musicale si presuppone che una frase melodica abbia un senso compiuto (formalizzazione pratica di ciò è la cadenza, ossia una successione di accordi ben definita, atta a chiudere coerentemente un periodo).

Come già notava Henri Bergson, uno dei tratti distintivi del comico (che, come si è detto, alcune volte coincide con l’ironia) e il fenomeno della ripetizione e della reiterazione: un unico periodo musicale, esasperato nel suo essere ripresentato parossisticamente più e più volte, può essere una prima forma di condurre un discorso ironico.
È proprio l’idea di meccanicità, e quindi di anti naturalezza, a suscitare l’idea di un contrasto e di un’opposizione.

Questo aspetto meccanico e artificioso torna anche in un’altra modalità di ironia, che vedremo meglio in Rossini, e la cui spiegazione la affidiamo alle parole di Jankélévitch:

“l’ironia non soltanto abbrevia, ma spezzetta anche. La continuità è alquanto seria e (…) non esiste mezzo migliore di questo: farle bruscamente lo sgambetto, frantumarla in spasmi discontinui”

Frammentare il discorso parlato in fonemi privi di significato o, in campo musicale, ridurre in piccoli segmenti sonori il periodare musicale conferisce una forte carica di comicità ironica.

Come non pensare, per fare un riferimento letterario, alle poesie ironiche e dissacranti di Palazzeschi quali “La fontana malata”?

“Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch……

E’ giu’,
nel cortile,
la povera
fontana
malata”

Strettamente correlato alla tecnica ironica è anche l’effetto sorpresa quale può essere un brusco cambio di direzione rispetto ad una rotta già segnata.
In retorica, la figura che assomiglia di più a tale procedimento è detta anacoluto.
Come dice il linguista Serianni: “col tradizionale termine di anacoluto ci si riferisce alla frattura di una sequenza sintattica, a un’irregolarità nella costruzione della frase, a un ‘cambio di progetto’ che interviene nel corso della strutturazione del discorso”.

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Trasponendo questo discorso in ambito musicale, ci si può rendere conto di quanto sia frequente questa figura logica di irregolarità nel periodare musicale.
Formalizzazione concreta di tale procedimento è infatti la cosiddetta “cadenza d’inganno”, il procedimento attraverso il quale, nella teoria armonica, si può decidere di non rispettare lo svolgimento sintattico di un periodo musicale, aprendo in tal modo la possibilità di sviluppare ulteriormente un inciso o di passare repentinamente ad un altro periodo del tutto nuovo.
Come avremo modo di vedere, la decezione in musica è una pratica assai frequente ed è stata usata dai compositori di tutte le epoche.

Altre tecniche ironiche, anche questa volta mutuate dall’ambito testuale, possono essere le rielaborazioni parodiche.

Curioso è il fatto che la stessa parola “parodia” appartenga etimologicamente alla sfera musicale: una traduzione letterale del termine greco potrebbe essere a tutti gli effetti “contro-canto”, ossia un canto costruito sulla struttura di un altro.

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Spesso collegate alla parodia sono anche tutte le tecniche di straniamento e i vare effetti  volti sconvolgere la percezione abituale della realtà.
In musica si potrebbe presentare lo “straniamento musicale” in tutti quei casi nei quali non venga rispettato lo stile idiomatico: in particolare ciò avviene quando ad uno strumento o ad una voce viene affidata una parte che esuli dalle proprie estensioni consuete di registro.

Se, come si è detto all’inizio, l’ironia è principalmente una tecnica, non si può negare allo stesso tempo che essa sia anche un modo per guardare alla realtà in modo tale da cercare ulteriori strati di significato oltre alla semplice e manifesta epidermide superficiale.

Per dirla con Schlegel, “l’ironia è chiara coscienza dell’agilità eterna, del caos infinitamente pieno”.

Matteo Macinanti

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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